Dentro il cuore

AUTORE: Pedistalite
SPOILER: Btvs, Ats generali
PAIRING: Spike/original character, Angel/original character
RATING: per tutti
DISCLAIMER: I personaggi delle serie "Buffy the vampire slayer" e "Angel" appartengono a Joss Whedon, la WB, la UPN e la FOX.
L'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.
Sfortunatamente sono di mia proprietà unicamente Kate Meg e Liz.
Insieme a tutti gli altri personaggi che tirerò fuori dal mio magico cilindro.
Ma se qualcuno tanto fortunato da possedere David o James fosse così gentile da pensare a me per un regalo, sarei davvero contenta!
Enjoy!

Dentro il cuore

La figura luminosa era accerchiata dalle tenebre.
Da ogni parte ogni più minuscola frazione del suo essere lottava per non essere sopraffatta dall’oscurità.
Una creatura potente, e ciò che era intorno a lei poteva chiaramente percepirlo.
Un potere inarrestabile e divorante che il Primo male avrebbe disperatamente voluto per sé, se fosse mai stato capace di assumere una forma e desiderare qualcosa che non fosse se stesso.
Ma era pur sempre anche lui un’entità invincibile!
Per quanto la piccola figura disperata si dibattesse tra poco tutto sarebbe finito.

Tra poco tutto sarebbe finito.
Lo sapeva e non poteva accettarlo.
Il male non poteva vincere, o tutto ciò che di più caro aveva sarebbe andato perduto.
Strinse ferocemente gli occhi e guardò l’amuleto che si sorreggeva nel vuoto poco distante.
Le era uscito dal cuore e l’aveva trasformata.
Non poteva vedersi, ma sapeva di non essere più lei, o di esserlo almeno in parte.
Non voleva morire, non voleva sacrificarsi per il bene del mondo, dio aveva vent’anni.
Era giusto morire a vent’anni?
Cosa era diventata?
Cos’era quell’essere che era diventata? Era un mostro?
Non lo sapeva.
Non sapeva niente, solo che aveva paura ed era forte e voleva lì con lei le sue sorelle.
Perché se doveva morire per salvare loro e il mondo, le voleva abbracciare un’ultima volta.
Il primo la circondava col suo effluvio oscuro, un fumo nero e denso le penetrava nelle narici, nelle carni.
Sentiva di potersi evitare il respiro e questo la atterriva.
Dio poteva non respirare!
Cos’ era diventata, un demone?
Era morta?
Voleva piangere, voleva lasciarsi andare a quell’emozione tipicamente umana per ricordarsi che era viva.
O che lo era stata.
Voleva fuggire.
Voleva nascondersi in un angolo e tremare.
Ma come sempre nella sua vita non fece niente di quello che voleva.
Fissò gli occhi in quella massa scomposta che sembrava sommergerla e decise.
Decise che la vita era più forte.
Che c’erano tante cose meravigliose al mondo che andavano protette.
Si sforzo di credere che ce l’avrebbe fatta, e se anche non fosse stato così, qualcosa sarebbe rimasto!
Concentrò le sue energie verso quell’unico punto. Richiamò a sé la forza e pregò qualunque entità benevola di aiutarla a vincere.
Chiuse gli occhi e distese i lineamenti.
La fine…era vicina.
Lasciò defluire in lei l’energia, lasciò che si accumulasse nel suo petto tremante e quando sentì di esserne ricolma sferrò l’attacco.
Il flusso l’invase e si sentì trapassata da migliaia di spilli roventi che non lasciavano tracce nella carne. Un bagliore accecante si diffuse in quella dimensione atemporale, un fuoco salvifico cominciò a percorrere l’entità malvagia come se fosse stata improvvisamente dotata di un corpo.
Credette quasi di avercela fatta, quando il buio più nero la avvolse rubandole quella luce e soffocandola.

Spike indossò l’amuleto e scese verso l’enorme voragine che si era aperta sotto i loro piedi guardando un’ultima volta la donna che gli sorrideva.
E che gli aveva detto che lo amava.
Mai aveva fatto entrambe le cose con quella dolce rassegnazione di chi già si prepara a dimenticare. Buffy mosse la mano verso di lui nel caldo gesto di un ultimo saluto mentre sentiva le lacrime scivolare via come serpentelli luminosi.
Come a rispondere a quella muta invocazione di perdono, di ammenda per il male fatto e ricevuto, Spike la fissò col suo sorriso irriverente , il migliore del suo repertorio, non lasciò che lei dicesse altro dopo quella dichiarazione tardiva e alzò la mano in segno di resa
“tranquilla…voglio solo vedere come va a finire”.
Scomparve nel buio.

La deflagrazione fu devastante.
Fino a un solo attimo prima credeva di essere spacciata e ora di fronte a lei il primo male si ritraeva. Come a volerla proteggere dall’oscurità incombente si erano materializzate due figure.
Rifulgenti, bellissime e inumane.
Si voltarono simultaneamente a guardarla e lei con orrore si accorse di non aver voce per gridare. Allungarono le braccia eteree verso di lei e finalmente si accorse di quanto fossero simili alle proprie. Le guardò sconvolta da un sentimento che si avvicinava alla gioia ma che era venato di terrore nell’apprendere che ciò che era avvenuto a lei, era successo anche alle sue amatissime sorelle.
Si unirono in un abbraccio immortale, divine bellezze potenti e permisero alla forza ferale dei loro amuleti di scagliarsi contro l’origine di quell’inferno.

Lasciò che la sua mente si svuotasse.
Non voleva avere rimpianti Spike, o ripensamenti.
Non voleva ragionare su ciò che stava facendo e capire che l’umanità che l’aveva sempre disprezzato non meritava quell’ultimo rifulgente sacrificio.
Non voleva pensare a lei che gli aveva detto che lo amava e la risposta che lui le aveva dato
–no, non è vero-
mentre l’unica cosa che realmente voleva era baciarla e donarle tutto l’amore che aveva per lei e che ora, lo sapeva, non sarebbe stato rifiutato.
Non voleva andare incontro al suo giorno speciale convinto di stare facendo uno stramaledettissimo errore.
Voleva morire come era vissuto.
Da guerriero.

Il primo si sentì fortemente indebolito, veniva attaccato su due fronti da due entità potenti.
Sapeva che sarebbe uscito sconfitto da quello scontro.
Ma c’era ancora una cosa che poteva fare…

La luce che emanarono i tre corpi uniti fu loro quasi fatale, almeno quanto lo fu per il primo.
Le loro mani si separarono costrette da una forza a loro superiore e vennero scagliate lontano l’una dalle altre.
L’energia che loro stesse avevano creato gli si rivoltò contro potenziata dal primo e le sommerse con violenza.
Si aprì una voragine che le risucchiò strappandole dal loro confortante contatto.

L’ultima cosa di cui fu cosciente fu il tremendo impatto con qualcosa di rassicurantemente solido da poter essere terreno. Si guardò intorno smarrita prima di chiudere definitivamente gli occhi svuotata dì ogni forza.
Era sulla terra.
Era viva.
Era…sola.

Angel stava guidando sulla superstrada verso LA.
Doveva tornare a casa e parlare con Westly prima che le rivelazioni delle ultime ore lo distraessero.
Buffy amava Spike…
il suo vecchio rivale e prima ancora il suo childe;
suo…fratello.
Sorrise al pensiero che saperla innamorata di qualcosa che almeno parzialmente era suo rendeva quel dolore sordo un po’ più sopportabile.
Quando un bagliore accecante illuminò il buio della strada desolata sterzò velocemente.
Fermò l’auto e scese a vedere chi, o…cosa era caduto da quel vortice spazio-temporale già richiuso, pronto a combattere e distruggere qualunque cosa fosse.
Perché ogni demone che lui sconfiggeva era un demone in meno per la cacciatrice.
E lui avrebbe fatto qualunque cosa per la cacciatrice.
Avanzò dietro una cunetta di terreno con i pugni protesi verso l’avversario, il volto trasfigurato in quello della caccia… e fu allora che la vide.
Una piccola figuretta straziata.
Riversa sul terreno, sciupata come se avesse affrontato una battaglia devastante, eppure anche in quello stato incredibilmente bella.
La prese tra le braccia spinto dal desiderio di proteggere un fiore già calpestato così delicato che chiunque avrebbe potuto spezzarlo definitivamente.
I lunghi capelli lucenti scivolarono dalle sue braccia in un nero ammasso scomposto ed Angel si sorprese di quanto fosse leggera e profumata nonostante l’aura di morte che poteva chiaramente percepire intorno a lei.
La guardò perplesso
–un solo buon motivo per caricartela in macchina e portarla con te invece che all’ospedale più vicino…-
Come se la ragazza avesse potuto intuire i suoi pensieri aprì leggermente gli occhi rivelandogli due gemme screziate di viola, un colore che lui non aveva mai visto in un essere umano, e gli sorrise. Di un sorriso dolce e sinceramente felice prima di ripiombare nell’incoscienza.
Angel la strinse a sé, riassumendo sui suoi lineamenti quella bellezza innaturalmente umana e avviandosi verso l’auto parcheggiata con i fari accesi sul ciglio della strada.
Aveva trovato il motivo che cercava.

La luce accecante che l’aveva separate dalle sue sorelle la lasciò ansante e percorsa da tremiti nella desolazione di un paesaggio infernale.
Ma almeno era…viva?
Si mise in piedi cercando di lottare contro il senso di vertigine che l’invadeva.
I suoi sensi acuti le permisero d’individuare una figura che avanzava verso di lei.
Si voltò in cerca di una via di fuga e vide solo una landa tristemente desolata.
Capì all’istante che se non voleva morire avrebbe dovuto cominciare a correre.
Mosse qualche passo e con orrore si rese conto di essere troppo stanca e provata dalla battaglia col male per potersi muovere.
Si voltò sperando di riuscire a resistere ad un altro attacco mentre la figura che prima a stento riusciva a scorgere si era fatta incredibilmente più vicina.
Stancamente allungò una mano verso la figura indistinta che per la stanchezza non riusciva a mettere a fuoco, sperando di avere ancora un po’ di magia in corpo per scaraventarlo lontano.
Come aveva temuto non sortì nessun effetto e gli occhi le si riempirono di puro terrore quando vide l’ammasso pesto e sanguinante arrivarle di fronte e crollarle addosso con tutto il suo peso.
Si lasciò trascinare a terra, incapace di respingere quell’assalto brutale e si chiese se avrebbe avuto il tempo di capire se era già morta e se all’ inferno si poteva morire due volte.
Disperatamente attese un colpo fatale che non venne mai.
Coraggiosamente sbirciò la massa informe di capelli biondo platino sporchi di sangue sicuramente suo, abbandonata sul suo petto.
Sembrarono passare ore, ma sicuramente nel posto in cui erano il tempo era un concetto relativo. Finalmente trovò la forza di scostarselo di dosso e spostarlo su quel terreno umido e viscido prima di sdraiarsi di nuovo stremata.
Si girò a guardarlo attentamente: non respirava, era…morto?
Un uomo gli era morto addosso in quel posto dimenticato da dio?
Poteva sopportare quell’orrore dopo tutto ciò che aveva già visto!
Si tirò su a sedere e gli allungò una mano a tastare la giugulare, era vero: non pulsava.
Stava cercando già di alzarsi quando la mano del morto raggiunse la sua ancora sul suo petto e rilasciò un grido isterico.
Spike semi-incosciente la strinse facendo scemare il suo urlo nel freddo del suo petto.
“ti prego…chiunque tu sia…non lasciarmi solo”
le sussurrò all’orecchio prima di svenirle tra le braccia.

§§§

Dov’era?
Dove erano le sue sorelle?
Guardò intorno a lei e scoprì un terrificante buio innaturale.
Che non aveva mai visto.
Nemmeno nelle notti più nere, nemmeno negli occhi dei demoni più oscuri.
Era un buio denso quasi. Senza possibilità di vedere, provò a muoversi e scoprì di non riuscirci. Qualcosa la tratteneva.
Cominciò a tremare irrefrenabilmente quando sentì un ghigno emergere da quel buio e prendere consistenza, quasi…circondarla.
“bene, bene, bene! Sapevo che eri tu la più debole!”
la voce pareva arrivarle da qualsiasi direzione e lei non riusciva a capire quanto fosse vicina.
“chi sei?”
si ritrovò a chiedere disperata, le sembrava quasi di poterla riconoscere.
“tu sai chi sono. Sono anni che lo sai”
era atterrita “No. non è vero, non so chi sei! Chi sei?”
dal buio arrivarono a colpirla feroci delle frustate che lei sentì abbattersi sulla pelle e scalfirla. “Aaaaahhhhh” gridò disperata.
Cercò di riprendere fiato “fatti vedere se hai coraggio”
“coraggio? Uno come me non sa che farsene del coraggio! Scoprirai giglio che neanche tu saprai che fartene del coraggio se avrai il potere!”
quella voce le sembrava così dannatamente familiare.
La sentì proruppere in una risata stridula.
“si tesoro, quasi ci sei! Coraggio…” ghignò crudele “sforzati un pochino”
“luce…” esalò un respiro profondo per cercare di non svenire e intorno a lei si accesero tante piccole fiammelle che le rivelarono il volto orrendamente trasfigurato in un ghigno maligno di sua sorella
“Kate…” ebbe appena il tempo di sentire il suo cuore scoppiarle nel petto prima che una nuova scarica di frustate la devastasse
“non ti avevo insegnato, sorellina, a rispettare gli anziani?”.
Perse conoscenza.

Non voleva aprire gli occhi.
Aveva così tanta paura di aprire gli occhi e accorgersi che era stato tutto un sogno!
Che nessuno l’aveva salvata ed era ancora riversa sul freddo terreno dopo la caduta dalla dimensione in cui il primo l’aveva richiamata.
Cominciò a tremare mentre piano riprendeva conoscenza.
Era al caldo. Stranamente.
Poteva sentire un dolce peso morbido su di sé. Coperte?
Una voce percorsa da un tremito preoccupato pronunciò qualche parola concitata, ma lei non riusciva a sentire bene.
Un incessante ronzio le opprimeva il cervello; non ricordava bene cosa fosse accaduto.
Chi l’aveva stretta a sé per darle un po’ di calore.
Si sforzò di aprire gli occhi e vide solo immagini sfocate…

“Cordelia va a chiamare Angel! Si sta svegliando”
Westly appariva sicuro di sé mentre si sforzava di mantenere sotto controllo la situazione e le sue emozioni.
Dio, l’avevano salvata! Se solo ripensava a quegli ultimi terribili due giorni…

Westly non aveva la più vaga idea di ciò che aveva potuto ridurre quella ragazza in quello stato. Quando Angel era tornato a casa con quel fagottino di carne tra le braccia era stato subito chiaro a tutti che la situazione era molto grave.
La ragazza era sudata e tremante e sebbene esteriormente non aveva segni di ferite era palesemente ovvio che il suo corpo stesse combattendo la battaglia per la sopravvivenza.
Veniva incessantemente scossa da tremiti che sembravano poterla spezzare da un momento all’altro.
Angel non aveva perso tempo a cercare spiegazioni che non aveva.
Risolutamente prese a controllare tra le migliaia di pregiati volumi della sua biblioteca qualcosa che potesse salvare quella giovane vita.
Ma era come muoversi alla cieca in un buio pesto.
Se non capiva cosa la stava divorando non avrebbe nemmeno mai saputo come proteggerla.

Cordelia lo guardava seminascosta dall’ombra della scaffalatura
“Angel che posso fare?” si torceva le mani, era davvero preoccupata anche se non sapeva chi fosse quella ragazza e lui non aveva neppure cercato di spiegarglielo.
Era terribile guardare qualcuno morire e non poter fare niente.
Alle volte si sentiva così inutile e sciocca… come in quel momento.
Quando il vampiro si voltò verso di lei, temette di venire cacciata.
Come quando era a Sunnydale, a casa sua.
Dove tutti pensavano che lei fosse una stupida reginetta senza cervello incapace di qualsiasi azione che non riguardasse trucco o shopping: tristemente le uniche qualità che le si riconoscevano.
Angel la guardò abbozzando un sorriso tirato.
No, non era più a Sunnydale.
“va a vedere se Wes ha bisogno di qualcosa”
lei esitò nell’ombra come se non volesse lasciarlo
“tranquilla piccola! Sono solo stanco”
“e preoccupato! Angel sei sicuro che non posso fare niente per te?” si sentì di nuovo tremendamente stupida a fare quella domanda.
Lui lasciò il volume che stava esaminando e andò verso di lei, le prese le mani tra le sue
“Cordy, a quanto pare qui dentro sei l’unica che non è ancora uscita fuori di testa! Ti prego non farti prendere dal panico anche tu” la guardò con quel suo sorriso gentile e il suo modo unico di farla sentire indispensabile.
Si voltò per ritornare ai suoi volumi e mentre lei già si avviava fuori la richiamò
“ah Cordy… attenta che non spacchi niente! Lo sai come fa quando perde la testa!”

Trovò Westly alle prese con una pozione fumante che avrebbe potuto regalare al corpicino ferito un po’ di sollievo.
L’uomo alzò gli occhi dal tavolo su cui stava lavorando per osservarla, in attesa.
Aveva paura di fare quella domanda, di scoprirsi impotente una volta di troppo.
E infine cedette “ha trovato qualcosa?”
Cordelia scosse il capo debolmente “dice che non possiamo salvarla se non scopriamo cosa la distrugge”
Wes la fissò, aveva nelle iridi qualcosa di troppo pericolosamente vicino alla rassegnazione.
E Cordelia lo capì e gli andò vicino.
E gli diede uno schiaffo.
“no, hai capito? No. Noi non ci rassegneremo a vederla morire solo perché sembra troppo difficile. Faremo del nostro meglio perché in questa lunghissima giornata troppe persone hanno rischiato di morire…e chissà quante sono morte davvero a causa del primo!”
si asciugò una lacrima, sfinita.
E Westly la guardò con uno sguardo meravigliato che sconfinava nell’ammirazione
“Cordelia…”
mormorò tenendosi la guancia con la mano e…abbozzando un… sorriso?
“che hai da ridere? Ti ho appena schiaffeggiato!”
“…sei un genio!”
Non ebbe il tempo di mostrargli la sua bellissima espressione stupita.
Era già corso fuori dalla stanza.

Lavoravano ininterrottamente da ore; ma adesso che sapevano cosa la straziava nel corpo e nello spirito erano animati da una nuova speranza.
Angel dopo averle somministrato l’ennesima pozione di protezione contro l’influsso malefico del primo e averle attaccato una flebo di soluzione salina per impedirle la disidratazione, si decise finalmente a sedersi sulla poltrona di fianco al suo letto per guardarla riposare, mentre i suoi tratti lentamente si distendevano.
L’intuizione involontaria di Cordelia l’aveva salvata.
Che idiota a non averci pensato lui stesso.
Era così curioso di sapere come una ragazzina come lei potesse essere finita nelle grinfie del male. Strinse i pugni e digrignò i denti pensando alla sofferenza che doveva aver subito.
Si rilassò immediatamente quando la calda mano di Cordelia gli toccò la spalla.
Fece appena in tempo a riprendere i lineamenti umani per evitare che lei si accorgesse che si era trasformato.
Doveva stare attento.
Angelus veniva fuori se lui non si controllava.
E questo nessuno lo sapeva.
Difficilmente avrebbero capito che non era un’infezione da cui un giorno sarebbe potuto guarire. Eppure lei…
“Angel perché non vai di là a riposare un po’? resto io con lei, e poi verrà Westly! Ho convinto anche lui ad andare a dormire! Se si sveglia o…peggiora… ti chiamo”
esitò un istante, sperava di non aver usato una cattiva scelta di parole.
Sapeva per esperienza che se il suo capo avesse sospettato che la ragazza non era definitivamente fuori pericolo non si sarebbe mai deciso a lasciarla.
Come se la sua sola presenza avrebbe potuto proteggerla dai mali che se la contendevano.
Le regalò un sorriso rassicurante.
Il primo dopo quelle ore difficili.
“hai ragione! Non mi ero accorto di quanto fossi stanco”
passandole vicino le tirò su il mento per esaminare il visino sciupato
“anche tu non scherzi! Forse dovrei restare io e mandare a dormire te!”
lei gli sorrise e spostò via la mano con un gesto fintamente altezzoso “se non ti levi subito dai piedi non so che ti faccio”
le depose un bacio sulla guancia “grazie”
e uscì.

Westly posò delicatamente un plaid sulla figura addormentata di Cordelia mentre prendeva il suo posto al capezzale di quella strana ragazza piombata appena due giorni prima nelle loro vite. Non sapeva neppure il suo nome, ma era insolitamente protettivo verso di lei.
Forse dipendeva dal fatto che in quelle ultime ore terribili non aveva fatto altro che cercare un modo per salvarla.
Le carezzò via dal viso un ciuffo nero scomposto, rassicurandosi nel vederlo rilassato nei suoi lineamenti perfetti…quasi…sereno.
–ah piccolina quanto ci sei andata vicino!-
sentì la mano di Cordelia al suo fianco che piano gli carezzava la fronte accigliata.
Si sorrisero.
“hai fatto un buon lavoro Wes!”
“già ma senza la tua illuminante intuizione…”
“che fai sfotti? Guarda che con un po’ di tempo in più per riflettere ci sarei arrivata lo stesso!! Al contrario di voi due geni!”
“si, si certo…”
la sua attenzione fu attirata dal fagottino che si muoveva
“Cordelia va a chiamare Angel! Si sta svegliando”

§§§

Due grandi occhi viola lo guardavano e sorridevano.
Sorridevano senza timore davanti alla sua espressione sbalordita, mentre una folle paura lo inghiottiva.
Mentre la sua vera natura veniva a galla e si trasformava.
E quegli occhi continuavano a sorridere.
Mentre invaso da una paura accecante afferrava la ragazzina inerme e la trafiggeva con i suoi canini affilati.
Mentre il corpicino si abbandonava tra le sue braccia forti e continuava a sorridere senza paura, mentre i suoi artigli più affilati di quelli della morte la strappavano alla vita…
Il bussare discreto di Cordy lo svegliò di soprassalto da quell’incubo orribile.
“solo un momento..”
si toccò il viso per detergere le goccioline di sudore che lo imperlavano e si accorse che si era trasformato.
Di nuovo in quelle poche ore.
Non gli era mai successo così spesso.
Qualcosa non andava…non era il momento di pensarci.
Aprì la porta mentre si infilava una maglietta
“è successo qualcosa?” chiese vedendo la sua espressione agitata
“si!” rispose lei, quasi gridò per lo stress trattenuto delle ultime ore
“si sta svegliando”

La prima cosa che vide quando si sentì abbastanza forte da azzardare un contatto visivo col mondo furono i suoi occhi.
Non aveva mai visto degli occhi come i suoi.
Di un semplice e ordinario colore scuro, ma che racchiudevano un magnetismo, una forza che la attirava a sé senza un attimo di tregua.
Aveva gli occhi del suo salvatore, ma non era lui.
Sorrise di nuovo prima di addormentarsi serena.

Sentì il freddo dell’acciaio affilato contro la carne.
Con un urlo e uno sforzo di volontà aprì di nuovo gli occhi.
Il coltello che la scalfiva era tra le mani della sorella che amava.
Pianse disperatamente
“Kate perché mi stai facendo questo? Siamo sorelle e ci vogliamo bene! Ascoltami, non sei in te!” “mai stata meglio tesoro” le brillò negli occhi una luce diversa prima di
sferrare un altro colpo.
–Kate…Meg…sorelline…-
svenne.

