"Non ci vedrai niente lì dentro sai?"
La voce penetrò lo stato di semi coscienza in cui sembrava essere caduta
da quando il barista, quello nuovo, le aveva messo davanti il Martini
completo di oliva.
"Non prima di averne bevuti almeno quattro in ogni caso."
Kate si girò e si trovò ad incrociare un paio di occhi che sotto le luci
del locale sembravano un po’ più scuri dei suoi.
Sotto agli occhi si apriva un sorriso da perfetto ragazzo californiano,
impressione confermata dai corti capelli biondi a spazzola e da un viso
che recava il segno di molte ore passate all’aria aperta; probabilmente
su
un surf nelle acque di Santa Monica.
"Scusa?" chiese leggermente confusa.
"Dicevo che non ho mai visto nessuno cercare di leggere il futuro nel
suo
Martini" il sorriso sempre al suo posto "voglio dire, da come lo fissavi
sembrava proprio che sperassi che delle immagini apparissero sulla
superficie del tuo drink!"
Kate sbatté gli occhi sorpresa e ritornò a guardare il bicchiere sul
bancone davanti a lei, ma a quanto pare il ragazzo non aveva intenzione
di
mollare così facilmente.
Le prese la mano destra fra le sue e lei fu colta così di sorpresa che
lo
lasciò fare.
Il giovane cominciò ad esaminarle il palmo "Te lo posso dire io il tuo
futuro!" ridacchiò "vedo una…" si fermò e spalancò gli occhi fingendosi
sorpreso; poi continuò con la voce di un tono più basso e, Kate notò,
leggermente impastata dall’alcol "…una notte che non potrai dimenticare"
e
di nuovo ridacchiò, guardandola poi negli occhi e muovendo le
sopracciglia
su e giù un paio di volte.
Kate ritirò la mano di scatto e gli riservò lo stesso sguardo che una
volta avrebbe scoccato ad un sospetto in una stanza per gli
interrogatori,
sperando che quella specie di modello della Quicksilver alzasse i tacchi
e
andasse a importunare qualcun’altra.
Era così difficile credere che non volesse compagnia?
Si, era seduta ad un bancone di un bar.
Si, era sola.
Si, il bar in questione era un bar per single…e allora?
Riflettendoci una seconda volta Kate realizzò che…si era strano.
Rimanere
da soli non era l’obiettivo di coloro che frequentavano quel tipo di
bar;
no, gli altri ci andavano per un motivo diametralmente opposto.
Gli altri.
Ma non lei.
Lei era lì per una ragione completamente diversa e non aveva scelto quel
bar per caso.
Kate era seduta su uno sgabello del D’Oblique.
E si sentiva un idiota per esserci venuta. Proprio lì e proprio quella
sera.
Per aver varcato la soglia del club e essersi seduta al bancone,
cercando
tra la folla un paio di occhi che avevano incrociato i suoi nello stesso
posto due anni prima, cambiandole la vita.
Due occhi ai quali aveva cercato di impedire di farsi strada nel suo
cuore, scoprendo che era troppo tardi.
Che già lo abitavano, il suo cuore.
E lei aveva avuto paura.
Paura di amare e di non essere ricambiata. Come con suo padre.
Paura di amare e perdere. Come con sua madre.
Così non aveva fatto niente e quando Angel era caduto dal soffitto in
quel
magazzino abbandonato, e gli occhi nocciola erano diventati gialli, il
mondo come lo conosceva si era capovolto. Completamente.
E poi suo padre era morto, ucciso da due cose cattive con gli occhi
gialli, e lei non aveva più potuto guardare in quegli occhi nocciola
senza
vederci quelli gialli di coloro che lo avevano assassinato.
E così aveva provato ad odiare.
Finché una sera odiare era diventato troppo faticoso, e Kate aveva preso
barbiturici e vodka per smettere.
Di provare ad odiare.
Di vivere.
Ma Angel l’aveva salvata, era entrato in casa sua senza invito e le
aveva
salvato la vita e l’anima.
E Kate aveva capito che quello che lui le aveva detto pochi mesi prima
era
vero.
Che lei gli aveva rovesciato addosso tutto quello che non riusciva a
gestire.
Da quella sera, da quando lui l’aveva stretta sotto la doccia e dalla
conversazione che si era svolta poche ore dopo all’Hyperion, solo da
quella sera lei aveva imparato a gestire la propria vita e ad accettare
i
cambiamenti che in essa erano avvenuti.
Ad accettare il fatto che si era innamorata di un vampiro.
Kate sospirò e si guardò intorno per quella che probabilmente era la
centesima volta quella sera ma incontrò solo sguardi e visi sconosciuti.
Si voltò a destra allora ma sembrava che la lontananza dal distretto le
avesse fatto perdere il suo potere intimidatorio, perché il biondo senza
nome se ne stava ancora lì, con il suo bel sorriso da star del cinema
stampato sul volto.
Lo guardò di nuovo e stava per dire a parole quello che il suo sguardo
non
era riuscito a comunicare quando il cuore le balzò in petto e sentì un
lieve formicolio alla base del collo.
La sua mano salì a sfiorare le la cicatrice, oramai quasi completamente
invisibile sul lato destro, e i polpastrelli indugiarono un attimo prima
di posarsi sul segno del morso.
Ma le sue dita non arrivarono mai a toccare la pelle perché altre dita
la
precedettero.
Gentili.
Fredde.
Si posarono sulla sua spalla mentre il pollice saliva ad incontrare
quella
cicatrice che ancora formicolava.