Non poteva essere tanto male l’inferno, se si sentiva in quel modo!
Se sentiva quel senso di protezione e sicurezza che raramente aveva trovato in qualcosa che non fosse la follia di Drusilla.
Era perso in una specie di limbo che odorava di buono e aveva la consistenza dolce di due braccia di donna.
Forse era…Buffy?
Forse si era gettata nel fuoco dietro di lui per salvarlo.
Per strapparlo dalla bocca dell’inferno prima che ne venisse inghiottito!
Si…doveva essere andata così!
Non ricordava, però. Non ricordava, maledizione!
E Spike era sicuro che se Buffy l’avesse seguito e salvato e…stretto,
se lo sarebbe ricordato sicuramente!
Doveva cercare di capire dove si trovava. Ridiventare padrone della situazione.
Ma come, come? Era così debole! Sentiva bruciature e dolori colpirlo ovunque.
Cercò di spostare un braccio per toccarsi la faccia, ma non ci riuscì. Faceva troppo male!
–apri gli occhi, idiota-
cercò di lottare contro l’incoscienza.
Invano.

Mio dio la soffocava! Qualcuno…qualcosa la colpiva.
Le sembrava d’impazzire dal dolore!
–cosa cosa COSA?-
si sforzò di non gridare per non svegliare quel corpo martoriato che si dibatteva nel sonno.
Non se l’era sentita di lasciarlo dopo la sua disperata invocazione.
–per andare dove? Almeno con lui non sarò sola!-
egoisticamente l’aveva stretto per ricevere un po’ di calore da quel simulacro di contatto.
–calore? È freddo come un morto! È morto!! È un vampiro. Un demone. È malvagio. Mi ucciderà. Devo scappare. Lasciarlo qui prima che si svegli! Per andare dove?-
poi l’aveva guardato bene.
Aveva un’espressione sofferta e sembrava essere un sopravvissuto, come… lei!
Cominciarono a vorticarle in testa le domande.
Le sue sorelle? Dov’era? Era morta? Lo guardò di nuovo –chi sei?-
si sentì stringere e riconobbe in lui la sua stessa disperazione e allora per un momento ricambiò la sua stretta davvero…
Poi arrivò il dolore.
Improvviso, inaspettato e rovente.
E arrivò il grido di sua sorella Liz a trapassargli il cuore.
Irrazionalmente si alzò vincendo la stanchezza e cominciò a gridare tenendosi la testa fra le mani e stringendo le palpebre.
Mormorava parole sconnesse “sorellina… qualcosa di terribile… qualcuno…mi aiuti!”

Spike la vide.
Riprese i sensi e vide quello spettacolo.
Un essere…se fosse stato vivo l’avrebbe definito…rifulgente.
Era… se era una donna quello non poteva essere l’inferno! Perché una creatura luminosa come lei non poteva fare niente di così efferato da meritarsi l’inferno!
La guardò e sembrò dimenticarsi del dolore.
Danzava, si muoveva circondata da una musica e canticchiava parole che non riusciva ad afferrare.
Rimase fermo a calmare il dolore che il suo corpo gli trasmetteva a ondate cercando di ricordarsi chi diavolo l’aveva convinto a fare l’eroe!
“ehi dolcezza…”
si sorprese quando in quella dimensione senza tempo e spazio gli giunse alle orecchie la sua voce. Gli arrivò con qualche secondo di ritardo, come un goal durante una partita trasmessa via satellite.
E la riconobbe terribilmente roca e stanca molto più di quanto credeva.
Ma fu allora che fece attenzione a qualcos’altro.
Non era musica…erano grida.
Non stava cantando…chiedeva aiuto.
E non stava ballando, ma si stava dimenando in preda a un dolore lancinante.
Dimenticò il male che sentiva, dimenticò lo stato in cui era e che poteva venire rifiutato o spaventarla.
Andò verso di lei arrancando e le strinse le braccia per impedirle di farsi del male.
La voltò verso di sé strattonandola “che hai? Cosa ti fa male?”
la ragazza continuava a tenere gli occhi serrati e a dimenarsi, ignorandolo.
Gli strinse un braccio ferito e lo fece gridare “maledizione!”
se l’era lasciata scappare dalle mani e ora si dimenava di nuovo in preda alla follia.
–ai mali estremi, estremi rimedi-
attinse la forza da quello che sembrava il serbatoio inesauribile del suo demone e la riprese tra le braccia…

Angel la riprese tra le braccia dopo che aveva spaventato Cordelia e mandato Westly a sbattere contro il muro in preda a una forza innaturale.
Con la forza che solo un vampiro poteva avere la rimise a letto e la bloccò con il suo peso “Cordelia vedi come sta Westly!”
gridò all’impacciata figura che se ne stava tutta tremante nell’angolo della porta.
“e porta qui delle corde se di la va tutto bene!”
lo fissò come inebetita da quello scoppio di energia distruttiva in quel corpo che faticava perfino a tenere gli occhi aperti.
“muoviti!” gridò imperioso, risvegliandola da quel torpore.
Corse fuori dalla stanza.
Solo allora Angel si accorse che sul corpo sotto di lui si aprivano e richiudevano incessantemente ferite di coltello.
In modo talmente preciso e veloce che non riusciva neanche a sentire l’odore del suo sangue. Westly entrò trafelato seguito dalla donna. Aveva con sé delle funi
“non mi piace l’idea di legarla Angel!” sospirò “ma credo non ci sia altro modo!”
“lo credo anch’io” disse mentre serrava quelle braccine segnate dai colpi ed evitava una ginocchiata attentatrice alla sua virilità.

Perse completamente il senso della realtà mentre ci volle tutto l’impegno dei due disperati per legarla al letto senza che potesse far del male a se stessa o a loro.
Completamente immobilizzata, gli spasmi del suo corpo sembrarono calmarsi, ma cominciò a ripetere come un’incessante litania un nome e qualcos’altro di incomprensibile.
Angel si chinò verso di lei per sentire ciò che diceva. Disse solo “lei…soffre”

Spike la bloccò contro di sé e lasciò che un’espressione feroce gli si dipingesse sul volto “mi vuoi dire che cazzo succede?”
lo fissò in uno stato di semi-incoscienza
“lei…soffre”
si accasciò come svuotata e si lasciò cullare.

La figuretta scarna ebbe l’energia di sollevare lo sguardo e azzardò un sorriso
–nonseileinonseileinonseilei-
guardò il primo male con le sembianze della sua adorata sorellina e le scese un rivolo salato lungo la guancia pensando a quanto l’aveva odiata fino a poco prima…
fino al momento in cui aveva capito.
Perché era stata raggiunta dai pensieri delle sue sorelline e aveva sentito il suo dolore attraverso di loro.
Venivano colpite dalla sua sofferenza come fossero state le proprie. No, non doveva credere ai suoi occhi, perché il male sapeva ciò che la feriva e ne approfittava. “qualunque cosa volessi ottenere con questa operetta…stai fallendo...”
abbassò il capo quando venne squassata da un attacco di tosse,
rialzò la tasta sull’espressione irata
“…miseramente! Io so chi sei”
la figura mutò dinanzi ai suoi occhi ritrasformandosi in un’entità incorporea.
Nel buio salato delle sue lacrime lo vide avvicinarlesi tanto da poter avvertire il suo tanfo di morte “credevo fossi la più debole. Questo cambia tutto!”
provò una feroce trafittura quando capì che il primo le aveva inciso le vene dei polsi.
Il dolore si tramutò in orrore nel momento in cui capì che non voleva ucciderla.
Attraverso il sangue…
le stava entrando nel corpo…

§§§

Angel guardò il visino sciupato addormentato teneramente e di nuovo sereno.
Avrebbe avuto molte domande a cui rispondere non appena si fosse svegliata.
Decise che era il momento di sciogliere i legacci che la imprigionavano e delicatamente la liberò; constatando che la sua irruenza le aveva lasciato dei lunghi segni rossi di pelle spellata sui polsi e le caviglie.
-…e non so neppure il tuo nome, piccola-
quando le liberò le braccia la ragazza inaspettatamente gliele passò intorno al collo approfittando del suo protendersi verso di lei.
Ancora incosciente
–probabilmente sta sognando-
si districò piano da quel contatto lieve senza in realtà averne alcuna voglia e uscì discretamente dalla stanza.

Si era seduto a terra e aveva continuato a tenerla fra le braccia perché solo così il tremito convulso del suo corpo sembrava calmarsi.
Ma anche Spike non stava bene. La testa gli pulsava
–bravo eroe! Salva il mondo a rischio del tuo culo! Ma perché certe cose non le lasci fare a Angel? Ah vecchio Spike… ti stai rammollendo! Con una mora come questa tra le braccia dovresti sapere cosa fare! Bè certo che se avessi anche solo un osso sano ci proverei!-
i suoi lineamenti vennero deturpati da una smorfia di dolore dopo aver constatato che faceva male anche solo provare a sorridere.
Si stese sfinito con un peso caldo di carne e capelli sul petto aspettando di riposare in una rassicurante notte che, ne era dannatamente certo, non sarebbe arrivata.

Alzò la cornetta e compose un numero, attese tre squilli prima che la donna rispondesse.
Sapeva ostinatamente per quale diavolo di motivo lo ricordasse ancora a memoria.
“Buffy”
un breve silenzio dall’altro capo del filo
“a quanto pare ce l’hai fatta!”
“si. Si è…andato tutto come…volevamo”
sembrava strana, era sicuro ci fosse qualcosa che non gli diceva
“avete avuto…perdite?”
“si. Una.”
un gelo l’invase, non aveva voglia di scoprire chi era stato l’eroe sta volta, ma lei impietosa nemmeno se ne accorse
“Spike”
rimase in silenzio per più di qualche attimo
“Angel…stai bene?”
“e tu? Come hai preso la cosa?”
“ho una vita e una sorella! Lo sai, per il momento posso permettermi di non pensarci!”
“certi dolori vanno vissuti, o ci si dimentica perfino il perché…di quei dolori se li si nasconde sotto qualcos’altro”
“già! Tu sei sempre un maestro in certe cose!”
incredibile! Capace di ferirlo anche senza motivo “mi preoccupo, e come al solito faccio male! Non sei più una ragazzina; ma pensavo solo che non sarebbe la prima volta che fingi che tutto vada bene e poi ti ritrovi a esplodere e distruggere gli altri insieme a te stessa”
“grazie per l’analisi Angel, ma non sei il mio psicologo. Non so neanche esattamente cosa…sei, per me! E ora ti prego…almeno per qualche tempo…non mi cercare! Sto davvero cercando di rimettere insieme i cocci!”
aveva riagganciato.
Si era sorpreso davvero quella volta.
Nonostante lei avesse il suo cuore in mano e continuasse imperterrita a stritolarglielo…
faceva sempre…meno male.
–forse è vero che dagli errori alla fine qualcosa s’impara.-
tristemente pensò che per Spike non era stato così.

Un ghigno prese a brillare là dove fino a poco prima era scolpita un’espressione di angoscia.
Con un gesto della mano fece scomparire il tetro sfondo incolore e dal nulla, allo schiocco delle sue dita, apparve un castello solitario, impervio, arrampicato su una rupe e circondato da un intricato labirinto di vegetazione in putrefazione.
Il castello rifulgeva come un’icona di perdizione in un paesaggio di rovina.
Si ritrovò seduta su un trono tempestato di piccole gemme bianche.
Non ricordava chi era, non sapeva perché stesse soffrendo così tanto e perché invece ora si sentisse così forte.
Solo un pensiero nella sua testa la confondeva…
due nomi che si ripetevano incessanti come una cantilena…
una voce che a stento riusciva a riconoscere…era stata la sua?
Si prese la testa con le mani, improvvisamente colpita da un forte dolore…
-ricordare fa… male- sibilò qualcosa dentro di lei.
Chiuse gli occhi e li distese, nuovamente padrona di sé.
“Sono vive…”

Aprì gli occhi, davvero felice di sentire di nuovo il suo corpo dopo la sensazione continua di spossatezza che a lungo l’aveva invasa.
Si guardò intorno spinta dalla sua indole curiosa, tirandosi su a sedere in quel letto di lenzuola fresche. Non riconosceva niente.
Scoprì le lunghe gambe e mise i piedi nudi sul pavimento di maiolica.
Con sorpresa si accorse che c’erano due pantofoline rosa cipria alla base del letto, le infilò e si tirò in piedi.
Troppo tardi si rese conto che lo sforzo era largamente superiore alle sue attuali capacità.
Mosse un passo sperando di riacquisire una parvenza di equilibrio, ma ancora una volta si era sopravvalutata.
Non sentì le forze venirle meno, ma vide il pavimento sempre più vicino;
pensò in uno sprazzo di lucidità che si sarebbe fatta male impattando con la sua fredda e dura consistenza e chiuse gli occhi.
Ma l’impatto non fu affatto doloroso, sentì come se il freddo quasi la cingesse amorevolmente
–deliri Kate avrai la febbre-
Ma quando si sentì sollevare e rimettere a letto da due braccia vigorose si costrinse a schiudere le palpebre.
Lo guardò inclinando il capo, sembrava proprio averlo già visto da qualche parte.

Angel la riafferrò praticamente al volo lanciando uno sguardo a Westly che beatamente ignaro continuava il suo sonno sulla poltrona.
L’uomo le sorrise “e si! Dovevo aspettarmi che ci avresti provato! Sei troppo debole piccolina”
le sistemò il cuscino per farla stare comoda e lei lo fissò come se fosse un alieno in procinto di staccarle la testa.
La chiamava piccolina??!!? Ma chi cacchio era questo qui? Dove si trovava? Era in mano ad un folle? Ricordò chiaramente di essere stata legata…
tutte quelle domande le facevano girare la testa!
Gli riservò uno sguardo feroce e provò a dire qualcosa di incredibilmente minaccioso, ma quando incrociò il suo sorriso gentile…non quello delle labbra, quello delle iridi, incredibile! Risplendevano quasi di bagliori ambrati mentre sorrideva…
e le ricordò che assomigliava troppo, il suo sguardo, a quello del suo salvatore.
Le uscì dalla bocca un gemito strozzato e il secondo tentativo non andò meglio.
Lui le tirò su le lenzuola “adesso dormi”, le fece il gesto del silenzio col dito e le indicò una figura pateticamente addormentata con gli occhiali che gli scivolavano dal naso.
Rise, suo malgrado, della situazione, del tipo perso in poltrona, del suo “salvatore misterioso” che si, quando ci pensava la faceva sentire un’idiota, rise di se stessa perché si accorse di non ricordare nemmeno il suo nome…e questo la fece ridere di meno.
Angel si accorse che si era rabbuiata, perdendosi in chissà che riflessioni e decise che avrebbe avuto tempo per riflettere. Ora doveva solo stare meglio.
“tranquilla piccola, andrà tutto bene”
riportò la sua attenzione su di lui e riuscì finalmente a sentirsi di nuovo padrona della sua voce
“ma tu chi…chi diavolo sei?”
le sorrise nuovamente, benevolo
–non sai quanto ci sei andata vicino!-
“Angel” rispose.
Stava per chiedergli se per caso era uno scherzo, ma era già uscito dalla stanza.

La strana ragazza lo stava fissando.
Era da un po’ che si erano entrambi svegliati ma, come in un tacito accordo, non si erano ancora rivolti la parola.
Troppo occupati a riflettere sul posto in cui si trovavano per preoccuparsi della reciproca compagnia.
La fissò a sua volta.
“Allora dolcezza, dove credi che siamo?”
Credette quasi di non essere in grado di liberarsi dall’incantesimo di quello sguardo sfrontato e luminoso come due stelle polari.
Sbatté le palpebre un paio di volte prima di collegare il cervello al resto di se stessa e accorgersi che aveva parlato.
Lo guardò di rimando, come istupidita
–quello mi potrebbe uccidere da un momento all’altro. Quello mi mangia! Perché ancora non ci ha provato? Forse è troppo debole, oppure, omiodio, sta aspettando il momento buono, oppure mi vuole tenere in vita fino a che non sarà davvero disperato!! Sono la sua unica <scorta alimentare> concentrati! Concentrati su quello che dice, maledizione!!-
Spike era lì in attesa “troppo difficile amore? Non mi capisci, te lo sillabo?”
si mise in piedi infastidita e fece un girotondo su se stessa per imprimersi nella retina la deprimente pianura.
“perché, non ci arrivi da solo? Vuoi che ti faccia un disegno? E poi…”
si voltò per riservargli la sua stessa identica occhiata di poco prima
“…credo che la vera domanda sia: come ne usciamo?”
Spike si alzò in piedi a sua volta “è l’inferno, bambina! Credi che sia così facile uscirne? Chi viene spedito quaggiù di solito ci rimane per sempre…”
gli vennero in mente i casi particolari di Angel e Darla
“…o quasi!” proseguì accigliato “e poi guardaci: siamo due relitti! E invece per avere anche solo una chance dovremmo essere al massimo… perché sei qui?”
“come?”
i cambi d’argomento improvvisi la irritavano.
Spike alzò gli occhi al cielo di quella strana tonalità aranciata.
-Molto strano per un inferno! Quasi…allegro-
in un gesto teatralmente esasperato
“io so perché sono qui! Ma tu. Tu cosa hai combinato? Devi essere stata molto cattiva per meritarti questo”
sollevò la mano in aria “mi piacciono le donne pericolose..”
cercò di dare alla frase un che di sensuale; ma detto da uno che aveva la faccia ridotta a un ammasso bruciaticcio e sanguinolento era solo…patetico?
Guardò di nuovo i suoi occhi che nonostante l’arsura del volto emanavano un magnetismo che nessuna donna si sarebbe sentita di ignorare.
No, forse no!
Va bene! Avrebbe giocato al suo gioco!
“si lo immagino cosa puoi aver fatto tu per finire divorato dalle fiamme!”
“non solo metaforicamente, a quanto pare”
si toccò il viso infastidito, immaginando lo stato in cui era il resto del corpo e chiedendosi come mai aveva ancora i vestiti
“stranezze infernali!!”
“come?”
fece un giretto intorno a lei assumendo involontariamente il suo atteggiamento da predatore “diventi ripetitiva bambina!”
“quanti bambini hai ucciso?”ignorò la sua faccia sbalordita “sei qui per questo giusto? È per questo che mi chiami bambina, sarò la tua prossima cena?”
e no! L’avvio che stava prendendo la conversazione non gli piaceva per niente
–calmo, sta calmo! Lei non può saperlo, non ho mica scritto <tranquilli non mordo: ho l’anima> in fronte-
“cos’è non hai il coraggio di rispondermi? Di che hai paura, non vedi come sono magra? A te ti basta un dito per schiacciarmi! E lo farai, giusto? Lo farai! Stai solo aspettando la buona occasione!! Ma ascoltami bene:”
gli prese il bavero dell’adorato spolverino e si sporse minacciosa
“inferno o non inferno; niente m’impedirà di ucciderti la volta definitiva se solo ci proverai!” cambiò espressione e si trasformò in qualcosa di veramente diverso.
Le afferrò i polsi, bloccandoglieli dietro la schiena.
Si spinse a riflettere che prima di quel momento non l’aveva considerato davvero pericoloso
“e tu, tu ragazzetta? Io so quali sono le mie colpe e quali sono i conti che ho saldato, ma tu cosa mai puoi aver fatto di così degradante da essere sbattuta nel covo dei cattivi? Ti sei divertita troppo con la magia?”
–quasi centro al primo colpo, complimenti vampiro-
“o hai fatto giochetti sporcaccioni con un amichetto che poi si è vendicato perché non gliel’hai data?”
“non mi toccare!”
l’aveva sibilato con un’espressione da grande offesa stile Buffy prima maniera
“e perché? Siamo soli,giusto? E io sono un demone!
Uccido…bambini.
E non solo.
Vuoi sapere i dettagli, vuoi sapere i nomi?
Perché io me li ricordo.
Uno per uno.
E sono sicuro che farebbero un certo effetto su una piccola perversa come te”
si allungò a sfiorarle il collo con le labbra tumefatte.
Facendola rabbrividire senza nemmeno soffermarsi a chiedere per quale dei due motivi.
“be certo, al momento non sono al mio meglio… ma sono sempre stato uno con una buona ripresa!” “lasciami” doveva stare calma –mantieni il controllo, mantieniilcontrollo-
“ah! Riesci ad essere ripetitiva anche se cambi le parole!”
“che cosa vuoi fare con me?”
la fissò in maniera sin troppo apertamente allusiva, e dal modo in cui lo fece si pentì immediatamente di averlo chiesto.
“Vediamo…ho un’eternità da passare qui dentro in compagnia di una brunetta che se tace per tre secondi consecutivi e limita quelle espressioni facciali irritanti, può essere addirittura passabile! Tu cosa cred…”
per la seconda volta in pochi minuti la fissò sbalordito.
Stava…ridendo.
La lasciò inconsapevolmente andare e si toccò i capelli in un gesto infantile.
“ehi! Stavo finendo la mia arringa” assunse un’aria offesa.
Che non glielo fece sembrare poi tanto pericoloso.
Tanto che le venne quasi voglia di chiedergli scusa per averlo interrotto.
Maledicendosi per la sua stupidità.
Ma era così stanca! E non aveva proprio voglia di gettarsi in un altro duello verbale.
“sei un tipo logorroico tu eh?”
“logorroico” la guardò sinceramente ammirato “sembra quasi impossibile che al giorno d’oggi ancora qualcuno si ricordi cosa significhi!”
“al giorno d’oggi? Come sei snob! Cos’ eri, un letterato?”
“da vivo.”
Lo guardò senza capire.
E di nuovo lui alzò gli occhi al cielo come a sottolineare che non brillava per intelligenza.
“da vivo…ero un poeta!”
“come mia madre. E mia sorella…”
le venne da piangere quando i ricordi delle ultime ore la travolsero come una valanga e pensò che non era giusto che venisse separata dalle sue sorelline anche nella morte.
Pensò che era sola e che avrebbe dovuto passare l’eternità con un mostro da cui guardarsi perennemente le spalle.
E lo odiò per questo.
E dovette trasparire dal suo sguardo.
Perché attraverso il sipario delle lacrime lo vide sinceramente colpito,
arretrare come a voler scomparire –ridicolo!-
ferito di fronte al suo disprezzo –o forse no?-
eppure non poté impedire alla sua mano di tendersi verso quella di lui in un gesto disperato che implorava di non essere abbandonata.
Perché lui le faceva paura, e non si fidava.
Ma le faceva ancora più paura rimanere lì da sola.
Perché, pensò tristemente, non aveva più nulla: gli restava solo lui.
E pregò per non perdere anche quell’unica certezza.

Chi era lui per giudicarla?
Quella ragazza che sembrava una fatina delle fiabe di quando era bambino, con i lunghi capelli ondulati che le coprivano il corpo minuto come una stola di seta e gli occhi neri più grandi che avesse mai visto, poteva aver fatto qualsiasi cosa.
Poteva aver ucciso, torturato, ferito e scopato fino a sfinirsi.
Ma non avrebbe mai pareggiato il conto.
–mi sta chiedendo di restare con lei?-
guardò quella mano che già quasi lo sfiorava.
–cosa voglio fare?-
gli bastò un attimo per decidere e gliela strinse tra le sue.
–cosa ho da perdere?-

Si svegliò di soprassalto nel cuore della notte gridando
“oddio, o no!”
gettò in terra le coperte e cercò di alzarsi lottando contro lo stordimento, contro il terrore cieco che l’aveva avvolta.
Aveva ricordato.
Ogni cosa.
Aveva sentito il male soffocarla e aveva visto apparire le sue sorelle.
Aveva ricordato la trasformazione subita dai loro corpi, la bellezza innaturale di quel potere.
Era quasi morta.
E poi… stop. Via ogni cosa. Tabula rasa.
Che ne era stato del male, l’avevano sconfitto? E Meg e Liz erano vive? Chi era… Angel aveva detto di chiamarsi? Si poteva fidare?
Prese a camminare freneticamente in giro per la stanza, non sapeva che fare, non voleva stare ferma, non volava riflettere sulle sue colpe, non voleva nemmeno pensare che se lei avesse agito diversamente ora sarebbero tutte insieme e il male definitivamente fuori dai piedi!
Prese a tormentarsi i capelli sentendosi sola, stupida e impotente.
Voleva le sue sorelline lì con lei, ma non poteva fare più niente.
–sonomortesonomortesonomorte-
sentì la rabbia crescerle dentro, montarle nel cuore e raffreddarlo, anestetizzarlo.
Quella sofferenza lancinante sembrò acquietarsi, ma la sua temperatura corporea stava aumentando, l’energia inimmaginabile della sua rabbia incanalandosi verso le mani.
Cominciò a tremare.
Gli occhi le divennero bianchi.

Angel aveva sentito le grida.
Ovviamente non stava dormendo, anche se di giorno era sveglio quasi ininterrottamente non avrebbe mai distorto le sue abitudini demoniache riposando la notte.
Il vampiro che era in lui amava la notte.
Non avrebbe mai potuto farne a meno.
Di fretta attraversò il corridoio: aveva sistemato la ragazza nell’unica stanza ancora libera sul suo pianerottolo per essere costantemente a portata di voce.
E, a giudicare dalle ultime due notti, era stata una scelta sensata.
Poteva dire di essere praticamente abituato agli incubi continui della ragazza
–incredibile ancora non so il suo nome!-
da che si era svegliata dallo stato comatoso in cui l’aveva trovata, non aveva fatto altro che riposare in una condizione perenne di torpore.
Ma sia lui che Westly si erano trovati d’accordo fosse la soluzione migliore per permettere al suo fisico di rigenerarsi.
Poteva concedersi un minimo di calma: doveva solo andare da lei, rasserenarla e dimostrarle che non era sola, che poteva fidarsi.
Raffreddarle la fronte corrucciata con una carezza gentile, come aveva fatto già centinaia di volte
–almeno questa è l’impressione-
e aspettare che il sonno di cui aveva tanto bisogno l’acquietasse.
Solo che cominciava a essere preoccupato.
Le domande erano tante e invece di diminuire, col tempo, aumentavano continuando a ignorare le risposte, se pure ce n’erano!
La ragazza stava male, e anche se a livello fisico migliorava, mentalmente era ancora molto provata.
Gli incubi li capiva, oh se li capiva!
Solo lei poteva sapere ciò che il primo le aveva fatto.
Ma c’era sicuramente un dolore segreto che la tormentava
–lei soffre, aveva detto? A chi si riferiva? Forse se stessa! Devo darle il tempo di accettare ciò che le è accaduto, non mi può spiegare quello che non capisce. Devo essere pazien…-
si distrasse dal flusso dei suoi pensieri.
Gli sembrò che sotto la sua mano le pareti…stessero tremando…

§§§

Spike la strinse cercando di fermare il battito impazzito del suo cuore.
Aveva così bisogno di un contatto in quel momento, in quell’inferno, che non si sarebbe poi molto curato dei motivi per cui lo faceva.
Quella strana ragazza comunque gli faceva tenerezza.
Le passò le mani sui capelli…odore di buono, nonostante quello schifo.
“ne usciremo. Non so in che modo o…quando. Ma lo faremo. Tutti e due. Tranquilla.”
Alzò lo sguardo su di lui: era …dolce e consolatorio.
Si asciugò gli occhi con i palmi, come una bambina. “grazie…”
la guardò interrogativo “cosa?”
“non so nemmeno chi sei.. cioè il ..tuo nome!”
“non che un nome cambi granché qui dentro! Comunque: è Spike.”
Lo fissò riconoscente, con gli occhi brillanti di goccioline trattenute mentre ancora gli si stringeva “grazie ..Spike”
–non ha paura! Sembra quasi…sincera.-
“e tu?”
gli regalò un sorriso genuino “Meg”
-Deve essere accaduto qualcosa di veramente orribile Meg se una come te sta in un posto come questo, insieme a uno come me- la guardò tirarsi in piedi e le sorrise.
Ignorò il dolore dei lineamenti sfregiati
–qui dentro sembra volerci un’eternità. Mi chiedo quando inizierà a guarire- ne valeva la pena.

Angel entrò trafelato nella sua stanza, cercando di essere preparato ad affrontare qualunque cosa ci fosse al di là di quella porta.
Fallendo miseramente.
L’ immagine che vide non l’avrebbe mai più dimenticata.
Era l’essenza della disperazione e della rabbia.
Di un potere divorante a stento trattenuto.
Faticò a riconoscerla, ma avvertire il suo pericolo a trasformarsi fu un tutt’uno.
Era cambiata.
Non era più nemmeno umana.
Era…qualcos’altro.
Aveva la carnagione innaturalmente bianca e sembrava più alta, i capelli avevano perso la loro nera lucentezza ed erano semplicemente privi di una qualsiasi tonalità.
Erano.. corti…no raccolti in un crocchio arruffato; non avrebbe saputo dirlo.
Le iridi erano del suo rassicurante colore violetto
–l’unica cosa che mi ricorda che ancora ci sei-
ma il cristallino era bianco.
Rendeva il suo viso una maschera inespressiva.
Lo affascinava e terrificava.
Ancora una volta non avrebbe saputo quale delle due.
Provò ad avvicinarsi e venne immobilizzato da un gesto della mano di lei.
“piccola cosa ti succede?”
un altro gesto secco lo mandò a sbattere al muro.
–calmacalmacalma-
alzò di nuovo la mano e lo fece volteggiare per la stanza, interrompendosi nel momento in cui avvertiva le presenze terrorizzate di Cordelia e Westly appena fuori la porta.
Lo gettò in terra, dimentica di lui e si avvicinò fluttuando ai due paralizzati dall’orrore.
“Cordelia Westly andate via!” urlò Angel tenendosi una scapola.
La creatura si voltò infastidita verso di lui e stringendo le mani a pugno disse solo
“cuore”.
Fu come se qualcosa glielo stesse strappando dal petto, cercò di resistere ma il dolore fece emergere il suo demone relegato nell’antro sicuro della sua coscienza.
Si scagliò su di lei con ferocia e stranamente riuscì a gettarla sul pavimento bloccandola sotto di lui. Il dolore era cessato.
Sarebbe stato in grado di fermarsi se solo l’avesse voluto.
Ma era infuriato.
Possibile che si fosse sbagliato tanto? Che l’avesse considerata un’innocente ragazzina mentre in realtà era qualcosa a cui nemmeno sapeva dare un nome?
La doveva pagare! La creatura lanciò un urlo isterico e si torse sotto di lui, inclinando il busto in avanti e scoprendo il collo sottile.
Mossa davvero sbagliata.
Angel non perse tempo a riflettere; non cercò nemmeno di calmarsi e affondò i denti nella sua giugulare.
Non voleva marchiarla, farla sua, quello non era un modo per affermare il suo possesso su di lei. Voleva ucciderla.
Non ebbe neanche il tempo di succhiare la prima sorsata, di riconoscere il sapore del suo potere, che sotto di lui sentì la corporatura cambiare e il corpo riassumere le sue fattezze umane.
Aprì gli occhi
–non ricordavo di averli chiusi-
quando riconobbe le braccia di Westly issarlo dal corpo di lei scosso da tremiti e singhiozzi.
Vide Cordelia sollevare con un certo sforzo il seppur minuto corpicino.
Con un gesto gli chiese di essere lasciato, cercando di rassicurarlo con un sorriso che non convinse nemmeno se stesso.
Li lasciò ad occuparsi di lei.
Con un solo pensiero in testa
–non mi sarei fermato…-

Spike la tirò in piedi facendo leva sul suo corpo per non perdere l’equilibrio.
Gli sembrò impossibile che fossero ancora vivi –bè si fa per dire!-
Avevano scelto una direzione a caso e si erano incamminati
–che senso ha rimanere fermi qui a crepare?-
ignorando completamente quale potesse essere quella più opportuna.
-è come un labirinto, senza labirinto! Non ne usciremo mai!-
Aveva sempre pensato che il caldo infernale fosse un luogo comune.
Niente di più sbagliato.
Le sembrava di sciogliersi da un momento all’altro.
Se fosse stata sola sicuramente si sarebbe spogliata, invece resisteva stoicamente.
Per orgoglio.
Per Spike era tutto un altro discorso.
Lui non badava ai condizionamenti del buon senso, del…pudore.
Se Spike aveva caldo, Spike si spogliava;
e se a lei questo imbarazzava, lui si divertiva a prenderla in giro.
I vestiti miracolosamente integri, per l’eccessivo calore delle fiamme che l’avevano condotto all’inferno con un biglietto di sola andata e tanti saluti, si erano attaccati alla epidermide.
Spike sapeva che se non li avesse tolti immediatamente e la pelle avesse cominciato a rigenerarsi, dopo sarebbe stato molto più doloroso.
Anche così non fu per niente piacevole.
Ma da attore consumato quale era si permise addirittura un sorrisetto di scherno a Meg che lo guardava incuriosita mentre si calava i pantaloni.
La vide diventare fosforescente come una lampada alogena quando si accorse che non indossava biancheria. E distolse lo sguardo.
“cosa amore? Non ci credo, una come te non può non aver mai visto un uomo nudo!”
si voltò dal lato opposto, continuare quel teatrino era diventato troppo faticoso.
Lei si soffermò per la prima volta a riflettere sullo stato in cui era il corpo del vampiro. Completamente carbonizzato:una macchia di carne e sangue che avrebbe potuto dimostrare venti come cent’anni. Doveva essere molto doloroso.
Sapeva che i vampiri si uccidevano col fuoco, ma non si era mai chiesta cosa significasse morire tra le fiamme. La risposta ce l’aveva davanti agli occhi.
“ti fa male?”
la fissò quasi risentito
“hai ragione, domanda idiota! Rilancio: vuoi che faccia qualcosa per..” ammutolì
–è un mostro,undemoneundemoneundemone. E tu vuoi…guarirlo?pazzapazzapazza-
“e che potresti fare per me dolcezza?” la squadrava con aria strafottente
“niente, mi dispiace” rispose ipocrita –crepa vampiro-

Non c’era sole, non c’era giorno, né notte.
Il tempo era sempre uguale nella sua fissità immobile.
Meg si guardò i piedi nudi sconsolata, pensando alle piaghe che la tormentavano.
Non avrebbe resistito molto ancora. Non c’era modo di capire da quanto erano in cammino quando giunsero dinnanzi ad un’enorme distesa acquitrinosa.
“che facciamo?”
Spike si girò ad aspettarla
–è da un po’ che rimane indietro.-
l’idea di immergersi probabilmente fino al busto in quella schifezza non era certo come un unguento curativo per la sue piaghe.
“o mio dio!” si lasciò cadere al suolo sconsolata
–un demone che invoca dio,che assurdità!-
“dio qui dentro centra poco e lo sai!”
eppure quante volte anche lui ci aveva pensato
–che assurdità!- si ripeté.
Meg si guardò nuovamente i piedi e il vestito ridotto a uno straccio e Spike rise.
“non ci sono più le demonesse di una volta che squartano e sguazzano negli acquitrini col trucco perfetto, il sorriso sulle labbra e il vestito della festa!”
lo guardò come se fosse ammattito –demone? Crede che sia un demone?-
lo vide chinarsi e armeggiare coi suoi lacci.
Lo guardò come se fosse un alieno in procinto di staccarle la testa quando le lanciò i suoi anfibi
“a buon rendere!”
li prese in mano, enormi, almeno un 44.
Restò fissa lì, impalata e incredula.
“cosa amore, non sono il tuo genere?”
–mi ha dato le sue scarpe!!! È stato…altruista! Ha pensato a me, mi ha dato le sue scarpe! Io non l’avrei fatto! Perché?-
si era appena accorta che aveva parlato. “solo…sono…grandi!”
aveva balbettato qualcosa che pregò lui non sentisse per quanto era stata stronza.
–ti da le sue scarpe nonostante lo stato in cui è, e tu che fai? Ti lamenti della misura? Razza di idiota! Farebbe bene a riprendersele!!-
e sperò con tutto il cuore che non lo facesse.
Esibì un sorrisino “allora me le riprendo”
“no!” gridò quasi vergognandosene dopo profondamente.
Avrebbe voluto sotterrarsi lei stessa in quella melma. “ok! Picchiami!” abbassò il capo
“istinto di sopravvivenza!” si voltò ed entrò nel fango;
molto più disposto a capirla di quanto non fosse lei stessa.

E quello era stato l’errore.
Erano usciti dalla palude.
Almeno una decina e li avevano circondati.
Meg fu afferrata alle spalle da uno di quei giganti putrescenti, sollevata e scagliata nella fanghiglia alta fino a venirne sommersa.
Spike corse nella sua direzione per aiutarla, ma fu intercettato da quattro di quegli esseri a quanto pare molto più interessati a lui che alla strega.
“Meg” chiamò stremato, sopraffatto dai demoni “Meg!!”
uno di quei mostri le teneva la testa immersa nel pantano,stava soffocando.
No no no.
Era sopravvissuta fino ad allora, non sarebbe morta affogata.
Non sarebbe morta di nuovo.
Strinse gli occhi, i denti, i pugni e invocò il potere.
Per la prima volta razionalmente, senza esserne invasa e violata.
Il demone che la teneva si sciolse all’istante in una fanghiglia.
E poi toccò a quelli che imprigionavano Spike. E poi a tutti gli altri.
Stremata cadde riversa nell’acquitrino e sarebbe affogata.
E morta.
Ma c’erano le sue mani a sorreggerla.

Aprì gli occhi sbattendo le ciglia impastate più volte.
E vide che la stava guardando.
Ovviamente cosciente che si era svegliata.
“mi dici chi sei?”
“quella che ti ha appena salvato la vita!”
“appena? Non direi! Dormi da… non so da quanto! Ma comunque è parecchio!”
“parecchio?”
“talmente che ho avuto il tempo di finire la nostra cura di bellezze in quella poltiglia salutare!”
Era vero.
Erano all’asciutto.
“dove siamo?”
“ho trovato una specie di isoletta. Spero non sprofondi all’improvviso o siamo nella merda”
rise “lo siamo comunque!”
“ ma sentila: pure spiritosa! Allora piccola mi dici chi sei?” si era avvicinato e l’aveva aiutata a mettersi seduta.
E lei era stata disposta –felice?- di quel contatto.
“sono una strega!”
“non puntualizzare l’ovvio! Dimmi qualcosa che non so!”
“che vuoi sapere?” era giusto che sapesse, l’aveva salvata, glielo doveva.
“che voglio sapere? A che gioco stai giocando? Ho visto in cosa ti sei trasformata! Sei una specie di divinità infernale esiliata? Chi sei…cosa sei..? cosa voglio sapere: non farmi ridere, tu non mi farai sapere niente più di ciò che sei disposta a dirmi!”
era davvero stanco di salvare tutti ed essere preso per il culo.
Si era alzato e camminava avanti e indietro infastidito.
Meg sospirò e gli indicò il pezzetto di terreno vicino a lei “siediti. E prometti che mi crederai…”

§§§

Si alzò dal divano inquieto.
Angel prese ad osservare con sguardo insoddisfatto la catalogazione dei volumi nella scaffalatura della stanza di Westly.
“non sono in ordine alfabetico, e neppure per argomento”
non si era nemmeno voltato riconoscendo l’inconfondibile andatura di Cordelia che, ormai ferma, lo guardava appoggiata allo stipite
“lei sta bene” gli aveva sorriso “ha detto che ti vuole parlare”
per poco non inciampò nei suoi stessi piedi, per la fretta di voltarsi.
Lui che camminava fluido come un modello della pubblicità dei jeans, sempre coordinato ed elegante.
“Angel!” Cordelia soffocò un risolino “sta attento che se mi ti spalmi sul tappeto…”
non finì la frase alla vista del suo sguardo serio
“Angel…ma che hai?”
la fissò con sguardo irritato
“hai visto che stavo per fare, no? Credo che basti a spiegare perché sono…”
non lo fece finire, troppo abituata a tiralo su dai suoi momenti di scoraggiamento per prestare vera attenzione “se non ti vuole impalettare lei, non vedo perché dovrei provarci io, o… te stesso. Quanto a Westly…lui non è neppure dell’idea!”
scosse la testa con violenza “non voglio vederla!”
e in quel momento si pentì di averlo detto.
Perché dall’altro lato della stanza, battagliera, mani sui fianchi, stava Cordelia Chase a fissarlo, facendolo sentire un insetto nella migliore imitazione dello sguardo che Queen C usava al liceo per intimidire gli idioti che si azzardavano ad avvicinarsi.
Provò la tecnica opposta.
Si portò le mani alla fronte massaggiandosi le tempie “Cordy…”
lei con quattro passi gli si piantò davanti
“oh non ci provare sai! Conosco quello sguardo, vivo con te, ricordi? Tu tiri fuori gli occhioni quando vuoi scusarti perché stai per buttarmi fuori dai piedi. Sai che è scortese, ma hai un viscerale bisogno di deprimerti in solitudine e vuoi che io ti perdoni in anticipo! Ma no caro mio! Stavolta tu entri nei tuoi bellissimi scarponcini e ti schiodi dalla camera di Wes, che tra poco dovrà venire a dormire nella mia per disperazione visto che…”
prese un respiro come se stesse per immergersi in apnea e diede fiato alle trombe
“…da quando ci sei entrato, cioè sette ore fa, non ne SEI più USCITOOOO!”
ansò pesantemente e lo trapassò con gli occhi “bello mio, ora ti muovi!”

Spike la guardava incredulo. Ogni più piccola frazione del suo essere avrebbe voluto urlare.
Lei aveva salvato il mondo. E lui aveva rinunciato alla sua non-vita inutilmente.
Peggio: lei era morta eroicamente nello scontro con il male e lui era stato convinto, fin dal primo momento che l’aveva vista, che fosse un demone spietato e corrotto nascosto sotto lo smalto di una bambola di porcellana.
E invece lei aveva perso tutto.
La vita. Le sorelle. La proprietà di se stessa, a quanto pare.
E lui non si era mai preoccupato di dubitare! Non brillava per intuizione, al momento!
Eppure avrebbe dovuto pensarci: tutti e due lì, insieme, morti dopo aver sconfitto lo stesso nemico e arrivati all’inferno quasi contemporaneamente.
–coincidenze? Non diciamo cazzate!-
“perché siamo qui?” lo fissò come se fosse un bambino non molto furbo per giunta.
Le salirono alla bocca centinaia di rispostine adeguatamente ironiche.
Ma quando incrociò i suoi occhi…di nuovo quegli occhi… “immagino che non lo sapremo mai…” “ti sbagli bellezza!”
–so cosa fare.-

Era uscito dalla stanza, incazzato nero.
Non aveva mai tollerato che gli si dicesse cosa fare.
Un lampo d’ironia gli attraversò le iridi scure.
Quando era Angelus quelli che ci provavano non finivano nemmeno sul suo menù del giorno. Finivano e basta.
Solitamente in un vicolo, col collo spezzato.
L’orrore lo travolse. Si appoggiò alla parete con un braccio, perché si sentiva insicuro sulle gambe. Aveva ripensato a se stesso. Alle atrocità commesse.
E non aveva provato rimorso.
Cominciò a tremare impercettibilmente
–nononono-
aveva provato un vago senso di fastidio, questo si, ma il dolore che da anni lo atterriva…
quello non lo aveva sentito.
–non sono lui!non posso essere lui! Nonsonoluinonsonolui-
si era abituato, ormai da un tempo infinito a riferirsi a se stesso in terza persona.
Quando il pacco cosmico di posta celere contenente l’ anima era stato rimandato al mittente, lui l’aveva avvertita come un corpo estraneo, e aveva continuato a sentirsi padrone di se stesso.
Non era la sua anima quella, non era Liam.
Per fortuna.
Come Spike anche lui non aveva una grande opinione di sé, da vivo.
Vivo.
In un lontanissimo e sfumato passato, era stato vivo.
Cominciava a dimenticarsene sempre più spesso.
Poteva ignorare il pacchetto sempre più voluminoso e continuare a divertirsi.
Alle volte si scopriva a non aver voglia di uccidere e allora la dama bionda gli faceva trovare dei regalini nel letto.
E andava bene così.
Era la sua natura.
Non si poteva crucciare di un comportamento naturale.
La specie più forte si nutre di quelle inferiori.
Non si curava della catena di colpe che piano piano gli serrava il petto in una morsa.
Poi era venuto il dolore.
Sempre più forte, intenso a ogni vittima che trafiggeva coi canini.
Fino a che non era più stato possibile ignorarlo.
Aveva un’anima.
Un’appendice dolorosa che gli ricordava che era un assassino, invece che un vampiro che rispettava le usanze della sua specie. Gli ricordava che era un mostro.
–sono solosolosolo-
dissimulò un comportamento disinvolto quando vide di sottecchi Westly uscire dalla camera della piccola. Non avrebbe capito.
Come tutti gli altri, non avrebbe mai potuto capire.
Sapeva che qualcosa sarebbe accaduto presto.
Non aveva paura.
–sta tornando…-

Cordelia era molto soddisfatta di se stessa. L’aveva smosso.
Era ridicolo, alle volte, pensava di…ah non sapeva neanche lei cosa pensava.
Ma di sicuro non le piaceva. Non che fosse così isolato dal resto del mondo e soprattutto da lei e Wes, la sua famiglia. Specie nell’ultimo periodo.
Nascondeva qualcosa. Non che ne avesse le prove, era sempre il solito, adorabile Angel che si preoccupa di tutto e per tutti.
Ma… alle volte… c’era un rumore di fondo che strideva… qualcosa che gridava nelle sue orecchie -sta attenta ai segnali!-
anche se fuori la vita taceva
-ma quali segnali?-
doveva avere paura? Di Angel? Impossibile!
Lei amava Angel, come ogni persona se solo l’avesse conosciuto.
Come si faceva a non volergli almeno un pochino di bene? Era il suo sostegno, il migliore amico e prima ancora la sua ancora salda nel mare in tempesta di LA.
- <hai idea di quanto male circoli qui, di notte? E non parlo solo di demoni!>
gli aveva detto, infuriata, un giorno che si preparava ad andare di ronda nonostante una spalla ferita da una pugnalata e tre costole rotte. L’aveva guardata indulgente.
<la fuori stanotte ci sarà qualcosa di peggio!> aveva detto serio
<cosa?> aveva chiesto incredula.
Si era voltato
<io.>
Era uscito nel buio. -
Se lo ricordava quel momento. L’aveva presa come quello che era, una battuta rassicurante.
Fatta per tranquillizzarla. Era così?
Sconsolata guardò il lavello della cucina pieno dei piatti sporchi degli ultimi tre giorni.
Con tutto quello che era successo avevano trovato appena il tempo per mangiare.
Sospirò tirandosi su i capelli in un codino che lasciava libera qualche ciocca e infilò i guanti.

Era entrato nella stanza senza fare rumore.
Non la voleva svegliare.
Wes l’aveva avvertito che stava dormendo, di fare piano.
Rise.
L’amico tendeva a dimenticare che lui anche da li fuori poteva dirgli qual’era la sua pressione arteriosa e, naturalmente, poteva riconoscere lo stato di veglia da quello di sonno dal ritmo cadenzato dei respiri.
Non si era mai chiesto se Westly sapesse certe cose.
O se preferisse ignorarle.
La cosa non gli piaceva.
Si era seduto sulla poltrona affianco al letto, contemplando il cerotto sul collo di lei, che testimoniava come un vessillo che non sarebbe mai stato come gli altri.
Non avrebbe saputo dire quanto tempo gli ci volle, ma anche lui piano scivolò nel sonno.