E un sorriso salì alle labbra di Kate mentre il cuore correva impazzito
nel suo petto.
Il ragazzo guardò oltre le spalle di Kate e il sorriso gli si spense
sulle
labbra "Bastava dirlo che aspettavi qualcuno" esclamò indignato, prima
di
abbandonare lo sgabello e dirigersi nella direzione della pista da
ballo,
probabilmente ad esercitare il suo fascino dove pensava avrebbe avuto
più
successo.
Kate chiuse gli occhi un secondo assaporando il contatto delle dita
fresche di Angel sulla sua pelle.
Poi lo sentì muoversi dietro di lei; allora girò lo sgabello fino a
fronteggiare il Martini ancora intatto e voltò il viso a sinistra
"Grazie."
Angel si era seduto sullo sgabello a fianco con la schiena rivolta al
bancone "Sembrava avessi bisogno di essere salvata" sorrise.
E a Kate sembrò che l’ultimo pezzo del puzzle della sua vita fosse
finalmente andato a posto.
Non le importava che lui potesse sentire quanto forte le batteva il
cuore.
Non si sentiva più stupida per essere venuta lì a due anni esatti dal
loro
incontro. Sperando di rincontrarlo.
Di poter ricominciare tutto da capo, con la consapevolezza del passato,
di
quello che era stato, per impedirle di fare gli stessi errori.
"Sai, avevo quasi rinunciato al cavaliere dall’armatura scintillante"
ribatté, e il sorriso che aveva sul volto si allargò.
Angel rise con lei e a chiunque li avesse guardati in quel momento
sarebbero sembrati un uomo e una donna che avevano trovato quello per
cui
quella sera erano venuti lì.
Ed in effetti era vero.
Quello che gli altri non vedevano, non potevano vedere, era che dietro
ad
essi si nascondevano due anime che si erano perse, in bilico sull’orlo
di
un abisso, dal quale erano però venute fuori.
Insieme.
"Ti va di andare in un posto un po’ più tranquillo?" e anche se la
domanda
era stata la stessa la risposta che Angel le diede fu diversa "Certo."
Camminarono insieme fino all’appartamento di lei mentre Angel le parlava
di Cordelia, Wesley e Gunn e di come la strada da fare per riguadagnare
la
loro fiducia fosse ancora lunga; e intanto le scrutava il volto e non
riusciva ancora a capacitarsi che lei fosse veramente lì, che l’idea di
andare al D’Oblique quella sera non si era rivelata stupida ma forse la
cosa più intelligente che aveva fatto in quegli ultimi mesi.
Da quando avevano parlato nel giardino dell’ Hyperion e poi lei era
sparita.
E lui non l’aveva cercata pensando di doverle dare un po’ di spazio per
riadattarsi alla nuova vita, ad una vita senza il distintivo che fino ad
allora era stato ciò a cui teneva di più. Per dimostrare a suo padre che
era degna del suo rispetto. Del suo amore.
Ma ora che era lì con lui non aveva intenzione di lasciarla sparire, non
più.
La ascoltò mentre gli raccontava di come aveva passato gli ultimi mesi,
del viaggio che aveva fatto credendo che fosse quello che le ci voleva,
per poi scoprire invece che sarebbe stato solo un altro modo per
scappare.
Così era tornata a Los Angeles.
Kate gli aprì il suo cuore, meravigliandosi di come fosse facile.
La ascoltava Angel, e si rendeva conto di quanto le fosse mancata quella
voce, di quanto gli piacesse quel nuovo tono con cui Kate parlava.
Più dolce.
Più gentile.
Più in pace.
Con se stessa e con il mondo.
E con lui.
Forse.
Arrivarono davanti al palazzo dove lei abitava e ad Angel parve troppo
presto.
"Io sono arrivata" Kate si fermò su un gradino della scala che conduceva
al portone e si voltò, improvvisamente insicura "ti andrebbe di…" ma le
parole non uscirono, bloccate dalle labbra di lui che scesero ad
incontrare le sue.
La sorpresa durò qualche istante poi le mani di Kate si appoggiarono al
bavero del suo cappotto ed Angel si aspettò di avvertire da un momento
all’altro una spinta che l’avrebbe allontanato da lei. E si maledì per
aver agito così impulsivamente.
Ma le mani di Kate non lo respinsero, salirono fino al suo collo e lo
strinsero a sé, approfondendo il bacio.
Angel la strinse alla vita, con forza, come a volersi fondere con quella
donna che gli era entrata nel sangue molto prima di quella sera al
museo,
quando il suo sangue l’aveva bevuto.
A Kate sembrò impossibile che il suo cuore fosse ancora lì e non le
fosse
balzato fuori dal petto da quanto batteva. Avrebbe voluto poter sentire
anche quello di Angel contro il suo, battere allo stesso modo.
Forsennato.
Assordante.
Impazzito.
Ma erano le sue braccia a parlare. La stringevano con forza, quasi che
temesse che volesse scappare; e le sue labbra la cercavano, con
dolcezza,
quasi timore all’inizio, per poi diventare più esigenti.
Angel si staccò da lei e si scoprì ad ansimare, lui che non aveva
bisogno
di respirare. Appoggiò la fronte a quella di Kate che aveva ancora gli
occhi chiusi e il respiro affannoso tanto quanto il suo. Poi le sue
palpebre si alzarono e lui si ritrovò a fissare i suoi occhi da vicino.
Come mai li aveva visti.
Grandi e limpidi. E quasi annegò.
Ancora troppo scossa per parlare Kate dischiuse le labbra in un sorriso.
E Angel sorrise con lei.