Ah! Le prudeva la schiena!
Stava ancora facendo i piatti Cordelia quando un insistente ciocca di capelli aveva preso a solleticarle la schiena scoperta dalla scollatura della maglia azzurro polvere.
–detesto queste cose: non potermi grattare perché sono qui a giocare a fare la cenerentola! E pensa tu che prima di venire qui non ho mai toccato un piatto in vita mia! Mia madre diceva che “certe cose” era meglio lasciarle fare agli altri! Dio come le do ragione in questo momento! Si! E poi magari finisco anch’io sposata a un uomo che non amo…nemmeno per soldi…anche lei stava bene di famiglia, in fondo…no…per comodità!-
si era persa come sempre in un mare di riflessioni inutili, che certo non avrebbero asciugato i piatti al suo posto, ne le avrebbero grattato la schiena!
Scosse il collo come se quel movimento le potesse dare un po’ di sollievo e strinse gli occhi
–detesto avere le mani occupate-
si rilassò immediatamente come un gatto che fa le fusa sotto il tocco del padrone.
Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, completamente soddisfatta che il prurito era scomparso. Soffiato via da una carezza gentile.
La stessa che, forse, le avrebbe fatto Doyle se ne avessero avuto il tempo.
–Doyle se almeno fossi qui…-
sospirò impedendosi di continuare quel pensiero.
Un sussurro nelle sue orecchie…si.. le sembrava….le sembrava quasi di averlo sentito…
-sono qui, principessa-
un’ombra…

Meg si fermò di scatto, decisa a non muovere più un passo.
“Spike” lo chiamò lamentosa “sono stanca, fermiamoci un momento” era vero.
Camminavano da un tempo interminabile.
Non avevano ancora perso quella fastidiosa abitudine e cercavano di quantizzarlo in qualche modo senza molta fortuna.
Si accasciò a terra.
E Spike tornò verso di lei con uno sguardo indecifrabile.
Le afferrò il braccio e la fece alzare
“cammina, forza muoviti” la trascinò per come poteva, ma anche lui stava crollando.
Meg non riuscì a proferire parola troppo sorpresa di quell’atteggiamento freddo e arrogante.
“Spike, ma che ti prende”
lo strattonò per liberarsi e caddero tutti e due, instabili com’erano sui loro piedi.
“che mi prende? Di un po’ vuoi morire?”
arrancò fino a lui e gli afferrò le spalle incurante dei pezzetti di pelle squamata che le si attaccavano alla mano. Incurante del dolore che gli provocava.
“morire, se voglio morire? Siamo già morti, questo è l’inferno e non c’è nessun altro posto in cui potremo arrivare anche se continuiamo a camminare fino a sfinirci!”
Spike soffocò il dolore in una risata ironica
“hai carattere, dolcezza! Non c’è che dire. Ma ti conviene mollarmi le spalle prima che un pezzo di pelle troppo grosso ti rimanga in mano scoprendo le ossa!”
un lampo di puro stupore le passò negli occhi neri.
“mi dispiace” sussurrò abbassando lo sguardo.
“me lo dici davvero spesso. Ma non impari!”
rialzò gli occhi risentita “questa è la prima volta che te lo dico e tu…” si bloccò.
Lui la stava fissando con quello sguardo, quello da –che ti ho appena detto?-
“d’accordo non imparo mai.” Mormorò sconfitta.
“non importa, sei giovane. Avrai tempo per imparare quando tenere la bocca chiusa. Quanti anni hai? A occhio e croce direi che sei sui venticinque”
“ventitre. E tu? Voglio dire.. è da molto che sei un vampiro? Tu sei un vampiro giusto?”
“perché non si vede?”
“bé…vedi sei tutto.. cioè.. nello stato.. no, perché nel…Spike non voglio essere meschina e ricordarti … lasciamo stare”
l’aveva guardata per tutto il tempo sinceramente divertito per come lei si impegnava a fare la brava bambina. Le si avvicinò un pochino di più e allungò una mano verso il suo viso per sfiorarle la guancia, dimenticandosi che le avrebbe fatto paura, o schifo.
Ricordandosene immediatamente quando le sue dita massacrate stavano per toccare la sua pelle che perfino sotto quel fango sembrava luminosa.
E ritirando la mano prima di venire scacciato.
Scosse la testa “ah, lo so. Al momento il mio fascino è un tantinello offuscato, ma vedrai che presto sarò di nuovo bello come un fior…”
si voltò stupito, con gli occhi quasi fuori dalle orbite.
Gli aveva preso la mano e ora gliela sfiorava per non ferirlo.
E quando lui la guardò per capire fino a che punto era pazza, la vide.
Stava sorridendo.

Era un bel posto quello.
Aveva un vago sentore di familiarità, eppure ricordava di non esserci mai stato.
Ed erano pochi i posti in cui un vampiro di 250 anni come lui non era stato.
Guardò fuori dalla finestra: una strada illuminata da qualche lampione, aiuole di fiorellini gialli e rossi, niente auto, niente rumori.
“è bellissima vero?”
a sua voce lo fece voltare verso il divano.
Strano come fino a quel momento non si fosse accorto che lei era li.
“dove siamo?”
la ragazza sbuffò “cosa vuoi che ne sappia?”
si alzò dalla poltrona e si avvicinò alla finestra andandogli accanto
“non pensi che si ora di finirla con questi trucchetti? Vuoi dirmi chi sei?”
lo contemplò come se fosse uno scocciatore impertinente “quante domande difficili! Rilassati!”
la guardò bene: davvero molto bella, diversa da come la ricordava.
Forse perché in questo sogno lei non doveva per forza avere quel corpo tormentato dagli artigli del male.
Già, sogno! Nessuno glielo aveva mai spiegato come riconoscere il sogno dalla realtà, ma aveva sognato talmente tante volte cose che non avrebbe mai avuto, che ormai si destreggiava bene.
“allora… tutto questo è opera tua?”
la ragazza si era andata a stendere di nuovo sul divanetto di pelle rossiccia
“vorrei poterti rispondere di si, ma spiacente ti sbagli”
Angel notò che per poco non digrignava i denti “noto un leggero atteggiamento ostile”
“è vero, chiamalo istinto” quella risposta gli piacque e le concesse un sorriso obliquo mentre si versava un bicchere di liquido ambrato
“non credevo bevessi..”
Angel riflettè un secondo su ciò che stava facendo, era vero lui non beveva mai.
Gli ricordava…no, lui non beveva.
Posò il bicchiere sul tavolo di marmo e quando si voltò se la ritrovò a pochi centimetri dal viso.
Se si fosse chinato, avrebbe potuto baciarla.
Le tirò su il mento osservandola con movenze da intenditore “come sei graziosa”
“come sei scontato”
“hai carattere, non c’è che dire! Mi piacciono le donne di carattere”
“già, anche a me piacciono gli uomini di carattere! Peccato che scarseggino”
Sorrise,si stava rivelando una compagnia interessante
“allora, vuoi dirmi almeno il tuo nome?”
“divertente! Come se tu non lo sapessi”
la guardò concentrando su di lei tutta la sua attenzione, che diavolo significava che avrebbe dovuto saperlo? Non poteva saperlo, non l’aveva mai vista!
-questa situazione diventa ridicola-
“non so il tuo nome, e non so perchè sei qui. Non so chi sei. Dimmelo”
La ragazza gli sfilò un sigaro dalla tasca della giacca, lui seguì la traiettoria delle sue mani e solo allora fece caso a come era vestito.
Un tempo aveva avuto una giacca simile…si toccò il mento…aveva la barba.
Guardò lei. Deliziosa nell’abitino di velluto rosa pallido con la scollatura rotonda e il merlettino, poteva intravedere i bottoncini di madreperla sulla schiena.
Quelli non erano vestiti che una ventenne del ventunesimo secolo avrebbe mai indossato.
Il fumo del sigaro gli arrivò alle narici
“dimmi chi sei” stava iniziando a perdere il controllo di se stesso,
la ragazza lo sfiorò con uno sguardo annoiato
“se ci tieni tanto a sentirti ripetere un nome che già sai…Kate”
Aprì gli occhi tirando un lungo artificioso sospiro.
Si guardò distrattamente intorno e riconobbe il familiare arredamento della camera.
Si era sbagliato…quello non era un sogno.
Era un ricordo.

§§§

Spike sfinito si lasciò cadere sul terreno melmoso e umidiccio.
Avevano sguazzato in quel pantano fino a che non ne erano usciti.
Un tempo interminabile.
Meg inginocchiata al suo fianco gli sosteneva amorevolmente la testa con le mani.
“non possiamo rimanere fermi qui, dobbiamo trovare un posto per riposare, possibilmente dormire, tutti e due” sospirò.
Da quando erano stati attaccati durante il sonno da una specie di lupo mannaro più feroce del previsto avevano stabilito i turni di veglia e sonno.
Ma ora non potevano più continuare così.
Le ferite di Spike non accennavano a migliorare e il fango che gli si era seccato addosso le aveva infettate. “non capisco Spike, dovrebbero rimarginarsi” gli carezzò la fronte aggrottata.
Spike aprì gli occhi e le sorrise “ce ne hai messo di tempo per iniziare a preoccuparti!”
cercò di rialzarsi, faticando incredibilmente.
Non voleva che lei lo vedesse come un digustoso relitto affondato nel fango.
“perchè vuoi fare l’eroe? Sta giu, approfitta di questo momento di pausa e riposa”
si rassegnò incredibilmente più sollevato e cercò inutilmente una posizione comoda.
Con gli occhi chiusi la sentì sedersi al suo fianco.
“dai ho capito. Non mi dai mica fastidio, sai!”
gli sorrise sbarazzina mentre lo aiutava ad appoggiare la schiena martoriata sulle sue ginocchia.
Lo fissò negli occhi blu e le venne da pensare che era strano che in tutto quel marroncino di pelle bruciata l’unica nota di colore erano quegli occhi, che le avevano impedito di abbandonarlo, che le avevano dato il coraggio di implorare di non venire abbandonata, e che in qualche modo le permettevano di affezionarsi.
-Bè certo… anche quei capelli!-
Cercò di non mostrarsi imbarazzata e soprattutto di non scivolare con gli occhi più in basso del torace.
Un leggero rossore le imporporò il viso e Spike alzò il braccio verso di lei per spingerle indietro la fronte con un dito.
Come si fa con i bambini stupidi.
“ehi!!?” esclamò lei indispettita,
lui la guardò sornione “a che stai pensando?”
Meg diventò praticamente un’aragosta sognando di sprofondare nella melma di poco prima.
E poi lo sentì ridere.
La prima sincera risata da che l’aveva visto.
Una cosa incredibile: irresistibile e argentina.
No, quello non poteva essere un demone!
Una risata del genere stava bene su un ragazzo gentile e sicuro, che ama i libri e la partita la domenica.
Era una risata talmente cristallina che non poteva essere stata sporcata dal sangue.
–me lo dirai prima o poi chi sei?-
Rise con lui.

Da quando si era svegliata in quella umida mattinata, tre ore prima, aveva desiderato scuoterlo. Parlargli. Mentre era lì, su quella sedia.
Sembrava stesse sognando.
L’aveva osservato con attenzione muovere rapidamente gli occhi sotto le palpebre.
Ricordava vagamente qualcosa sulla fase rem… i suoi studi del liceo, ma aveva scelto un’altra strada; dimenticando.
Riportò gli occhi su di lui. Niente.
Le era mancato il coraggio. Ed era rimasta intontita a fissarlo.
L’avrebbe uccisa, l’aveva quasi uccisa. E lei stupida non trovava di meglio da fare che aspettare di vedere quei due spiragli di notte ambrata dischiudersi, e riconocerlo.
Il suo salvatore, nascosto sotto la faccia di un bellissimo uomo.
E lei non aveva paura, perché l’aveva strappata al pericolo.
Due volte, contando il morso.
Difesa da se stessa.
Era ancora in debito.
Si stropicciò gli occhi distrattamente e si sollevò dal letto.
La testa le girava ancora un pochino.
Il tizio buffo…Wes..le pareva, si…Westly.. diceva che non c’era da preoccuparsi.
Non era in pericolo di vita.
Era viva.
Era stata fortunata.
O forse non era fortuna, forse c’era una ragione per la quale lei era stata risparmiata…forse Meg… si asciugò silenziosamente una lacrima dispettosa.
Per niente al mondo avrebbe voluto farsi trovare da lui mentre piangeva.
Cercò di calmarsi distendendo le giunture intorpidite dalla lunga degenza.
In fondo se lei era viva questo significava che aveva una speranza.
Doveva pur significare qualcosa.
Le avrebbe trovate. Vive o morte.
Avrebbe riabbracciato i loro corpi caldi o le loro tombe.
Ma non si sarebbe accontentata di un feretro vuoto.
Ora lo sapeva.

Una figura grottescamente distorta apparve nel freddo grigiore innaturale della camera.
Un vento che odorava di stantio recava con sé alcuni strani bagliori.
La donna, meravigliosa nell’abito rosso attillato, troneggiava al centro della stanza stridendo incredibilmente col resto dell’ambiente.
Allungò una mano in direzione della figura dal volto ombreggiato chinandosi a baciarne la bocca lasciandosi andare a un sorriso voluttuoso quando un’appendice squamata della creatura le si avvolse attorno alla vita.
“non essere impaziente”
rise carezzandosi le labbra con le dita in un gesto fintamente pudico.
La sua espressione s’indurì quando uno dei baluginii luminosi che sembravano alimentare quell’alito infernale le raggiunse l’orecchio.
“il vampiro…può essere un problema...”
La figura che era con lei parve estendere la sua massa muscolare e riempire tutto lo spazio con la sua sola presenza.
Cominciò lentamente a svanire, percorso da piccole onde trasparenti.
Quando la mano di lei lo bloccò.
“non essere impaziente” ripetè.
Una luce crudele le dipingeva lo sguardo.

Kate lo vide riaprire gli occhi.
Erano come buchi neri luminosi.
C’erano storie mai raccontate e già vissute sotto quella superfice lucida.
C’erano vite, e passione.
Dolore.
Ricordi.
E voci. Suoni lamenti preghiere.
E ancora dolore.
Lo vide piegare il collo per distendere i nervi indolensiti.
E rimase incantata a fissare la linea perfetta della fronte leggermente aggrottata.
“ciao. Ben svegliato.”
Angel alzò lo sguardo verso la direzione della voce e una piccola insistente contrazione dei muscoli della schiena lo fece irrigidire sulla poltrona.
Era la stessa ragazza che aveva appena lasciato in un salottino vittoriano illuminato scarsamente da tenui candele.
Nella sua mente.
Aveva razionalmente pensato che fosse molto più bella, nello stato onirico del suo ricordo.
Ma questo prima di rivederla.
“ciao a te” le sorrise improvvisamente imbarazzato.
Eppure qualcosa in quella ragazza, che continuava a rimanere per lui ostinatamente un mistero, lo faceva sentire a suo agio.
Controllò la confusione rilassandosi, a dispetto della tensione accumulata che non era stato in grado di smaltire neppure nelle ore di sonno che si era concesso.
“come ti senti questa mattina?”
Kate lo fissò incuriosita “come fai a sapere che è mattina?”
le persiane abbassate impedivano qualsiasi visuale e la stanza era fiocamnte illuminata dalla lampadina sul comodino.
“se ti concentri puoi sentirlo..” disse mentre socchiudeva gli occhi distendendo il capo
“…il sole?” chiese lei titubante.
Lui la guardò accennando un risolino “no. Il ticchettio dei tacchi di Cordelia”

Spike indicò con un gesto la sporgenza solida che se fossero stati sulla terra avrebbe definito rocciosa.
“è lì.”
Si voltò aspettando che Meg lo raggiungesse.
E si avviò verso la profonda voragine che si apriva improvvisa al di là di quel rialzo.
La mano di Meg lo carezzò piano una spalla
“non credo di voler sapere cosa c’è dopo”
“non hai altra scelta” le prese la mano ignorando il dolore che ormai si faceva sempre più insistente e si incamminarono.

“credi di potermi dire finalmente il tuo nome?”
la sensazione di dejavù non fu affatto piacevole.
Si ritrovò a stringere impercettibilmente i pugni
–fa che non sia lo stesso-
“Kate, ma non mi pare che tu me l’abbia chiesto prima di ora. O che io mi sia rifiutata di dirtelo” Angel sentì un subitaneo calore invadergli il corpo, come se fosse febbricitante.
Il che era assurdo. Una nuova vampata gli strappò quasi un gemito.
Fu come se un artiglio gli lacerasse le viscere e le divorasse, mentre appartenevano ancora al suo corpo. Si piegò sulle ginocchia dissimulando il dolore in un eccesso di tosse.
Sperando con tutto se stesso che lei ignorasse che la sua condizione di immortalità lo poneva al riparo da qualsiasi tipo di malattia umana.
Inalò profondamente come se quell’aria fosse un refrigerio gelato per le sue membra trafitte.
E il dolore così come era arrivato scomparve.
Dal suo sguardo incuriosito capì che doveva essere durato poco più di qualche secondo.
“sembri davvero a pezzi”
gli andò incontro volendo posare una mano innaturalmente fredda sulle sue tempie.
Angel avrebbe voluto sottrarsi a quel contatto.
Sapeva che non avrebbe mai più dovuto toccarla.
Non dopo quello che le aveva fatto.
Si alzò annullando tutto lo spazio intorno con la sua magnetica figura.
Ponendo fine a quel leggero sfiorarsi.
“scusa ora devo andare”
“dobbiamo parlare…”
si allontanò andando verso la porta. Fermandosi appena un’istante, il tempo di sentirla mormorare “…Angel”
voltò il capo inchiodandola al pavimento, mozzandole il respiro.
Solo con uno sguardo.
“si. Lo faremo” uscì dalla stanza.

Meg avanzò con fatica cercando di stare al passo di Spike.
Nonostante tutto era sempre lui il più veloce. Gli regalò un’occhiata di sincera ammirazione.
Da quando se lo era visto crollare addosso rischiando di schiacciarla non aveva mai pensato di poter provare qualcosa di molto simile alla comprensione per un vampiro.
Spike ricambiò lo sguardo “è fatta piccola. Siamo in cima”
Erano sulla sommità di una specie di rupe che avevano scalato con fatica senza preoccuparsi di quanto questo avrebbe potuto sfinirli.
Meg si avvicinò a lui che già guardava il territorio sotto di loro e istintivamente fece per afferrargli una mano prima di autocensurarsi per un gesto davvero stupido
–si brava! Magari bacialo pure!-
gli si affiancò e sbirciò da dietro la sua spalla tumefatta, come se potesse essere l’unico scudo contro il male in agguato.
Sigillò istantaneamente le palpebre, colpita da un tremito che la costrinse ad accasciarsi sul terreno scivoloso.
Al suo fianco Spike dominò il panico che si insinuava nella sua mente digrignando i denti; prima di trasformare il suo volto automaticamente in quello della caccia.
La prima volta da che era all’inferno.
Sapeva, al contrario di lei, ciò che evrebbe potuto vedere. Eppure non era preparato…a quello.
Guardò Meg che si contorceva ai suoi piedi, in preda a una crisi di panico.
Neanche faceva caso a lui.
Un dolore improvviso lo colse al petto.
Un bruciore che allontanava da lui qualsiasi pensiero razionale che non fosse la sofferenza.
In un ultimo sprazzo di coerenza sentì, senza riuscire a spiegarselo, che quello non era un dolore suo. Svenne.

Mentre le due figurette patetiche si ripiegavano su loro stesse, un vento fetido e improvviso scavò un piccolo sentiero fluorescente intorno a loro.
Come se tutto fosse orchestrato da un macabro regista, improvvisamente lo spazio parve dilatarsi e fu come se l’obbiettivo di una gigantesca telecamera si focalizzasse sopra di loro per riprenderne dall’alto gli spasmi, minacciandoli con la propria ombra.
L’osservatore spostò compiaciuto la sua attenzione su ciò che circondava i due insulsi avventurieri. Dietro di loro si estendeva ciò che non ha nome.
Una landa grigia e percorsa da vapori soffocanti. Un percorso obbligato per le anime dannate che dovevano giungere.
Un labirinto concentrico intricato di sentieri che conducevano tutti allo stesso punto.
Il nucleo.
L’occhio dell’inferno.
Che bruciava.
Buoni e cattivi, anime e dannati.
Un mondo completamente inimmaginabile e diverso da ogni altra cosa che potevano aver visto.
Di estensione imprevedibile se paragonata al limbo che si stagliava alle sue spalle.
L’osservatore sorrise quando sentì la donna dall’abito rosso comparire al suo fianco
“ci sarà da ridere!”
sussurrò lei con voce roca prima di chinare la fronte verso la sua bocca e lasciarvisi deporre un bacio
“ne sono sicuro. Figlia mia.”

Meg fu la prima a riprendersi dallo stato di stordimento catatonico in cui era inconsapevolmente scivolata. I gemiti sommessi di Spike la attirarono verso il suo corpo privo di sensi.
Gli carezzò delicatamente quello che un tempo doveva essere stato uno zigomo
–chissà se sei carino..-
“Spike come ti senti?”
Spike sobbalzò e la fissò per un attimo senza riconoscerla .
Gli occhi accecati da un lampo di puro dolore. “Spike…sono Meg”
“scusa” scosse velocemente la testa per scacciare la stanchezza. Lo guardò con occhi incerti
–non chiedermi che facciamo adesso…ti prego-
“cosa…” Meg non terminò neanche la frase, era ovvio che non lo sapesse e si sentì irritata e tradita per questo
–avevi detto che sapevi cosa fare!-
e alla fine disse “tu lo sapevi!”
Spike guardò dietro di sé, l’inferno peggiore dei suoi incubi che cominciava.
“avevo un’idea di quello che avremmo trovato…”
“un’idea? Tu avevi un’idea? Mi hai trascinata fin qui per chilometri, a costo di finire squartati in ogni momento da quegli esseri digustosi che ci venivano vomitati addosso sulla base di un’idea?” “mi dispiace” sibilò Spike con un atteggiamento pericolosamente vicino alla perdita totale della ragione. Quella ragazza lo esasperava.
“sai cosa me ne faccio della tua contrizione?”
“ho già detto che mi dispiace” le si avvicinò minaccioso, ma Meg non ci fece nemmeno caso. Sbuffò “ma tu guarda con chi dovevo capitare!”
–che stronza- “senti ragazzina cosa ti aspetti da me?”
Spike le afferrò il mento per costringerla a guardarlo in faccia
“credi che il fatto di essere un demone mi renda le cose semplici? Che mi faccia sentire a… casa?
A dispetto di quanto puoi pensare non ero mai stato qui, e la cosa mi sconvolge come e più di te!
O credi forse che io non provi dolore…o che…mi piaccia? Credi che essendo un vampiro io non provi sentimenti umani? Eppure io non faccio che –sentire-!
Non so più nemmeno da quanto siamo qui, e non sento nemmeno più la fame,
l’unica cosa che sento è il dolore!
Mi vedi?”
Meg distolse lo sguardo dai suoi occhi e Spike la strattonò
“guardami! Sto cadendo a pezzi!
Le mie ferite non si rimarginano! Te lo sei chiesto perché?
Il sangue. Non ce n’è abbastanza nel mio corpo.
Eppure mi hai mai visto provare a succhiarti? Avrei potuto farlo in qualsiasi momento.
Ogni volta che sei svenuta.
Mentre…dormivi. Anche ora. E tu non potresti opporti.
Perché sono ancora io il più forte.
Sai che succede a un vampiro che non si nutre?
Ne hai mai visto uno?
Sono cadaveri che camminano, ossa prive di ragione che desiderano solo una cosa: mangiare.
E prima di arrivare a quello stato dovremmo essere usciti da qui, o dovrò trovare il modo di uccidermi una volta per tutte se voglio impedire a me stesso di aggredirti!
Lo capisci questo?”
la strattonò di nuovo. Spike si aspettò le grida, oppure i calci, gli insulti e altre recriminazioni mentre la fissava svotato.
Per questo fu sconvolto quando sentì le braccia di lei che si stringevano piano attorno alle sue spalle e sorpreso di sentirsi bagnare la pelle dalle lacrime
“tu avevi detto che ne saremmo…saremmo usciti. Tutti e due. E… e io t-ti ho creduto”
Meg singhiozzò disperatamente.

§§§

“E così sei una strega!”
Westly aveva tutta l’aria di voler prendere appunti, ma un’occhiataccia di Cordelia lo fece desistere. Kate annuì dal divano su cui era rannicchiata.
Incredibilmente non faceva che rabbridire.
Soprattutto da che aveva parlato Angel.
–certo se quello si può considerare parlare-
“Westly io comprendo che tu voglia capire cosa mi è accaduto, ma non posso spiegarti cose che io stessa ignoro.”
Wes la guardò abbozzando un sorriso di scuse “immagino sarai stanca, forse vorrai andare a riposare…”
Cordelia seduta al pesante tavolo di noce la vide irrigidirsi alle parole di lui, si protese col busto in avanti come se volesse raggiungerla
“è tutto a posto cara?”
“si…si, solo…non voglio dormire.”sorrise a Wes titubante
“Soprattutto non voglio stare sola…ogni volta che chiudo gli occhi…”
Cordelia si sollevò in piedi “allora immagino ti andrà di aiutarmi a preparare la cena!”
Kate le sorrise davero riconoscente “con molto piacere”…

Erano passati sei giorni da che Angel aveva trovato Kate.
Cinque dei quali lei li aveva passati a dormire pressochè ininterrottamente con l’esclusione del momento in cui aveva dato il meglio di sé trasformandosi.
Aveva paura. Anche solo a pensarlo.
–nonsonoiononsonoiononsonoio-
Quella non era lei, era un corpo estraneo, un virus che la infettava e –alle volte- prendeva il sopravvento.
Non sapeva neanche dire se fosse buona o cattiva
–che cosa ridicola dividere il mondo in bianco e nero, con tutte queste sfumature-
Doveva essere tardi. Fuori dalla stanza non sentiva più rumori.
Cercò disperatamente di addormentarsi, ma dopo tutto il tempo passato in quel letto la cosa le faceva orrore.
Fosse per lei sarebbe andata a ballare!
Si sentiva esplodere di energia repressa, ma non appena aveva accennato al desiderio di uscire Westly era inorridito. “non mi sembra il caso di compromettere la tua convalescenza con sconsiderate e avventate passaggiate!”
se lo sentiva ancora rimbombare nelle orecchie col suo tono impettito.
Probabilmente gli sarebbe scoppiato il fegato se lei gli avesse imprudentemente rivelato che sarebbe volentieri andata a un Rave Party!
Senza pensarci ancora sollevò il plaid di lana lilla a fiorellini azzurri e scivolò via dal letto ancora in ordine. Aprì furtivamente la porta della camera dopo aver controllato che tra poco l’orologio avrebbe metaforicamente battuto le tre del mattino –è al quarzo!- e mise piede in corridoio.
Sapeva per intuito che alla sua destra c’era la camera di Angel.
Ma non sarebbe andata da lui per niente al mondo, anche se voleva.
Era rimasta molto sorpresa dal suo comportamento, sembrava avere per lei una strano rifiuto.
Erano ormai ventiquattro ore che era completamente cosciente e lui l’aveva debitamente evitata. Quella sera poche ore prima le aveva dedicato qualche parolina scontata e un sorriso di circostanza. E poi c’era l’altra faccenda… il morso che avrebbe potuto ucciderla e che invece le aveva permesso di riacquisire la lucidità necessaria per riprendere il controllo.
Comunque la mettesse riusciva a esercitare su di lei un fascino che non credeva possibile.
Aveva una buona conoscenza dell’occulto, quindi anche dei vampiri.
Ma li aveva considerati sempre e solo pericolosi nemici.
Non aveva idea potesse esistere un vampiro con un anima.
–non so nemmeno se esiste davvero, poi, l’anima!-
Un enigma! Dopo aver infestato i suoi sogni e i suoi incubi.
Dopo che per ore era stato una presenza costante che avvertva al suo fianco indistintamente.
Ora la rifiutava.
No, non sarebbe entrata nella sua camera
–è sveglio-
cercando conforto tra le mani gelate che l’avevano cullata in quelle notti.
Non gli avrebbe chiesto perché l’aveva portata a casa sua, invece che affidarla alle cure del più vicino ospedale
–aveva già intuito quanto era grave? Allora perché perdere tempo a a cercara soluzioni tra i libri?-
No, non avrebbe fantasticato sui bagliori luminosi dei suoi occhi.
Scese le scale scuotendo la massa di capelli arruffati.
–si, mi preparerò un the!-
Senza immagginare che, dietro la porta, lui ascoltava i suoi respiri.

La stanza era buia. E c’era lei.
Sapeva che c’era, ne sentiva l’odore, il battito, il movimento ritmico del torace.
Così come sapeva che lei ignorava lui fosse lì.
La ragazza si fermò al centro della stanza sibilando
“che situazione di merda!”
In effetti la poteva capire. Senza candele in una casa con quattro vampiri.
Sola.
“avanti so che ci sei. Non è divertente!”
aveva girato lentamente su se stessa per fendere l’oscurità e cercare di stabilire la sua posizione.
Angelus adorava quei giochetti. “sicura?”
Sentì la mano di lei afferrargli una spalla “ti sei tradito”
Repentinamente lui le afferrò entrambi i polsi e la fece aderire al suo petto
“o forse no…” si chinò verso la tempia della ragazza e la baciò come un padre gentile.
O un’amante rispettoso.
Prima di succhiarle avidamente le labbra e lottare gioiosamente con la bocca di lei che lo respingeva.
Senza troppa convinzione.
La lasciò ansante staccandosi da lei con un unico movimento di bocca e mani.
Sapeva che Darla, tutt’uno con le tenebre, l’aveva visto.

“sei stanca piccola?” Spike si era voltato verso di lei
“no, sto bene!” aveva sorriso poco convinta.
“è tutto ok?” Meg aveva vigorosamente annuito accellerando il passo.
Lui si era accorto che aveva cominciato a rallentare. “non sono stanca, davvero! Andiamo”
Spike la guardò di sottecchi prima di decidersi a parlare “non volevo spaventarti prima. Io…non farò niente che…non ti farò del male!”
I suoi occhi! Dio emanavano una tale lucentezza!
Come potevano esprimere una forza così incrollabile nonostante il corpo assomigliasse sempre più a uno scheletro. Sempre più magro.
Con la carne viva esposta a quei vapori velenosi.
Meg per l’ennesima volta si chiese se avrebbe potuto guarirlo.
–e se fosse una tattica? Mi rassicura così io me ne sto qui tranquilla e lui può progettare con calma il suo pranzo. Ma allora perché aspettare tanto? È ridotto così male! Forse potrei guarire solo le ferite più superficiali…così da mantenerlo innocuo…ma non è innocuo, nemmeno così, non sarà mai innocuo-
Spike la fissò “piccola, a che stai pensando?” era diventato molto più…gentile
Meg si fermò davanti a lui “tu chi sei? Io ti ho r-raccontato…ogni cosa…ma tu…”
“che vuoi sapere?”
“perché sei qui? È molto importante che tu me lo dica”
Aveva temuto quella domanda dal primo momento in cui gli aveva raccontato chi era.
Poteva dire alla donna che aveva di fronte, che aveva perso tutto per un sacrificio così nobile, che lui, un essere indegno, era lì per lo stesso motivo?
Non voleva mentirle.
“ci sono finito per sbaglio…”

Sollevata. Ecco come si sentiva, incredibilmente più sollevata.
Spike le aveva raccontato di avere un’anima.
Non che questo la rassicurasse particolarmente.
Come tutta la sua famiglia, lei non era mai stata religiosa, quindi le risultava molto difficile credere che potesse esistere qualche creatura
-umana o demoniaca-
che ne possedesse una.
Ma ora poteva scegliere di fidarsi. Dargli una possibilità.
E credergli.
Avevano deciso che era il momento di riposarsi.
Si stesero sul terreno che via via che si avvicinavano al nucleo si faceva sempre più arido.
“Meg…”
Spike trovò finalmente il coraggio di guardarla di nuovo
“…mi credi, vero?”

Cordelia era stesa al centro della sua camera da letto.
Era proprio una di quelle serate.
Quelle in cui aveva bisogno di una buona seduta di yoga per rilassare i muscoli indolensiti.
La musica di sottofondo era una di quelle cassette che uscivano allegate ai corsi per principianti comprati nelle edicole.
Ed era una vera schifezza.
Non riusciva a distenderla, anzi la stava facendo innervosire.
Con uno scatto si alzò dal tappetino e spense lo stereo.
–mi ci vorrebbe una doppia dose di valeriana per sortire qualche effetto!-
si slegò i capelli strappando via l’elastico in un gesto meccanico e scuotendo la massa lucente.
E fu in quel momento che lo vide.
Sulla porta, con un’espressione impacciata e colpevole, stava Westly.
“Cordelia…” si schiarì la voce in modo cerimonioso “…mi dispiace moltissimo di averti interrotto, so quanto tieni alla tua privacy per cui spero che tu possa…”
“Wes” un gesto della mano l’aveva fatto zittire “non mi disturbi. Cosa c’è?”
solo in quel momento fece caso al suo sguardo tanto serio.
Wes non era più a Sunnydale, ed erano anni che aveva imparato che tirava fuori quell’attegiamento solo in particolari, definite occasioni
“dobbiamo parlare!”
quando c’era in ballo qualcosa di molto, molto serio.

Angel era già sveglio; o meglio, ancora.
Non era certo una novità che spesso non dormisse.
Era stato Wes a distoglierlo dalla lettura.
Quando ne avvertì la presenza familiare sullo stipite automaticamente chiuse il libro e lo ripose sul piccolo mobiletto intarsiato posto al fianco dellla poltrona.
“è tutto a posto Wes?”
Westly entrò nella camera in penombra a passi larghi e posò i tre libri dal’aria antica che portava con sé sul grosso tavolo di noce sul lato sinistro della stanza.
“no, Angel. Niente è a posto.” Cominciò nervosamente a giocare col colletto della camicia
“ho fatto delle ricerche, e…”
lo interruppe con un gesto della mano “ma io ti avevo detto di aspettare che parlassi con lei, prima di fare qualsiasi cosa!”
“Angel…ma tu ti stai praticamente rifiutando di incontrarla! Non credere che non ce ne siamo accorti! Non avevo scelta.”
“avevo intenzione di parlarle tra poco” rispose infastidito
“nel prossimo secolo?...” Wes fece rapidamente marcia indietro non appena intravide lo sguardo torvo dell’amico “va bene, non è il momento per l’ironia. Scusa.”
“credo sia importante farle capire che di noi può fidarsi. Non otterremo niente se agiremo alle sue spalle. Si sentirà tradita. E poi…qualunque cosa le sia successa…nessuno dei tuoi preziosissimi volumi te lo potrà dire! Solo lei.” Angel incrociò le braccia al petto aspettando.
Alla fine Westly cedette “su questo hai ragione. Noi non possiamo sapere come mai sia finita nelle mani del primo, solo lei può dircelo. Purtuttavia c’è una cosa che posso scoprire attraverso i miei
-preziosissimi volumi-…”
si scambiarono un’occhiata d’intesa
“la sua natura.”
Angel non aveva pensato a quella possibilità “non credi che sia umana?”
Wes si sfregò le mani nervosamente “non necessariamente. Probabilmente lo è in parte. Hai visto anche tu la trasformazione che ha subito…”
“hai detto bene: subito. Non c’era consapevolezza nei suoi occhi, io lo so”
“Angel io capisco che tu possa sentirti protettivo nei suoi confronti, non credere, anche io…tutti noi qui abbiamo fatto del nostro meglio per salvarle la vita, e questo indubbiamente ci ha permesso di affezionarci… voglio dire…è una ragazza deliziosa…non si lamenta mai, gentile, sempre sorridente…” allungò lo sguardo sulla sua figura ancora seduta in poltrona.
Angel mani incrociate lo guardava scettico con un sorrisetto negli occhi a sottolineare quanto reputasse inutili i preamboli “Wes, arriva al punto prima che sia notte!”
“il punto è: non sappiamo se può rappresentare una minaccia. Se possiamo fidarci di lei.”

Angel prese a camminare per la stanza
“fammi capire, che vorresti fare? Chiuderla in cantina? Farle firmare un documento in cui dichiara che non ci ammazzerà nel sonno?”
“Angel tu sembri non capire! Dico solo che non è necessario che giri liberamente per casa. Credo che dovremmo evitare che acceda alla biblioteca o alla sala delle armi. Prudenza, solo prudenza.” “no Wes scusami, ma questa è paranoia! La sua condizione è critica. La verità è che noi fino ad ora ci siamo preoccupati unicamente di salvarle la vita. Ora che il problema è risolto cominci a porti gli interrogativi. Cosa che io ho già fatto! E le cose, per come la vedo io stanno così: o ci fidiamo, la aiutiamo e scopriamo cosa le è successo e se questo può avere conseguenze, col suo aiuto; oppure… la uccidiamo.
Westly sobbalzò “non…n-non credi sia un p-po’ drastico come mezzo?”
“drastico? È questo che facciamo tutte le sere! Sarebbe diverso ora? E perché? Se fosse un nemico, se giungessimo alla conclusione che fosse pericolosa sarebbe nostro dovere liberarcene. Un demone sanguinario di meno. Credimi, nessuno piangerebbe!”
Wes lo fissò sconcertato “Angel non posso creder che tu…la situazione è molto diversa! Anche se fosse un demone non potremmo liquidare la cosa con un paletto!”
“odio ripetermi, ma…perché? Perché l’hai vegliata, le hai preparato il brodino? Oppure perché lei è stata gentile? Credi che se volesse ucciderti questo la fermerebbe?”
“è solo una ragazza! Quand’anche riuscissi a dimostrare che sia un demone, non sarebbe sicuramente consapevole delle sue azioni. L’hai detto prima tu stesso, posseduta! E tu vorresti farla fuori a scopo preventivo? Di un po’, come ti sentiresti? Riusciresti a guardarla mentre la uccidi.
A fissarla negli occhi senza rivedere quel fiore calpestato che hai portato qui non più di sei notti fa? Rispondi a queste domande Angel!”
Westly era furente gli andò vicino afferrandogli il bavero della camicia.
Angel gli regalò uno dei suoi sorrisi più disarmanti
“vedi…”
rise
“era esattamente questo che intendevo!”

“ripetimi come abbiamo fatto a finire in questa situazione!”
Spike sospeso a una sporgenza acuminata ciondolava bellamente nel vuoto.
Teneva il peso di Meg, saldamente ancorata alle sue spalle, sulla schiena.
“tu hai detto che poteva essere una scorciatoia e…”
“lo so, lo so! Era metaforico!”
“oh, metaforico! Siamo qui come due idioti a dondolarci nel nulla sopra un precipizio infernale di cui non si intravede nemmeno la fine e tu…”
Spike la interruppe “prendi fiato tesoro! Ricorda che devi respirare, il morto sono io!” “Spike…ehm…se ti dico la cattiveria che ho pensato, non è che tu mi lasci cadere, vero?”
le fece l’occhiolino anche se sapeva che non poteva vederlo “a tuo rischio e pericolo baby!”
Meg sospirò “ce la farai?” “abbiamo alternative?”
“stavo pensando… a che serve? Siamo già morti, tu eri morto perfino prima di arrivare qui, e se ci lasciassimo cadere?”
stavolta fu Spike a sospirare “ho una mezza teoria in proposito”
“ti ascolto.”
“no. Te la dico quando arriviamo in cima!”
si issò su un altro sperone.

§§§

Aveva sentito le sue parole.
Ed era scivolata via silenziosamente, trattenendo la frustrazione e le lacrime.
Come poteva spiegare quello che lei stessa ignorava?
Come poteva convincere quelle creature che erano state così generose con lei di non rappresentare una minaccia?
Kate richiuse dietro di lei la porta della prima camera che aveva trovato.
Si lasciò scivolare a terra e si abbracciò le ginicchia.
Non voleva piangere, veramente non voleva piangere.
Specie perché assurdamente avvertiva che lui l’avrebbe sentito.
Se lei piangeva.
Ed era l’ultima cosa che avrebbe potuto tollerare in quello stato, dopo quello che aveva sentito.
Che lui la consolasse.
Perché, ne era certa, lui sarebbe corso a sincararsi che stava bene.
Pronto a rassicurarla, a…proteggerla.
Perché lei sapeva, nonostante il tono assurdamente lucido e poi ironico delle sue parole, che Angel non le avrebbe mai e poi mai fatto del male.
Che Angel si tormentava per il solo fatto di averci provato…ed era per questo che, contrariamente al suo carattere impulsivo, aveva rispettato il desiderio di lui di non volerla vedere.
Si disperò infantilmente trattenendo il fiato per un singhiozzo sfuggito al controllo.
Il suo cuore accellerò irrazionalmente i battiti quando sentì chiaramente dei passi lungo il corridoio.
Non voleva assolutamente essere trovata in lacrime mentre si disperava come una bambina nella camera della mamma.
Cominciò a sentire la taticardia quando avvertì il rumoroso ticchettio proprio fuori dalla porta.
–probabilmente Cordelia-
e si rilassò unicamente nel momento in cui li percepì allontanarsi.
Stesso identico preciso momento in cui discretamente qualcuno bussava piano, con le nocche sul legno duro.
–nononono. Maledizione non ora!-
Kate si asciugò rapidamente le lacrime, sbavando il mascara che le allungava le ciglia in modo innaturale, facendola sembrara la caricatura di Bambi.
Si sollevò in piedi, spolverandosi con finta non curanza il pantalone di velluto che non era suo.
Tirò un respiro profondo prima di spalancare la porta a due mani.
Angel con uno sguardo colpevole che gli condizionava l’espressione del viso, si protese verso di lei “va tutto bene…Kate?”
Kate ricambiò il suo sguardo con un misto di incredulità e rancore
–come se nella mia vita ci sia mai stato qualcosa che andava bene!-
“si certo tutto perfetto, benissimo!” ansimò tutto d’un fiato e si portò una mano alla bocca per cancellare un singhiozzo.
Angel fece automaticamente marcia indietro “va bene, allora scusami!”
–codardo-
Si voltò pronto a sparire richiudeno la porta dietro di sé.
Facendola ripiombare nel freddo della solitudine.
La stessa che provava da quando suo padre era morto, ogni volta che gli ostacoli sembravano troppo grandi per le sue forze.
-papà, vorrei che fossi qui!-
si lasciò sfuggire un gamito, e dopo un altro. E poi ancora una cascata di lacrime…
-dio come è sbagliata la mia vita!-

Angel non aveva fatto nemmeno in tempo a girare le spalle, che erano arrivati i singhiozzi.
Si maledisse per la sua imprudenza. –ha sentito-
Non sapeva che fare con lei. Ed era una sensazione nuova.
L’incertezza non era tra le sue note caratteristiche. Lui sapeva sempre cosa fare.
Quello era il suo compito: prendere le decisioni.
-quali decisioni?-
Non voleva avvicinarsi, non voleva scoprire cosa rappresentavano le manifestazioni del suo inconscio. Non voleva assolutamente creare alcun tipo di legame.
Perché ricordava la fame che aveva provato.
Di lei.
E che aveva rimosso.
Erano frammenti che faticosamente ricomponeva, un ricordo ignorato per anni.
Un ricordo che era un sogno e un desiderio.
Un ricordo che era ragionevolmente impossibile per ogni legge umana.
Talmente pericoloso che l’unica era la fuga.
Eppure lei piangeva. E lui non voleva essere tagliato fuori dal suo dolore.
Lui ci voleva essere, anche solo per osservarla da lontano
-dopotutto non è necessario che lei sappia-
lui ci voleva essere per ascoltare i suoi respiri candenzati e sapere, con la certezza di sentirlo nelle viscere, che lei stava bene.
E se non faceva passi falsi e rimaneva nell’ombra, lei non avrebbe corso nessun pericolo.
Solo che in questo modo non avrebbe potuto consolare il suo tormento, non avrebbe sanato la malattia della sua solitudine.
Non avrebbe mai scoperto se lei poteva…
-no, non c’è niente da scoprire!-
solo che sentiva quell’odore salato da lì! Nel corridoio era troppo…vicino.
Doveva allontanarsi, scendere i gradini. Magari in cantina.
Fu spinto dal desiderio di chiamare Cordelia. Si, Cordy le avrebbe parlato.
E poi gli avrebbe raccontato ogni cosa.
Solo quando vide Westly avanzare verso di lui si riscosse.
“Angel…sei andato via a quel modo…ho sentito che…”
“non credo stia molto bene al momento!” accennò con la testa alla porta chiusa.
“vuoi che le parli io?”
affondò le iridi scure nelle verdi dell’amico e con una calma innaturale e pericolosa sibilò quasi
“no, ci penso io!”
tornò indietro sui suoi passi. Cercando di coprirli con dignità sotto lo sguardo stralunato dell’altro.
Aveva creduto che sarebbe stato possibile governare i suoi istinti, asservire i suoi desideri, ma aveva scordato un dettaglio fondamentale della sua personalità…
Anche con Buffy, la sedicenne innammorata che avvertiva comparendo dal buio, ci aveva provato.
E aveva fallito.
-sono sempre stato un debole-
aprì con un colpo secco la porta della camera che pochi attimi prima aveva accostato.

“questo sarebbe il tuo piano geniale?”
Meg lo fissava sconcertata
“tu ne hai uno migliore?” Spike ancora ansimante per quella salita interminabile le riservò un’occhiata di sfida
“scusa, ma dimmi un po’: quand’è che abbiamo deciso che fra noi due il capo saresti stato tu?”
con le mani sui fianchi e il vestito a brandelli sembrava minacciosa quanto una donna delle caverne
“accomodati!” esclamò Spike esasperato “non ci tengo affatto a fare il capo, io! Su, prenditi il compito ingrato e trascinami fuori dal prossimo burrone in cui cadremo!”
si rimise in piedi faticosamente.
Sempre più stanco.
-manca molto poco-
“e poi bellezza, sta tranquilla! Se non filiamo alla svelta da questo schifo ti ritroverai a fare il capo di te stessa!” fece un mezzo sorriso e si stropicciò i capelli umidicci e fangosi
-non ce la faccio più!-
Meg lo guardò, una volta tanto davvero pentita delle sue uscite esaeperanti –non ce la fa più-
“d’accordo, faremo come vuoi tu. Anche perché non abbiamo alternative!”

Cordelia fece capolino dietro la spalla di Westly.
Tutti e due fermi dietro la porta chiusa.
“sono là dentro?” Wes annuì “e…non si stanno scannando, stanno…parlando, giusto?”
Westly annuì di nuovo “sono lì dentro da parecchio tempo ormai”
Cordelia avanzò timidamente e lo scostò un poco accostando l’orecchio alla porta
“non sento niente…”
Westly inorridì “Cordelia ma…”
“oh che male c’è Whydam Price?”
Wes la guardò tirando fuori il suo vecchio smalto da osservatore impettito, senza riuscire nemmeno a cominciare le frasi che aveva in mente su quanto fosse riprovevole spiare gli amici
Sorpreso dalle sue stesse risate
“fammi posto!” disse spingendola via e allungando sulla superfice fresca l’orecchio

-cosa credi di fare uomo?
No, anzi meglio! Cosa STAI facendo?
Mi senti Angel? Se può sentirmi Principessa anche tu ci dovresti riuscire!
Bè certo, lei crede che siano sogni, ma forse…
Non è questo il punto!
Tu sei l’eroe! Mi senti?
Tu dovresti proteggere questa ragazza!
Da te stesso.
Perché sappiamo bene tutti e due che succederà.
Vedi, stare da questa parte comporta alcuni vantaggi: posso vedere tutto e tutti, e spostarmi in qualunque parte del pianeta alzando un sopracciglio.
Posso leggere nelle anime meglio di Lorne.
Posso conoscere il passato Angel.
Conosco tutto il tuo passato Angel.
Ho scoperto che ti conosco da molto prima che tu venissi al mondo, mio tenebroso eroe!
Ma mi senti, uomo!
Non mi è mai piaciuto parlare da solo!
ANGELLLLLL
No, credo che tu non possa sentirmi!
Peccato Angel. Devo dirti delle cose.
Non ti piaceranno. E devo farlo subito.
Ti hanno preso in giro.
Loro ti hanno sempre mentito.
E tu ci hai creduto ciecamente.
Ti sei fidato.
Succederanno cose, Angel.
Molte stanno già succedendo.
E io dovrei abbandonare questo posto…la mia pace…
Vorrei disperatamente poter tornare.
Non mi lasceranno venire via. Non mi permetteranno di aiutarti.
Se anche trovassi il modo…
Devo trovare il modo.
Loro faranno in modo che io dimentichi.
Solo tu puoi fare qualcosa uomo.
Solo tu puoi salvare te stesso.
D’accordo, d’accordo. Ho capito!
Ammetto che tu possa essere distratto da altri pensieri ora che hai tra le braccia un simile splendore…
Ma devi stare attento uomo.
Ti prego sta attento, amico mio.-

Angel era entrato nella camera buia e l’aveva vista rannicchiata sul pavimento di maiolica che si strigeva le gambe al petto.
“non me ne andrò via.
Per cui se hai un valido motivo per cacciarmi fuori dai piedi, protesta ora!”
Kate alzò lo sguardo su di lui, non si era neanche accorta che fosse rientrato.
E sorrise “vorrei un po’ di privacy!”
Una risposta così carina forse non se l’aspettava.
Allungò le braccia verso la sua figuretta tremante e la tirò in piedi praticamente di peso.
“so essere un tipo discreto”
Kate rise mentre si asciugava i goccioloni ribelli col dorso della mano.
“non c’è modo che tu mi lasci sola vero?”
“assolutamente!”
e fu in quel preciso momento che gli abbracciò piano la schiena e si rilassò contro il suo petto mormorando piano “meno male!”
Angel sorrise e ricambiò la stretta mentre la guidava piano verso il divano nell’angolo.
“andrà tutto bene. E tu non sarai più sola”
“le mie sorelle …” disse Kate mentre sedeva vicino al bracciolo e Angel si sedeva al suo fianco circondandola con un braccio
annuì per incoraggiarla a proseguire
“credevo fossero morte…” represse un singhiozzo “invece forse non lo sono.
Perché se io sono viva, forse loro sono state abbastanza fortunte da…forse qualcuno le ha trovate come hai fatto tu…
E sono là fuori, da qualche parte. E mi cercano. E piangono.
Io…io le sento piangere.
Io devo trovarle Angel!”
“le troverai. Shhhh. Le troverai.”
“come puoi saperlo?”
“perché ti aiuterò io. E Wes. E Cordy.
Non sei sola! Ci siamo noi con te!”
Kate abbassò la testa e soffocò un gemito nel maglione blu scuro che Angel indossava quel giorno
“potrei anche trovarle…ma se fosse…se le avesse…uccise? Penso che morirei anch’io”
Angel le sollevò il mento con un dito “hey non dovresti pensare nemmeno queste cose! Le troveremo.” Le posò un leggero bacio sulla tempia.
E rimase così, immobile. Con il mento poggiato sulla testa di lei.
Contando i battiti che lentamente rallentavano fino a stabilizzarsi su un ritmo normale.
“credo sia arrivato il momento che tu mi racconti cosa è successo esattamente.” domandò quando fu certo che lei si fosse calmata.
Silenzio.
“Kate…”chiamò piano
Niente.
Kate si sistemò meglio sulla sua spalla cercando la posizione più comoda e incosciamente gli abbracciò il torace.
Angel sorrise di nuovo.
Si era addormentata.

§§§

Era da molto che non tornava a Los Angeles.
Una vita fa.
O forse no, non era poi tanto tempo.
Ma era lei che sembrava essere invecchiata troppo in fretta.
Si poteva essere vecchi a venti anni?
Aveva sempre creduto di no.
Però certo le ragazze normali non arrivavano a dei vent’anni come i suoi!
Sorrise ironicamente al vetro della caffetteria che le ridava l’immagine di se stessa.
Sola.
A che ora avrebbe dovuto presentarsi a casa sua?
C’era un’orario preciso che non l’avrebbe fatta sembrare un’invasione?
Faith scosse la testa. Probabilmente no.
Continuò a sorseggiare il suo caffè.

“Meg fermati!”
Meg si fermò all’istante.
In tutto il tempo passato assieme Spike non le aveva mai chiesto di fermarsi.
Lui era quello che avanzava. Che andava in avanscoperta e la aspettava beffandosi della sua lentezza.
Quindi qualcosa non andava.
“Spike, tutto ok?”
“Meg… credo c-che dovrai proseguire… da sola”
Meg avanzò verso di lui e si inginocchiò vicino alla sua testa. Gli accarazzò la fronte “non dire sciocchezze! Spike…ma che hai?”
“è il momento”
Meg lo fissò allibita “intendi…stai …crollando? Cosa…che sta succedendo?”
“sono finito dolcezza!”
“ma che dici? Credevo che voi vampiri resistesse molto più tempo senza …nutrirvi.”
“nelle mie condizioni…bè, diciamo che non è… una sorpresa!”
venne squassato da un eccesso di tosse
e si piegò su se stesso per far fronte al dolore che gli esplodeva nel petto a ogni singolo movimento.
“ma…ma st-stai morendo? Voglio dire…che succede?”
“non resterà più niente di me.
Sarò una fottuto involucro governato solo dal mio istinto! Ti ucciderò bambina!”
si contorse tra gli spasmi e gridò con quanto fiato poteva essergli rimasto in gola “CORRI!”
Spike si sentì trapassare il corpo da sottili lame roventi, sentì le sue viscere contrarsi e cominciò a eruttare sangue dalla bocca.
Sentiva di venire prosciugato da una forza sconosciuta, sentiva un grugnito irrazionale ruggire nella sua testa. Un animale.
Un mostro.
Il suo corpo duramente provato continuò a rigettare sangue. Dagli occhi.
Dalle narici. Dalle unghie.
Dalla bocca.
In un’ultimo sprazzo di lucidità sentì la vista appannarsi.
E pensò che tutto se stesso stava andando perduto.
Il suo ultimo pensiero fu per lei.
La sua stessa sorte. O forse molto peggio.
-M.E.G. s-scappa-
“CORRI”
gridò con le ultime energie.
Poi…il buio.

Erano ormai sette giorni che erano sparite.
Una settimana. Lunghissima.
Aveva cercato di localizzarle. Erano giorni ormai che non faceva altro.
Perché se si concentrava Cole era certo di poterle sentire. Solo che questo non succedeva.
Mai.
Le aveva viste scomparire, ma non aveva potuto fare niente per salvarle.
Per impedire a quel vortice di inghiottirle e richiudersi.
E lasciarlo lì. Pesto e sanguinante.
E inutile.
Si, lui, Cole, era inutile.
Perché nonostante la sua esperienza di demone centenario e la forza che aveva dimostrato come braccio destro e sicario personale della Sorgente, non aveva saputo come agire.
Non aveva salvato le creature più vicine a delle amiche che avesse mai incontrato.
Tre sorelle.
Ironicamente doloroso.
Aveva sperato fino all’ultimo di poterle trovare. Per non fallire di nuovo.
Come aveva fallito con Phoebe.
Inutilmente.
Phoebe lo odiava. Le sue sorelle lo odiavano.
Credevano di averlo ucciso. Senza provare rimorso.
Aveva sentito Paige sussurrare con un pizzico di cinismo al suo vecchio appartamento vuoto e in rovina –buon compleanno-
Ed era stato allora che aveva capito, finalmente, che sarebbe stato inutile tornare.
Che era finita.
Solo questo riusciva a ricordare di quel momento terribile di sette giorni prima.
Stava pensando alle tre sorelle che aveva già perso.
Mentre quelle altre tre ragazze sparivano sotto i suoi occhi.
Mentre combatteva disperato contro i demoni arrivati da ogni parte per distrarlo. Eruttati da un varco dimensionale senza avere mai fine.
Cacciatori che volevano scuoiarlo e appendere la sua pelle a un chiodo come avvertimento per i traditori.
Per quelli che fantasticavano sulla redenzione. O credevano che l’amore di un umano avrebbe potuto compiere il miracolo.
Avrebbe disperatamente voluto farcela da solo. Scegliere il bene perché era giusto.
Ma non ce la faceva.
Doveva venire indirizzato e guidato da un’essere amico. Per imparare e continuare da solo.
Voleva un motivo valido per scegliere il bene. Voleva che fosse conveniente.
Perché lui amava essere un demone.
Era piacevole.
Il potere, la forza.
La passione.
Non credeva veramente nella giustizia.
Nel fine supremo di tutte le cose.
Nell’equilibrio.
Negli anni lunghissimi che aveva affrontato da solo aveva imparato a credere nell’unica certezza che la vita gli aveva ragalato: se stesso.
E le sue regole.
Era a questo che stava pensando. A tutte le sue scelte, gli errori compiuti e le ingiustizie subite.
Prima che le palpebre si facessero troppo pesanti.
E che pensasse che fosse davvero finita. Era stato certo che sarebbe morto. Definitivamente.
Nel momento in cui aveva chiuso gli occhi.
-non li riaprirò mai più-
Il mattino dopo si era svegliato riverso sul tappeto morbido del salotto.
Con il sangue che gli scorreva dal fianco e la mente che gli bruciava.
Tra le macerie.

Angel sapeva cosa era giusto fare.
Molto semplice.
Prenderla in braccio e portarla nella sua stanza sotto le coperte.
Solo che in casi come quello che differenza faceva, fare o non fare la cosa giusta?
Nessuna differenza.
Non avrebbe fatto del male a nessuno se si concedeva un piccolo riposo con un dolce peso di carne sull’addome.
Era molto bello dormire con qualcuno.
Pensava di averlo dimenticato. Ma le cose belle non si dimenticano.
Si ripongono da qualche parte tra il cuore e il cervello. Tra i ricordi che fanno sorridere e quelli che lasciano un caldo senso di malinconia. In attesa.
Chiuse gli occhi, in attesa di un riposo che non venne.

Faith non aveva considerato l’ipotesi che arrivata al campanello non avrebbe trovato il coraggio di bussare. Aveva creduto di aver superato la parte peggiore.
Ogni minuto non faceva che cambiare idea.
Ci vado. Non ci vado.
Quando alla fine aveva deciso per il si, non aveva creduto che la parte peggiore sarebbe arrivata in quel preciso momento. A colpirla a tradimento.
Come poteva andare da Angel e dirgli che voleva ricominciare da dove aveva interrotto?
Da dove avevano interrotto.
Certo, aveva imparato a essere una buona cacciatrice.
Ed era un tale sollievo sapere di non essere più una seconda scelta.
Sapere che in giro per il mondo c’erano tante altre seconde scelte.
Perché tristemente e misteriosamente sentiva che Buffy sarebbe sempre rimasta la unica e sola.
Quella originale.
Solo che aveva trascurato la donna. Per la missione sacra e il bene.
E non sapeva più chi era Faith.
Ora che il Primo pareva sconfitto. E poteva andare in pensione.
Che avrebbe fatto con la sua vita, con se stessa?
-AngelAngelAngel-
sembrava la risposta a tutte le sue domande.
Solo che l’ultima volta che si erano incontrati avevano cercato di strapparsi il cranio a vicenda.
A forza di ruggiti.
E poi c’era stato l’allarme a Sunnydale. E lei se n’era andata.
Avrebbe fatto una figuraccia se l’avessero vista.
Imbambolata come un’idiota. Davanti al campanello.
-premi questo cazzo di bottone. Ma che ci vuole? Così!-
arrivava vicino e tirava via il dito senza neanche sfiorarlo.
Non aveva considerato che la porta poteva aprirsi da sola e che qualcuno avrebbe potuto sorprenderla lì fuori.
Gli occhioni che sapevano di notte fonda tremarono.
Non ricordava che fosse così.
Non ricordava che lo stomaco le si contraesse mandando fitte in ogni angolo del suo corpo al solo vederlo.
“Faith…ti abbiamo vista…
entra. Sta per piovere.”
Girò le spalle senza aspettarla. Lasciandola lì, sullo zerbino.
Senza pensare che fosse un gesto scortese. La vecchia Faith non faceva caso a certe cose.
E poi sentiva che doveva distogliere lo sguardo prima di perdere la vista per come erano abbaglianti le stelle nere e luminose che aveva sul viso.
Faith sentì le prime gocce macchiarle la maglietta sottile. Senza considerare che potevano assere lacrime. “io…”
Si girò per sentire che aveva da dire.
E vide le ciglia di lei faticare per nasconderle.
“bentornata Faith”
“Westly…io…”
avrebbe voluto dirgli qualcosa. Che era veramente felice di vederlo.
Troppo tardi.
L’aveva gia accolta fra le sue braccia.

Meg sentì che il terreno le franava sotto i piedi. Si guardò intorno cercando un’appiglio.
Ma si accorse che tutto era perfettamente uguale a pochi minuti prima.
Quando Spike aveva parlato.
L’ultima volta prima di svenire.
Ma la sensazione era quella.
Tutto si sgretolava. Ora che era sola.
Guardò la figura del vampiro ripiegata su se stessa con gli occhi serrati e le membra sanguinanti.
E guardò se stessa.
Non sarebbe mai riuscita da sola a realizzare il piano di Spike.
Non avrebbe mai potuto arrivare al Nucleo e attraversarlo nel momento in cui si apriva per fagocitare un demone e rimandarlo indietro.
A ben pensarci quella cosa le faceva quasi ridere. Funzionava come un’enorme fabbrica di riciclaggio.
Un’altra dimenzione a tutti gli effetti. Niente di troppo mentafisico.
Le essenze e i poteri dei demoni che venivano scacciati dalla dimensione terrestre finivano lì, e venivano usate per la creazione di nuove creature. Potenziate.
Ogni volta un pochino più forti di quelle precedenti.
Creature che venivano rispedite sulla terra a diffondersi come un virus.
A infettare e sopprimere.
Per quanto si sarebbe potuta impegnare, avrebbe fallito.
E poi…
Poteva abbandonarlo? Lasciarlo lì e tollerare che venisse rispedito sulla terra come suo nemico?
Meg fissò le sue mani.
Avrebbe trovato un altro modo…

Faith guardava con insisenza la sua camera.
Il lato buffo di quella storia era che era tornata per parlare con Angel, ma da che era entrata in casa, ovvero quattro ore prima ormai, non l’aveva neppure visto.
E non perché fosse impegnato in qualche missione rischiosissima, ma perché era beatamente addormentato tra le braccia di una ragazza di cui non aveva mai sentito parlare!
Buffy sarebbe impazzita se l’avesse saputo!
Ridacchiò.
Quella Kate le stava simpatica anche se non l’aveva mai vista.

La donna inguainata nell’abito scuro avanzò fino al centro della stanza su tacchi vertiginosi.
“il vampiro è crollato. Non sarà più un problema.
Resta Meg…”
Si accasciò al suolo scossa da un dolore sordo che le opprimeva il petto.
-aiutoaiutoaiuto, che qualcuno mi aiuti.-
la figura che era rimasta nell’ombra, di spalle, la raggiunse chinandosi.
Le poggiò una mano fresca sulla fronte come per lenire il suo dolore. E da quella mano si irradiò un potente e sottile fascio luminoso, rosso vivo. Diretto al centro del suo cranio.
La testa abbassata della giovane, si rialzò verso la figura che grottescamente la sovrastava.
Di nuovo padrona di sé.
“rimane la ragazza…”
continuò rialzandosi e proseguendo senza esitazioni “…un’incognita!”
“no tesoro…”
a dispetto della figura imponente, non aveva una voce cavernosa, quasi…gentile.
“…è tutto già scritto!”

§§§

Meg tracciò sul terreno umidiccio un cerchio che comprendeva se stessa e il corpo di Spike.
Si inginocchiò accanto a lui e giunse le mani. Come se stesse pregando.
Con gli occhi chiusi sentì arrivarle alle orecchie il canto melodico di una litania.
Era la sua stessa voce. Ma non se lo ricordava.

Westly non si capacitava proprio.
Angel era decisamente preso da quella strana piccola ragazza…
E poi…tutte quelle novità! Addirittura Faith che torna in diretta dall’inferno per ricominciare il puzzle della sua vita.
Faith…
Bella come non si ricordava.
Bella come, forse, non l’aveva mai vista.
Bella? Da quando pensava che Faith fosse bella?
Certo lo era, innnegabilmente.
Ma lui era un’osservatore troppo compassato per fare pensieri simili.
Lui alle donne provava a pensarci il meno possibile.
Provava…
Scosse il capo continuando a fingere di essere preso dalla lettura di quel vecchio testo che invece non ricordava neppure da chi fosse stato scritto.
Definitivamente assorbito dal viso che si agitava dietro l’enorme copertina –scelta tra l’altro appositamente-
Faith era così inquieta che non riusciva a stare ferma.
E vedeva Wes che si, era decisamente assorbito dal librone imponente che aveva tra le mani, posizionato giusto nel mezzo. Come una barriera che le impediva di scorgere i suoi occhi verdi…
Verdi?
Da quando cominciava ad essere attenta ai dettagli?
Addirittura si ricordava che Wes aveva proprio un paio di luminosi occhi verdi sotto gli occhiali dalla montatura sottile…
Dalla linea corrucciata della fronte Faith supponeva si trattasse di qualcosa di molto complicato.
Lei non era brava in queste cose, a lei piaceva menare le mani.
In quello ci sapeva fare.
Rimase estasiata a fissare la mano di lui percorrere i capelli corti e arruffarseli in un gesto che, solo ora ricordava, non aveva mai dimenticato.
Sorrise involontariamente.
E la sua smorfia si trasformò in un’aperta risata quando vide sulla faccia dell’osservatore comparire un’espressione davvero afflitta subito dopo la scomparsa del libro richiuso e deposto sul tappeto.
Wes la guardò “cosa?” chiese gentile e quasi in imbarazzo.
Come il ragazzo che alle volte dimenticava di essere.
“eri carino!”
le sorrise “vieni, andiamo da Angel.”
“credevo dormisse…”

Angel arricciò il naso sentendosi solleticare il mento. I capelli di Kate buffamente sparsi in giro su gran parte del suo petto lo fecero sorridere.
Dormiva come una bambina. E forse lo era.
Quanti anni poteva avere? Al massimo una ventina…
Così giovane.
-così fresca-
Kate si strofinò la guancia sul suo maglione ruvido, preparandosi a svegliarsi. Ma Angel la sistemò meglio tra le braccia e sollevandosi prese a cullarla in un unico movimento fluido.
“shhhhh. Dormi, è ancora molto presto.”
Con pochi passi misurati raggiunse il corridoio e poi la porta della sua stanza.
La depose al centro del letto e la coprì con una coperta sottile. Tirandole il lenzuolo fin sopra le spalle. Con una sola mano.
Come faceva con la sua sorellina.
Ma quel pensiero era ancora troppo presto per esprimerlo a parole.
Si sentì solo invaso da un sentimento di affetto e protezione verso di lei.
Girò sui suoi passi, silenziosamente e richiuse la porta di noce dietro di sé
-dormi piccola Kathy-

Chiusa la porta dietro di sé rimase un momento a fissarsi le mani. E poi guardò verso le scale alla fine del corridoio. Immediatamente percepì la familiare falcata di Westly e subito dopo l’odore e il passo leggero di Faith
Istintivamente si tese e sollecitò i suoi sensi per capire in che veste veniva.
Amica.
O nemica.
Razionalmente sapeva la risposta.
Ma gli era sempre successo. Anche e soprattutto con Buffy di riconoscere il pericolo e mettersi sul chi vive.
Era un vampiro.
Attese qualche secondo di veder comparire l’amico dietro la curva che portava alle scale. E dopo di lui una ragazza mora semplice e davvero bella nei semplici jeans scoloriti e nella maglietta che per una volta era di un bel color rosso vinaccia.
Niente nero sulla pelle di Faith.
Niente trucco pesante, né abbigliamento eccessivamente da dark lady.
Una ragazza.
Una cacciatrice. Si tese di nuovo.
La vide sorridere negli occhi ancor prima che nella bocca
“Angel…”
No. Sorrise.
Solo una ragazza.
“Faith…”

Kate si svegliò.
Aveva uno strano canto nella mente.
Eppure sapeva razionalmente che la stanza era vuota.
Veniva da dentro di lei. Veniva da Meg.
-è viva, è viva! Vivavivaviva-
mise bene a fuoco e si accorse che era nella sua stanza, sotto lenzuola di cotone. E sola.
Si mise in piedi. E cominciò a camminare nervosamente per la stanza.
Anche se era un po’ restia. L’ultima volta che l’aveva fatto e si era lasciata prendere dal panico non era finita molto bene.
La porta si aprì lentamente mentre appariva la mano e tutto il resto di Angel.
“non mi ero sbagliato. Ti sei svegliata. Buongiorno.”
Kate continuò a camminare per la stanza ignorandolo.
“Kate volevo presentarti qualcuno…Kate?”
le andò dietro e le prese un braccio “che succede?”
lo guardò accorgendosi di lui solo in quel momento “la sento Angel.”
“chi?” non se la sentiva di indovinare
“mia sorella: Meg”

Ancora una volta la donna dall’abito scuro avanzò fino al centro della stanza.
Posizionandosi in corrispondenza di un pentacolo inciso nel pavimento.
Al centro della stella c’era una coppa di metallo.
L’altra figura silenziosamente vi si materializzò accanto come se fosse apparso dal nulla.
Ma aveva percorso solo pochi metri.
“il tuo sacrificio sarà ricompensato.
Ricordato e temuto. Figlia mia!”
Si incise le vene dei polsi e lo stesso fece con quelli di lei, mischiando il loro sangue che scivolava vischioso nella coppa.
“la mia morte porterà alla loro morte, padre?”
“quello che deve essere sarà”
l’uomo si chinò fino a poggiare una mano sul pavimento, incontrando la punta del simbolo che vi era intagliato. La luce si sprigionò dalle sue mani.
Rimase inginocchiato, immobile.
Mentre dalla donna al suo fianco si elevava un grido.

Gridarono. Entrambe.
Senza sapere che l’una gridava il dolore dell’altra oltre che il proprio.

Meg cercò di concentrarsi sul suo compito.
Voleva attingere ai suoi poteri per ritornare sulla terra. Nonostante il rischio e la paura.
Non aveva trovato il coraggio di farlo prima, e aveva perso troppo tempo prezioso.
Ma ora non aveva più niente da perdere.
Quando il dolore esplose nel suo cervello, fu come una scarica elletrica ad alto voltaggio che lentamente la inceneriva.
Interruppe i versi –è finita-

Kate fu presa al volo da Angel mentre si ripiegava su se stessa come una bambola rotta.
Aveva perso i sensi e la sua temperatura corporea stava risalendo vertiginosamente.
La sua mente scivolava in un’oblio fatto di ricordi, risate e musica soffusa.
Sembrava che qualcosa la stesse portando da qualche parte.
-cosa mi succede?-

Poche parole sussurrate vennero pronunciate dalle loro bocche che parlavano come una sola.
Quando il sangue unito cominciò a scorrere copiosamente gli occhi della donna s’incupirono.
“è il momento!”
un fumo denso e oscuro lasciò il corpo della ragazza e ritornò in quello dell’uomo.
Mentre lei si abbandonava al suo destino sul viso dell’altro si disegnava un sorriso di soddisfazione.
-tutto procede-
La figura dell’uomo accovacciato dischiuse gli occhi e si soffermò sull’espressione di beatitudine della donna che giaceva ai suoi piedi.
Si discostò quanto bastava per uscire dal cerchio.
“venite a me, creature mie.
Accogliete il grido di vostro padre”

Il dolore scomparve così come era venuto.

Meg si guardò intorno non riconoscendo l’ambiente. E non trovando Spike.
Era una stanza umida e scarsamente illuminata, ma c’era qualcosa. Si, una sagoma stesa su un sarcofago di pietra. Sembrava morta.
Da lontano poteva scorgere le mani giunte sul petto.
Si avvicinò un pochino, sentendo una leggera vertigine mentre si alzava.
Non si era accorta del sarcofago. Identico a quell’altro.
Su cui aveva riposato lei fino a pochi attimi prima.

Kate non si rendeva bene conto.
Tutto troppo insolito. Eppure tanto familiare.
Aveva sentito.
Odorato. Toccato. Provato.
Emozioni nuove che già ricordava.
Un turbine che la riportava avanti e indietro nel tempo della sua vita.
Non vedeva, certo. Ma sentiva.
Sapeva che si era sollevata e che qualcuno l’aveva afferrata disperatamente
-Angel-
ma non sapeva perché davanti a lei, nella sua mente, i ricordi del suo passato e di quello che forse sarebbe stato il suo futuro convergessero in un punto preciso.
Un momento distinto che mai e poi mai avrebbe potuto dimenticare.
Il cinque febbraio del 1987.
L’istante in cui aveva capito che suo padre era morto.

Meg gridò di gioia quando riconobbe il volto di Liz.
“sorellina! Liz svegliati, sono Meg. Sono qui. Omiodio. È troppo bello perché sia reale! Liz!”
la abbracciò e strinse con tutte le sue forze.
Solo quando sentì che ricambiava la stretta, credette ai suoi occhi.
-è vero!-

Kate si risvegliò.
Fu sufficiente un’occhiata per capire che non era mai stata in quel posto e che quello doveva essere un posto in cui si augurava di non finire mai.
Si avvicinò furtivamente alla figura di spalle.
Quando fu sufficientemente vicina per scorgerne i contorni, fu sorpresa dai suoi lineamenti…
“ben arrivata, tesoro mio”
… dalla sua voce.
-miodiono-
“papà…”

“Meg, oh Meg”
Liz sentiva dolore su tutto il corpo.
Ed era distrutta psicologicamente.
Cominciò a piangere mugolando parole senza senso.
“non sei più sola tesoro, non siamo più sole. Oh Liz. Ti voglio così bene!”
Si era già dimenticata di Spike.

“Westly, Cordelia! Faith!” Angel chiamò disperato
quando i tre fecero irruzione non credettero ai loro occhi
“Angel…che sta succedendo?” Wes cercava di mantenere una parvenza di controllo
Kate dal centro della stanza era sospesa nel vuoto e mandava bagliori luminosi.
Faith non riusciva a credere a quello che vedeva “è sempre così…splendente?” ma si pentì subito di quelle parole sarcastiche.
La situazione era seria.
“credo che siano le sue sorelle. La stanno chiamando”
“le sue sorelle la chiamano?...da…da dove?”
Angel guardò Cordelia in volto, davvero serio “dall’inferno”

Kate avanzò fino a trovarsi in piena luce. Di fronte a lui.
“pa…papà?”
un ghigno ferale le rispose “qualcosa del genere, bambina!”
lo sguardo di Kate si fece d’acciaio “esci da lui bastardo infernale!”
il Primo la ignorò completamente “non ti dispiace vero?
L’ho preso in prestito, tuo padre! Ma sai, è come se in un certo senso lo fossi anche io.
Tuo padre.”
“che vai dicendo? Tu sei il male.”
“così sicura di quello che sono.
Così sicura di quello che sei?”
La trasformazione era stata repentina. Non se n’era neanche accorta. E l’aveva scagliato con tutto la forza che aveva verso la parete di fondo.
“niente giochetti con me, idiota!”
il Primo rise “sapevo che sarebbe stato divertente!
Per questo mi sono premunito di un’incentivo.”
Con un gesto fece apparire dal nulla dietro di lui Meg e Liz.
“sorelline!”
Kate cercò di raggiungerle e gridò quando fu sbalzata all’indietro bruscamente.
Con la stessa forza che aveva usato per colpire lui poco prima. Potenziata di dieci volte.
Meg e Liz gridarono disperatamente quando la videro sbattere la testa sul pavimento.
“l’avevdo detto io, che sarebbe stato divertente” ripetè
solo allora le due ragazze focalizzarono l’attenzione su di lui
“mio dio. Non può essere vero!” Meg si coprì il volto con le mani
“non sei felice di rivedermi piccola mia?”
Liz strinse la spalla di sua sorella per farle coraggio “puoi anche avere il suo aspetto, ma non sei lui!”
“oh, tesoro! Non la pensavi così quando ti sei stretta a me e mi hai sussurrato quanto ti ero mancato in tutti questi anni. La mia piccola figlioletta maggiore! Abbracciami ancora. Sarei davvero lieto di risentire i tuoi piccoli seni sodi contro di me!”
Liz trattenne a stento la bile che le risaliva prepotentemente dallo stomaco
“lasciala stare!” Kate si era rialzata. Ancora trasformata.
“gelosa? Non devi,
sei sempre stata la mia preferita”
“smettila, tu non sei lui”
“è divertente! E poi… mi serviva un’asso nella manica che fosse…persuasivo! Con te mia piccola bellezza! Hai un talento naturale e una certa propensione che ha stupito perfino me…per il male!”
allungò una mano dolorosamente familiare verso il viso di Liz. Come se non fosse stato altro che a pochi centimetri da lei.
Si era spostato con una velocità incredibile.
Spazio e tempo erano relativi.
Liz sussultò a quel contatto e si divincolò “che cosa mi hai fatto?”
“sei l’unica che è rimasta con me. Te ne sarò per sempre grato.”
“che cosa mi hai fatto?”
“oh, dovevo pur divertirmi un po’! non ricordi?”
Con uno schiocco secco delle dita allungò nuovamente una mano su di lei.
Restituendole i ricordi.
Liz si contorse dal dolore. Dal terrore.
Rivisse tutti quei momenti e ricordò. Svenne.
“Liz, oddio Liz!” Meg cercò di sollevarla.
“o non preoccuparti. Non morirà…ancora! Ma non fatemi arrabbiare!”
“che cosa vuoi?”
“quello che mi avete tolto.”

§§§

Angel cercò di afferrare il corpo di Kate per riportarlo a terra. Ma non poteva toccarlo.
Era incandescente.
“Angel non è normale. Un’umano qualsiasi sarebbe già morto. Nessuno può reggere a una simile temperatura!” Cordelia davanti a lui si contorceva le mani,
mentre Westly faceva avanti e indietro con Faith dalla camera alla biblioteca reggendo ogni volta un volume diverso.
“e io che credevo di essere pronta per la pensione! Ma con voi non si può mai dire”
Angel la fissò “non dobbiamo ucciderla. Ma salvarla”
“di nuovo” aggiunse Cordy che se la tirò dietro prima che potesse dire altre sciocchezze.
Wes, rimasti soli, gli parlò molto seriamente “Angel comincio a pensare che questo rituale a cui fai riferimento non esista! Non lo trovo in nessuno di questi volumi. E sono ore ormai…”
“che vorresti fare: vederla morire?”
gli rese l’occhiata con sguardo di fuoco “non dire sciocchezze! Ma aiutami, in qualche modo. Non uscendo da questa stanza non risolvi niente!”
Era vero. Non l’aveva lasciata nemmeno un minuto.
“scusa Wes. È che sono molto stanco. E preoccupato
chiama Cordy…dille di venire qui mentre noi ricercheremo il rito”
si era già avviato quando lo richiamò “Wes è meglio che chiami…”
“anche Faith. Ci avevo già pensato”

Spike cercò di mantenere il controllo.
Ma stava perdendo la sensibilità delle giunture.
I muscoli ormai erano andati da tempo.
Le estremità continuavano a sanguinargli. Si chiese se quella agonia lenta lo avrebbe portato alla follia più velocemente del dissanguamento.
-è questo: il sangue. È sempre il sangue.
La sua scomparsa mi indebolisce e il vampiro prende il totale controllo.
Diversamente dal momento della rinascita in forma demoniaca.
Non sarò più io-
Cercò Meg con lo sguardo, senza realizzare che ormai era cieco.
Provò a sentirla tramite le percezioni del suo respiro, del battito.
Non c’erano dubbi.
Era solo. E moriva.
Di nuovo.

Erano passate ore.
Quello era uno stallo, negli scacchi.
Il corpo di loro padre era scomparso in una fitta nebbiolina senza preavviso, lasciandole attonite.
Dopo un momento di sbalordimento si riabbracciarono. Così felici di essersi ritrovate.
Vive, e insieme.
Piansero e risero e si strinsero di nuovo senza interrompere il contatto fisico, tenendosi sempre la mano. Come se quel semplice gesto le potesse preservare e tenere unite.
Quante volte avevano pensato –se non avessi lasciato la sua mano…-
Kate non si era mai sentita così felice, e così stanca.
Si accasciò piano al suolo mentre riassumeva le sue sembianze.
E le sue sorelle le andavano vicino.
“perché ci avrà lasciate sole?” Liz alzò gli occhi verso la stanza buia
“non lo so, forse non ha paura dei nostri poteri. Del resto…questo è il suo regno!”
“l’inferno” Kate terminò la frase di Meg
“siamo morte, quindi. Non possiamo avere un corpo per stare in questa dimensione!”
“mio dio Liz, questo allora cos’è?” Meg si diede un pizzicotto
“è la tua essenza”
“Kate, ma io posso toccarmi! Ho sempre creduto che le essenze fossero qualcosa di evanescente” Kate si alzò in piedi e raggiunse la sorella chiudendola in un abbraccio
“Meg ci sono tante di quelle cose che non sappiamo…io non credo che questi siano i nostri corpi.
È solo una sensazione, ma quando sono arrivata qui non si è aperto un vortice, come ci è accaduto la prima volta.
Io sono stata trasportata…mi sono lampeggiate nella mente tante immagini di te, di voi…la mamma. Perfino papà. Era come se qualcosa mi richiamasse.
Ma il mio corpo è rimasto dov’era”
“cioè dove?” Liz si spostò verso le sue sorelle
“sulla terra”
Kate vide le altre due strabbuzzare gli occhi e guardarsi “ragazze, ma che avete?”
“il tuo corpo è sulla terra? Questo vuol dire che tu sei viva…”
Kate sentì il panico cominciare a strisciarle nello stomaco “perché voi…”
“noi siamo sempre state qui!” rispose Liz per tutte e due “ho dei ricordi molto più nitidi, ora. Da che lui mi ha restituito…” soffocò un singhiozzo sentendosi troppo debole per continuare
“calmati tesoro, non avere fretta…
sei stata incredibilmente fortunata Kate. Io sono rimasta intrappolata là fuori. Ho camminato, combattuto,cercato di uscire da …non avevo più la speranza”
si allontanò dalle altre due dando loro le spalle. E venne scossa da un tremito
–mio dio Spike! Ho scordato Spike!-
“oh ragazze!” esclamò coprendosi il volto con le mani e cominciando a singhiozzare
“Meg tesoro che hai?”
“sorelline ho lasciato un’amico la fuori!”

“trovato!”
Westly esultò dopo l’ennesima consultazione
“il rito per separare un contatto tra congiunti”
Angel si accostò al tavolo “prepariamoci”

Spike si sollevò in piedi cercando di mantenersi cosciente.
Arrivati a quel punto non sapeva più cosa fare di se stesso. Non potava uccidersi.
-un nonmorto all’inferno che speranza ha di morire?-
non poteva restare a guardare mentre la sua essenza veniva usata per creare un nuovo demone spaventoso. Rinasceva.
Non poteva ricominciare daccapo.
Scosse la testa per snebbiare il cervello. Ma si ritrovò steso, di nuovo.
Da una nuova vertigine, che l’aveva colpito.

“salveremo anche lui Meg! Salveremo questo Spike!”
“dobbiamo scoprire dove sono i vostri corpi Liz!”
Kate si voltò verso l’altra sorella “Meg…credi che potremmo rimandare a dopo il salvataggio di Spike? Dobbiamo trovare i vostri corpi adesso!”
Meg la fissò risentita “come puoi essere egoista in una situazione come questa?”
Lo sguardo di Kate si addolcì “Meg…come salveremo Spike se non siamo in grado di salvare prima noi stesse?

La mano di Westly fermò quella di Angel che si apprestava a terminare la pozione con una goccia del sangue di Kate “Angel sei sicuro che sia la cosa giusta?”
Angel asserì col capo
“ma se noi…le separiamo, lei non avrà più modo di contattarle! Potrebbe non ritrovarle mai più!”
“Wes so i rischi che corriamo, ma hai visto anche tu che non ci sono alternative. Sono già passate troppo ore!”
“Angel, amico mio…ti odierà quando scoprirà cosa le hai fatto. E odierà anche me!”
“posso sopportare il suo odio”
-ma non posso sopportare …-
Angel risoluto indicò il libro con la formula che completava il rito
“casterò io l’incantesimo”

Dal buio della camera si aprì un varco luminoso dietro cui si intravedeva uno spazio circolare.
Meg fu la prima a parlare “cosa credete che significhi?”
Kate avanzò dall’ombra “credo che significhi
–perdete ogni speranza voi che entrate-“
La sua sagoma sparì inghiottita dalle tenebre.

“sei stata molto imprudente! Avresti potuto aspettareci, invece ti sei lanciata nel buio senza di noi!”
Liz si rivolse alla sua figura di spalle e Kate la interruppe con un gesto della mano.
“ragazze vi sto guardando!”
“ma che dici? Sei voltata…”Meg si avvicinò alla sorella continuando il rimprovero dove Liz, già vicino a Kate, l’aveva interrotto. Troncando la frase a metà.
Occhi negli occhi guardava il suo corpo, e quello di Liz.
E al suo fianco, quello di Spike.
“i nostri corpi…” Liz scivolò lentamente sul piano cedevole reprimendo un’ondata di disgusto quando ci poggiò sopra la mano e si accorse che era viscido. Quella specie di pavimento era come invaso da una guaina sanguinolenta…
alzarono gli occhi contemporaneamente verso il centro della stanza.
Un pentacolo inciso a lettere di fuoco rischiarava grottescamente l’ambiente.
E al centro di esso una coppa da cui sgorgava copiosamente il sangue che scendeva in rivoli umidicci sul fondo.
Pareva…si pareva che cercasse di raggiungere qualcosa…
Come se fosse animato da una sua volontà…
La prima a rompere il silenzio fu Kate “è un demone? Cosa…ma che cos’è?”
Meg nemmeno rispose.
Si precipitò al fianco di Spike, completamente incosciente, ed esplose in singhiozzi convulsi.
Kate la guardò cercando di comprendere quel dolore tanto privato che solo chi vive esperienze estreme insieme può condividere.
Distolse lo sguardo quando già la prima lacrima faceva capolino.
E si rivolse all’altra sorella “Liz…cosa credi che… sia?”
Liz come in trance fissava il liquido vischioso percorrere i centimetri sul pavimento e raggiungere…quasi…
Si coprì il viso con le mani ed emise un grido gutturale di puro terrore
“è il mio sangue.”
-e cerca di raggiungere il mio corpo-

La concentrazione era tale che alcune goccioline di sudore gli imperlavano la fronte.
Wes nemmeno se ne accorse quando passò ad Angel il testo con il sortilegio da castare.
Troppo impegnato com’era ad osservare le mosse del vampiro che sembrava insolitamente calmo.
Sembrava.
Angel prese il libro senza degnarlo di un’occhiata e si diresse al centro del cerchio disegnato con la sabbia rosa dalle sfumature alabastro.
Si chinò in terra e poggiò le gambe incrociate sul pavimento.
Sollevò gli occhi su Wes solo per un istante.
E mai come allora Westly fu certo che non stesse guardando lui.
Ma un piccolo corpo perso in un suo personalissimo inferno.

Era buio.
Tutto quello che percepiva era un’oscurità così densa che sembrava fatta di pece solida.
E caldo.
Un calore così feroce che Spike credette di stare bruciando.
Per la seconda volta della sua esistenza.
Eppure sentiva.
Quindi, se ancora sentiva, non era finita.
Non era stato inghiottito da quella bocca infernale fagocitato e risputato fuori.
Non aveva perso se stesso. Potevano togliergli qualunque cosa.
Ma la speranza…forse…

Meg si riscosse dai singhiozzi quando le sembrò di sentire per un’istante la mano gelida di Spike stringere la sua.
Era incosciente. Ma forse…la speranza…
-ti prego Spike, resisti-

§§§

Kate sentì il dolore delle sue sorelle. Come se fosse il proprio.
Sentì un gelo nelle arterie come se piano…lentamente la circolazione si stesse fermando.
Guardò dietro di se, avvertita da un presentimento che solo incosciamente poteva aver intuito.
Giusto in tempo per lanciarsi lunga distesa e sbattere rovinosamente la testa sul pavimento di pietra dura. Senza svenire, stavolta.
Per evitare la scarica di energia dalla forma sferica che era stata lanciata verso di lei.
Un’ombra dietro di loro.
Che le osservava non visto, da tempo.
Kate si rimise in piedi cercando di soffocare il dolore dentro un colpo di tosse che sembrò squassarla. E guardò il suo aggressore.
“molto, molto bene.”
La voce che aveva parlato apparteneva ad una creatura enorme. Interamente ricoperta di squame.
Aveva scandito le parole come se si trattasse di parlare con delle stupide.
Con delle bambine.
“chi sei?” chiese Meg rialzandosi e frapponendosi fra la creatura e Spike. Per cercare miseramente di proteggerlo.
“lei…” sibilò di nuovo la voce gutturale e, a suo modo, affascinante
“lei lo sa bene chi sono.”
La mano protesa aveva un indice alzato.
Che indicava Liz.
“non è vero? Amore?”
Liz sussultò per il disgusto
Quante cose orribili aveva fatto mentre era posseduta dal Primo.
Che le faceva credere di essere suo padre.
“i miei gusti in fatto di uomini…o per lo meno di…creature di sesso maschile… sono cambiati recentemente. Tu non sei più tra i preferiti!”
la creatura estese la sua massa muscolare fino a riempire la stanza di sé. E svanì in una nebbiolina.
Per ricomparire alle spalle di Liz e schiaffeggiarla sonoramente.
“speravo fosse rimasto qualcosa di lui in te.”
Liz si asciugò un rivolo di sangue dal labbro inferiore. “scusami tanto se ti sto deludendo!”
“ironizzi? Fai bene! Ma ti consiglio di realizzare i tuoi ultimi attimi diversamente…potersti dire addio alle tue sorelle per esempio…” allungò una mano verso il mento e si protese verso di lei baciandola selvaggiamente.
“non osare toccarla!” Meg si allontanò appena un poco da Spike. Senza lasciare la sua mano.
“morirete. Quindi che la tocchi o meno…che vi tocchi…o meno…non fa differenza.”
Fece per allungare un’estremità sqamosa che gli nasceva dallo stomaco verso Kate
“lascia stare le mie bambine…” l’accento paterno le fece rabbrividire
“Opus…figlio. Non essere impaziente”
dolorosamente Liz riconobbe quella frase.

Angel terminò di recitare l’ultimo verso.
Senza nemmeno aspettare che Wes spegnesse le candele accese per il rito.
Già in piedi andava a passo spedito nella stanza accanto.
Wes che entrò nella camera appena dopo di lui si tolse gli occhiali e prese a pulirli meticolosamente.
Al fianco dell’eroe…aveva visto un’ombra.

-allora, eroi!
Eroi, giusto?
È così stressante! Io sono sempre qui, e voi non mi degnate di uno sguardo!!
Solo…Principessa…alle volte…
Ma Angel sei tu che mi preoccupi.
Lei è forte, ma tu…
Stai confondendo le carte del destino.
L’incantesimo…non lasceranno che funzioni…
Loro.
Che dovrebbero essere i buoni.
Angel…nessuno di voi potrà cambiare le cose.
La ragazza non tornerà.
Devi essere forte uomo.
Forse…troverai il modo…
Forse nemmeno lo ricorderai.
Il dolore.-

“smettiamola con questi giochetti! Dicci che vuoi!” Liz ostentava una forza nella voce e nei gesti che in realtà non aveva
“voglio il mio corpo. Quello che voi…piccole sciocche…e quel relitto demoniaco laggiù mi avete strappato. Voi…delle mie figlie…avete fatto questo a vostro padre”
Kate simulò una risata di scherno “nostro padre…tu non sei lui. Oppure sei lui
E noi siamo dei piccoli demoni come te!
Ma in questo caso…”
La risata fragorosa la interruppe
“Kathy Kathy, sei sempre stata la più intelligente!
Ma capirlo con così largo anticipo! Che brava ragazzetta!”
il Primo levò in alto le mani e tutta la camera sembrò illuminarsi di centinaia di bagliori luminosi più dell’argento.
“ragazze mie.
Figlie mie.
Dell’uomo. E del demone.
Io sono vostro padre. Io sono l’uomo che vi ha creato.
E voi siete i miei piccoli capolavori.
Naturalmente…non lo sapevate.
Vostra madre….mi amava. Si lei mi amava.
E sapeva chi ero.
E quando si rifiutò di darmi un figlio. Io la uccisi.
E creai voi.
Prima Christofer.
Poi Liz. Meg.
E infine Kate.
Erebo. E voi: Aletto. Megera. E Tisifone.
I miei piccoli capolavori.
Ma non sempre tutta procede come viene progettato.
E così… voi…i miei.capolavori…siete diventati la mia più grande vergogna.
Vostro fratello è impazzito. E voi…piccole principessine stupide
Avete rifiutato lo scettro del mio regno e mi avete combattuto.
Siete diventate Grazie.
Invece che Furie.
Grazie.
Che enorme delusione.
Voi…figlie mie. Avete battutto vostro padre.
Avete cercato di ucciderlo.
Ma io non potevo uccidere voi.
E così vi ho separato.
Non potevo uccidervi.
No. Non…volevo. Uccidervi.
Non voglio.
Ma ora. Non costringetemi.”

Le parole che avevano appena sentito esplosero nelle loro menti.
Demoni.
Furie. Come le antiche divinità greche.
Tre sorelle. Dee della vendetta e della maledizione.
Loro padre era morto.
Non era quell’essere. No, il male.
Il Primo Male. L’origine di ogni altro orrore.
E loro erano delle sue creature.
Gli appartenevano.
Eppure avevano cercato di sconfiggerlo.
Grazie. Aveva detto.
Si erano trasformate in Grazie. Le Dee dello splendore, della letizia e della prosperità.
Se non altro aveva avuto molta fantasia. Quel vecchio bastardo.

Incapaci di qualsiasi movimento. Incapaci di qualsiasi pensiero che non fosse il disprezzo per se stesse e per il mondo. Rimasero ferme. Tremanti e folli di dolore per quella verità così spietata che gli era stata rivelata.
Perché era vero.
Lo sentivano. Nelle viscere. Nella mente.
E nel cuore. Se mai ne avevano uno.
Forse non erano demoni.
Ma non erano umane.
Forse la loro madre era umana, ma il loro padre…
Era un mostro.

Kate fu la prima che si riscosse dal suo stato d’intorpidimento.
Guardò ferocemente verso il Primo mentre lacrime di rabbia disegnavano sul suo viso incessanti ghirigori.
“non ci credo! Non è vero!!
Io non sono come te! Nonsonocomete!
NON SONO COME TE!”
Gridò esasperata.
Il Primo le dedicò una tenera occhiata “tu sei esattamente come me”
“allora uccidimi. Se sono…quello che sono, non voglio più vivere!
Lo sai che non avrai mai da noi quello che pretendi…”
“sbagli bambina…avrò tutto ciò che mi appartiene.
Riavrò la mia essenza corporea, così da potermi liberare delle fastidiose sembianze di questo banale corpo meramente umano…”
“non ti permetto di parlare così di mio padre!” Meg sconvolta teneva la mano di Spike fra le sue mentre pronunciava quelle frasi così dolorose
“sono io. Tuo padre. Questo non è che un modello.
Ingenuo tesoro! Queste sono le fattezze che ho creato, affinchè vostra madre le potesse ritenere attraenti…io ho creato questo corpo!
Come ho creato voi.
Ma senza di me…non è che un’inutile involucro”
Una densa nebbiolina scurissima scaturì da ogni orifizio di quel corpo tanto amato fino a formare un’intensa nube olivastra.
Lasciando che quel corpo umano tanto caro si accasciasse al suolo privo di qualsiasi sostegno.
Permettendo a quelle giovani donne di arrendersi davanti a una verità tanto inaccettabile.
La nebbiolina fitta parve concentrarsi in un punto
“ecco cos’è senza di me: niente.
Come voi.
Riavrò il mio potere e riavrò i miei figli.
E dagli inferì travolgerò il mondo e lascerò che lo governiate.
Ve lo donerò, sarà la mia ricompensa…vi attendono prove amare, ma supererete questi giorni vuoti e abbraccerete la vostra natura.
E governerete.
Con me.
Gli infiniti mondi esistenti”

Spike si rese conto di avere qualcosa saldamente attaccato alla sua mano destra.
Cercò di sollevare le palpebre pesantissime, ma fu tentato di ricadere nell’incoscienza.
Lo sforzo e il dolore erano troppo superiori alle sue forze già tanto provate.
Veniva da Meg.
Tutto quell’amore che gli impedì di ripiombare nel baratro.
Meg che gli stringeva le mani e gli carezzava piano la fronte squamata.
Che lo celava agli sguardi curiosi e un po’ disgustati delle sue sorelle.
Meg.
Anche se Spike non lo sapeva. E nemmeno lo sentiva.
Era convinto, Spike, che tutto quell’amore provenisse da un’altra parte.
Da un’altra donna.
-Buffy-

Liz sollevò il volto arrossato “come puoi pensare che ti seguiremo in questi propositi allucinanti?”
Il Primo si ricompose davanti ai loro occhi, riappropriandosi di quel corpo blandamente accartocciato al suolo. Mentre Opus con le mani conserte, osservava estatico.
“noi non sapevamo chi tu fossi. Ma abbiamo percepito che eri spaventosamente malvagio.
E i poteri che tu ci hai donato ci hanno quasi ucciso, mentre cercavamo di distruggerti!
Tu hai fatto questo a noi! Ci hai rese dei mostri! “
“voi…siete fiori! Di luminosa e crudele bellezza. Talmente abbagliante che nessuno oserà toccarvi.
Voi non siete come gli uomini.
Essi vi riconosceranno e allontaneranno.
Perché la vostra diversità brillerà come uno stendardo sulla vostra pelle!
E se non sarete mie…o di qualche mia creatura…
Non sarete di nessuno!”

Le loro menti sembrarono improvvisamente focalizzarsi su un unico pensiero comune.
Scintillarono le tre grazie.
Gli occhi dei due demoni ebbero appena il tempo di cogliere baluginii dorati prima di essere costretti a distogliere lo sguardo da quella scintillante trasformazione.
Le donne avevano momentaneamente smesso di esistere.
Ora .
Senza tempo.
Per sempre.
Con lucida e disarmante certezza il Primo sorrise accogliendo su di sé la scarica di energia spietatamente distruttiva.
Sapeva che il colpo sarebbe stato sferrato.
Così come sapeva che non avrebbe potuto nemmeno indebolirlo.
Sorrise di nuovo, lentamente. Come un gatto furbo che sa che il topo sta per allungare la zampetta e venire agguantato.
Quando il colpo che Liz Meg e Kate avevano lanciato, sfibrandosi nel tentativo di ucciderlo, lo raggiunse emise un lieve gemito di sorpresa
-non male, dopotutto-
“ci speravate, vero?”
i lineamenti si trasformarono in un ghigno ferale che simboleggiava il male in tutti i suoi più puri frammenti.
Sfinite si lasciarono andare a un pianto disperato.
“credevate forse di poter usare i poteri che io vi ho donato.
Contro di me?
Come la prima volta?
Ma voi piccole sciocche…bambine adorate…
Voi sapete che il potere che tanto disperatamente invocate per finirmi
È da me che proviene?”
Un grido di orrore nacque dalla gola di Kate trasformandosi in un sibilo strozzato.
La memoria di quel giorno le scorreva ancora nelle vene…

…Sembrava che all’improvviso una granata avesse invaso il piccolo confortante ufficio.
Una luce dai bagliori grigi si diffuse nel monolocale in ci conservava i mobili e i quadri ancora da restaurare.
Kate credette che quella sensazione di soffocamento fosse dovuta alle inalazioni velenose dei prodotti che Liz stava usando quella mattina e fu tentata di aprire la finestra.
Prima di accorgersi di essere irrimediabilmente bloccata sulla sedia.
Le ci volle un secondo per capire che l’ossiggeno che cercava di inalare rabbiosamente e che invece si rifiutava di animarle i polmoni, non veniva respirato.
Si, lei, non stava respirando.
Ma non era morta.
Chiuse gli occhi e li riaprì credendo di essere piombata in un’incubo.
Aspettando di risvegliarsi.
Ma ad attenderla non c’era la timida oscurità della sua camera, confortante quando alla vigilia dell’alba s’infrangeva sulle prime ombre di sole…
Ad attenderla c’era solo…il buio.

Kate sbattè di nuovo le lunghe ciglia mentre ritornava al presente.
Era lì. Ma la mente era lontana…

…Era bellissima.
Era un demone.
E forse era arrivato il momento di morire.
Perché sentiva su di sé il fiato gelido della morte che pretendeva il suo onorario.
E sentiva anche un’altra cosa…
Un nome.
Il suo nome.
Pronunciato da un essere senza voce. Un essere spettrale, ma corporeo.
Davanti a lei il Primo sembrava essere pronto a dare vita ad una combustione spontanea.
Davanti a lei apparvero le sue sorelle.
Trasformate. Come lei.
Demoni.
E vive.
Davanti a lei il male cercò di allungare le lunghe braccia muscolose verso i loro volti.
Come in una stereotipata carezza.
Prima di prendere fuoco. Divorato dalle fiamme appiccate da un lontanissimo Spike.
Pronto all’ultima resa.
Consapevole di poter fare, con il suo gesto,
-non lì. ma ora-
la differenza.

Ecco il tassello che mancava.
Non avevano capito.
Quel poco che avevano potuto rifletterci sopra, avevano pensato di essere state prescelte per combattere il male.
“non è vero tesori miei?
Piccole oscure meraviglie…credevate di essere un qualche simbolo di purezza angelicata?
Di essere guerriere nate per combattermi?
Si, io stavo morendo
Per quello sciocco…”
Il corpo di Spike fu travolto da una raffica secca che sembrò poterlo mandare in frantumi sotto le grida acute di Meg
-così…lo ama. Forse.-
“…che aveva deciso di sacrificarsi da eroe.
Ma io non potevo morire.
Io vi ho svegliato dal vostro terreno e rassicurante oblio.
Io vi ho chiamato. Per ucciderlo!”
Indicò di nuovo Spike
“per salvarmi.
Ma voi…voi, ingrate…non avete riconosciuto vostro padre.
Ho pagato cara la mia debolezza.
Ho perso il corpo che la morte e la guerra mi avevano forgiato.
E sono rimasto pateticamente intrappolato nel limbo dei dannati.
Eternamente vivo.
Eternamente morto.
Eternamente invincibile.”

§§§

Le tre sorelle si guardarono.
E annuirono.
“no. Non siete altro che un’arma forgiata dal male. Un’arma che si è rivoltata contro il suo creatore.
Ma mai più sarete tanto fortunate”
Con un delicato movimento provocò un’onda d’urto che le allontanò le une dalle altre.
Mentre uno dei muri della camera si sgretolava e in sottofondo la voce di Liz urlava “adesso Kate!”
Come un miracolo. La luce candidamente azzurra si diffuse nell’ambiente imputridito.
E il tempo parve rallentare.
Mentre guadagnavano quegli istanti che potevano rappresentare l’ultima possibilità.
Meg guardò Spike rovesciato per terra come un pupazzo sgonfio.
-lo devo salvare-
si rivolse alla sue sorelle, senza vederle realmente mentre una fitta nebbiolina si condensava.
“prima Spike”
si chinò su di lui e cercò faticosamente di farlo rimettere in piedi.
Ma Spike aveva definitivamente perduto conoscenza e dovette rinunciare perfino all’ultimo saluto.
Meg gli poggiò le mani sulò petto incurante della pelle che ormai veniva via a grossi brandelli.
Chiuse gli occhi inginocchiata davanti a lui.
Ed espresse la sua volontà.
-guarisci-
sottili striscie di liquido denso somigliante al sangue si levarono dal corpo sovrannaturale di Meg e si congiunsero a quello di Spike.
-guarisci!!-
piano le strisce s’ingrossarono diventando segmenti oleosi.
Andavano a ricomporre le giunture, i tendini, i muscoli
Meg rimase affascinata dalla facilità con cui quel processo era inziato.
Aveva sentito di poterlo fare.
Di doverlo fare.
Guardò estasiata il volto affilato ricomporsi e assumere dei lineamenti definiti.
Era carino.
-è bellissimo-
la pelle candida tornò a ricoprire il corpo di Spike senza lasciare traccia delle sofferenze patite.
La normalità della struttura fisica prese finalmente il posto dell’ammasso informe che era stato.
Meg con un guizzo del braccio levò in alto i tratti di cartilagine che avevano unito i loro corpi.
Questi danzavano intorno al suo viso quasi come capelli ramati mentre venivano lentamente riassorbiti dal suo organismo.
Si sentì mancare quando si accorse che i lucenti occhi di lui erano di nuovo aperti e la fissavano affascinati. Riconoscendola.
“Meg…” solo un rantolio sommesso.
“shhhhhh”
Non poteva guardarlo.
Contemplarlo e capire che i suoi occhi erano per lei talmente trasparenti da potervi leggere dentro tutta la sua vita.
Una vita …
Ammirarlo e accettare la lucida evidenza di doverlo lasciare.
Chiuse gli occhi rifiutandolo
-torna al posto da cui vieni-
Spike sgranò gli occhi.
-mi sta lasciando-
ringhiò cercando di tendersi e opporsi.
Fallendo e rinunciando.
-torno a casa-
le pozze di luce blu notte si tesero, prima di chiudersi.

Spike sparì in una leggera ombra che ormai già andava svanendo.
Meg rilasciò un sospiro e scacciò mentalmente la tensione “ho finito” mormorò
Kate e Liz la osservarono e annuirono preoccupate.
La prossima mossa era quella decisiva.
Il tempo riprese la sua corsa consueta mentre le tre sorelle tendevano le braccia le une verso le altre.
Mentre pronunciavano parole antiche e mai rivelate.
Il Primo si tese.
Sapeva che ci avrebbero provato di nuovo.
-povere illuse!-
sorrise maligno mentre un fiotto di liquido organico simile al sangue cominciava a colare dalle sue giunture.
Un corpo umano non può ospitare a lungo il male incarnato. Senza autodistruggersi e soccombere.
Certo rivoleva il suo corpo.
E le sue figlie.
Ma soprattutto, voleva un’erede.
Un’essere puro.
Figlio dell’orrore e della vergogna.
Della violenza e della malattia.
Voleva una piaga. Una perfezione destinata ad accogliere la sua essenza per rinnovarsi e riemergere dai fumi ingrigiti di tempi tanto antichi da essere considerati imperituri.
Il male era destinato a evolversi.
Le sue figlie, i capolavori di cui andava tanto fiero, erano destinate ad accogliere il suo seme.
Il Primo le guardò mentre richiamavano tutti i loro poteri.
Mentre si abbracciavano.
E puntavano gli amuleti che erano custoditi nel loro petto.
Le une verso le altre.
E fu in quel preciso istante che il Primo si ricordò delle parole di sua figlia, di Kate
-…allora uccidimi…-
un’espressione di puro sgomento gli disegnò i lineamenti deformati, in un’emozione, per la prima volta, così tipicamente umana.
Un grido veloce e acuto si elevò nella camera arcaica.
“noooooo”
la luminosità accecante che seguì gli impedì un doloroso e fulgido spettacolo.
Le sue figlie, le sue bambine.
Erano morte.
Si erano uccise com’erano nate: in uno scoppio di luce.

Il Primo tese le mani.
Un dolore sordo e costante gli opprimeva il petto.
-troppo umano-
le sue figlie erano state in grado di distruggere il suo organismo con l’aiuto del vampiro.
E l’unica opzione che aveva ritenuto valida era stata quella di rifugiarsi nel corpo che aveva costruito tanti anni prima,
un corpo nato per sedurre una strega e poi ucciderla.
Un corpo mortale. E come tale impossibilitato a sostenere il peso della magia maligna che si portava dentro…
-è troppo presto per morire bambine-
avrebbe avuto un figlio da una di loro. E poi le avrebbe uccise.
E sarebbe tornato.

Cole era rimasto fermo.
Sdraiato su quel pavimento freddo. In attesa.
Per un tempo interminabile.
I sensi pronti a cogliere qualsiasi cambiamento nella struttura spazio-temporale che lo circondava.
Per essere pronto a fronteggiare qualsiasi demone cacciatore che avesse tentato di sferrare il colpo di grazia.
Contro di lui.
Dopo che, per l’ennesima volta nella sua vita, era rimasto solo.
-quanto tempo è passato?-
si puntellò su un gomito prima di ricadere sfinito su se stesso e ripiombare nell’incoscienza.
Dopo quelli che gli parvero pochi secondi il suo apparato di autodifesa, collegato agli impulsi del cervello che analizzavano le informazioni esterne per stabilire senza possibilità di errore lo spazio e il tempo in cui si trovava,andò in tilt.
Si svegliò di soprassalto tenendosi la testa fra le mani.
Pazzo di dolore.
Scagliò in preda all’ira una serie di sfere infuocate ad alto voltaggio contro il muro, già sensibilmente danneggiato, dell’appartamento.
Per poi vederlo infrangersi ai suoi piedi come fosse stato di vetro.
Incapace di affrontare la realtà che cominciava a presentarglisi distorta chiuse gli occhi.
Serrandoli con forza crescente fino a che non vide davanti a sé solo una sequenza di puntini bianchi e neri.
A poco a poco il dolore si fece sopportabile.
Non perché stesse diminuendo.
Ma il suo cervello, capace di controllare la soglia del dolore, cercava di riassumere il controllo.
Faticosamente si rese conto di essere ancora nell’appartamento delle ragazze.
Gli impulsi esterni stentavano a essere decodificati ed elaborati dal suo cervello per costruire lentamente l’immagine del posto e del tempo in cui si trovava.
Quell’opzione gli era fondamentale per non impazzire.
Un demone come lui che poteva agevolmente varcare le soglie dei secoli doveva sempre riuscire ad orientarsi.
Per cui il suo cervello godeva di un’apparato di decodifica, controllo, e accumulo dei dati molto diverso e avanzato degli esseri umani.
Non appena si accorse di poter gestire il dolore riaprì gli occhi.
E gli si presentò una scena singolare.
Le immaggini che aveva visto si riassumevano nella sua testa in una serie di blocchi che piano piano svanivano.
Immagini che partivano dalla fine e si schiarivano lentamente fino a consumarsi.
Il suo cervello fu in grado di stabilire che il tempo si stesse riavvolgendo su se stesso.
Fino a un punto preciso.
Che però non riusciva a distinguere.
Alcune immagini
Immagini che non ricordava si sostituirono a quelle conosciute e vissute.
Ma il risultato gli sembrò un collage poco riuscito.
-è un trucco-
quando il suo cervello gli suggerì che i suoi ricordi cercavano di essere manipolati,
cancellati e sostituiti, il suo apparato di difesa gli permise un’ultima azione prima della resa.
Il suo cervello si limitò ad incollare sui ricordi antichi quelli nuovi.
Evidenziando a livello inconscio una discrepanza.
Come ultima tutela.
Una sorta di spossatezza lo invase.
L’ultimo pensiero che poco lucidamente fu in grado di formulare fu una similitudine:
un rullino di fotografie esposto al sole che parte dalla fine e si aggroviglia su se stesso.
Prima di bruciare.

§§§

Angel si affrettò con passo spedito verso la stanza in fondo al corridoio.
Una strana sensazione gli invadeva il corpo. Che iniziava a dolergli per lo stress e la tensione trattenuta.
Sembrava che dentro di lui si stesse svolgendo una competizione.
Tra il suo corpo che voleva muoversi. Fare in fretta. Correre.
E la sua mente. Che faticava a razionalizzare.
Aprì la porta della camera, con un secco gesto della mano.
Doveva sapere.
Doveva sapere, doveva sapere…
Doveva sapere…cosa?
Rimase un’istante fisso sulla porta con una mano appoggiata allo stipite come a volersi sostenere.
Pochi secondi prima di guardare Cordelia e Faith.
E accennare un sorriso.
“tutto bene ragazze?”
Cordelia e Faith lo guardarono interrompendo le loro confidenze…
Proprio mentre Westly si accingeva a entrare
“ma cos’è?non si usa più bussare? Vi siete dati appuntamento in camera mia?
ci manca solo quell’altro e siamo a posto!”
sbuffò spazientita la cacciatrice.
“ehy! Non starai parlando del mio fidanzato spero!!” Cordelia arricciò il nasino deliziosamente
Faith scosse la testa “naaaa! Il tuo fidanzato è un tipo discreto! Non da fastidio!
È quell’altro che invece…”
Angel osservava divertito la scena mentre lanciava occhiate distratte alla porta. Sorrise.
Lo sentiva che c’era.
“ehy cacciatrice! Attenta a portare rispetto!”
“ma tu non eri uscito?”chiese Faith alzandosi dalla sponda del letto e avvicinandoglisi minacciosamente.
Lui le afferrò i polsi e glieli portò dietro la schiena “io faccio quello che mi pare bellezza!”
“Spike ma ti pare il caso? Insomma non digrignare i denti a quel modo…”
Cordelia lo guardava inorridita
“perche? Cosa gattina, mi verranno le rughe?”
Cordelia gli indicò la porta con gli occhi mentre Faith scalcaiva per divincolarsi e l’attenzione di Spike per lei andava scemando
“cosa guardi gattina?
Chi, Angel?
Andaimo, sai meglio di me che flagello non dice niente. Almeno fino a che non provo a sventrarla, sia chiaro! È convinto che la migliore politica in questi casi è la diplomazia!”
Angel mascherò la risata che gli saliva alla gola dietro un’espressione fintamente afflitta
Cordelia gli fece segno di guardare più a destra
la faccia di Spike prese diverse sfumature di grigio prima di lasciare Faith e di dedicarle, con un’espressione compita, quattro parole
“ti prego di voler accettare le mie scuse più sincere per un comportamento così inappropriato riferito a…”
poi le fece l’occhiolino
“…luce dei miei occhi, unico vero amore…sole della mia…
...ehylà Whydam Price! Tutto bene? Bella giornata vero!”
gli passò affianco e prese a scendere le scale con una mano in tasca e l’altra che accarezzava il corrimano.
la risata di Angel e Cordelia venne soffocata dietro un tossicchiare di circostanza, mentre venivano inceneriti dall’occhiataccia della bruna cacciatrice.
Wes si rimise gli occhiali che aveva in mano “bè credo…che…si..io..”
Faith lo interruppe per toglierlo dall’imbarazzo “ma si può sapere che volevate?”
“si è vero! Piombate qui, sul più bello mentre Faith mi stava raccontando di questo tipo che…”
una gomitata quasi le mozzò il fiato “ehy vacci piano bellezza! Non sono di ferro. E non ho più superpoteri!”
“già! Da quando il tuo fidanzato ti ha rifatto il favore!
E comunque impara a tenere per te certe confidenze!!” mormorò brusca
Angel e Wes si fissarono.
C’era un motivo particolare per cui erano piombati nella stanza di Faith?
Non se lo ricordavano proprio.
“ehy gente! Sentivo dei rumori…riunione straordinaria?”
“ah, tu qua sei?” chiese Cordelia avvicinandosi all’uomo e baciandolo sulle labbra velocemente ridendo mentre lui si protendeva verso di lei per prolungare il contatto
“perché?”
rispose Doyle
“io sono sempre stato qui!”

-sono sempre stato qui, uomo.
Ma alle volte…non capisco.
Immagino cose…di una vita che non ho vissuto.
Immagino la mia morte.
In una nube di luce ardente.
E vedo Cordelia piangere.
E vedo che tu, Angel, ti disperi.
Perché credi che sia colpa tua. E ti attribuisci un altro peso da conservare gelosamente.
Mi capita soprattutto di notte.
Alle volte se sono solo. Alle volte…anche se c’è principessa vicino a me.
E mi sembra tutto così verosimile.
Mi vedo, quasi.
Perso nella luce, che veglio. Su tutti voi.
Sulla mia famiglia.
Pensa un po’ uomo, vegliavo perfino su Spike!
E mi è capitato alle volte di temere per lui.
Temere che vi venisse portato via da un bagliore infuocato capace di incenerirlo.
Alle volte, Angel, avrei voglia di piangere.
Di raccontare tutto a principessa. Alle volte.
Oppure a te, uomo.
Ma poi penso che dovrei dirvi quello che mi sembra di vedere. Di sentire.
Dovrei raccontarvi il vostro dolore. E probabilmente farvelo vivere.
Potreste credere che sia una premonizione. Vivere nella paura.
E per cosa poi?
Elucubrazioni mentali di un demone mancato che viene assalito da presagi ingestibili?
Naaaa.
Sono sempre stato un tipo un po’ strano.-

“Abbiamo dato per scontate troppe cose…”
il Primo attese che la familiare ombra di Opus si materializzasse al suo fianco
“è vero Signore, ma forse è stata una mossa troppo avventata…
rimandarle di nuovo sulla terra…
Rimandare indietro il tempo e controllare le loro menti…
I loro ricordi….”
“ti sbagli!
Opus, quel vampiro…quel gruppetto male assortito di rinnegati…
Non sono altro che pedine.
Le mie bambine…era troppo presto per loro.
Dovranno crescere.
E, tristemente, si sa…la sofferenza fa crescere.
Quando avranno imparato cos’è il dolore…allora saranno pronte.
Per me.
E non c’è niente di meglio della cruda efferratezza umana!
Gli uomini sono sempre stati capaci di sostituirci nella maniera più decorosa.
Hanno una concezione talmente accurata del male…da riuscire a perseguirlo come dei devoti discepoli.
Ah! Opus…figlio mio…alle volte penso che il mondo è troppo insignificante e troppo conteso dai suoi sciocchi abitanti per meritare tanta fatica…
Ma poi capita qualcosa…
Nella mia mente si eleva un grido…è la malvagità umana.
Che mi chiama.”