Inferni
Con quell’ansia dentro che
non ti fa capire se
sei tu inadeguato
o tutto il mondo che hai intorno è sbagliato.
(Max Pezzali – J Ax, “Noi parte 2”)
Los Angeles, 4 ottobre 1998
« Vieni, ti faccio fare un giro! »
Buffy uscì dalla cucina, mostrando a Lily il resto del piccolo
appartamento, che consisteva in una sola stanza.
« Ehm.. ecco, qui si conclude il nostro giro! »
Lily era appoggiata al muro, si guardava intorno un po’ a disagio: «
È molto carino. »
« L’affitto è pagato per le prossime tre settimane. » Buffy aprì
l’armadio, tirandone fuori la sua divisa: « Ho parlato con Mitch al
fast food. Ha detto che puoi cominciare giovedì. Lui è un tipo…
repellente, ma… non ti darà troppi proble-mi. » Mentre parlava aveva
posato l’uniforme sul letto, e Lily vi si era seduta accanto,
sfiorandola un po’ con la mano.
« Ti chiamerò per sapere come stai », continuò Buffy.
« Io non sono… brava a prendermi cura di me stessa. »
« Vedrai che sarà facile. Facendo pratica. »
Lily non era molto convinta. Continuava a guardare l’uniforme, e
notò il nome scritto sulla targhetta: « Hey... potrei essere “Anne”?
»
Sorrise, finalmente, e Buffy le sorrise di risposta.
La fila alla biglietteria non era troppo lunga, tuttavia Buffy ebbe
il tempo di rimanere un po’ a pensare, aspettando il suo turno.
Forse non era ancora del tutto convinta della decisione presa.
Perché tornare ed affrontare di nuovo la sua vecchia vita? Non era
meglio rimanere a fare la cameriera, l’anonima Anne, invece che
tornare a Sunnydale ed essere di nuovo…
« Buffy! Buffy Summers! »
La ragazza si voltò di scatto verso chi l’aveva chiamata: « Silvia!
Che ci fai qui? »
« Quello che ci fai tu, credo. Ero venuta anch’io per comprare un
biglietto per Sunnydale. E tu? Come mai qui a Los Angeles? »
« Ecco, io… » la fila si mosse, spingendo Buffy verso lo sportello.
La ragazza lasciò passare gli altri avanti e raggiun-se l’amica alla
fine della fila. Quando furono una di fronte all’altra, si
sorrisero.
« Sono contenta di incontrarti! », disse Silvia.
« Davvero? Io credevo che… tu… ce l’avessi con me. »
« Bè, forse un po’, all’inizio, ma poi mi è passata. Certo, non è
stato facile riprendermi dopo… » fece una pausa, e non riuscì più a
continuare.
Rimasero un bel po’ entrambe in silenzio, come se avessero esaurito
gli argomenti. Poi Buffy si decise a parlare: « Tu… dove sei stata
tutto questo tempo? »
« Mah, un po’ qui, un po’ lì », rispose Silvia con tono noncurante.
Ma poi, prima che il silenzio calasse di nuovo pe-santemente,
aggiunse in fretta: « Sono andata a New York, ma presto mi sono
stancata, e sono andata in Canada. È davvero uno splendido paese,
freddo quanto basta. Posti meravigliosi, paesaggi magnifici. L’ho
attraversato quasi tut-to. Poi sono arrivata fino in Alaska. Anche
quello è un bellissimo paese. Sono stata per un po’ di tempo a
Cicely, dove ho degli amici. Ha un nome odioso, ma è molto carina
come città. Dopo sono venuta qui a Los Angeles. Allora mi sono
detta: “Cavoli, se proprio devo stare in California, tanto vale che
torno a Sunnydale!” e… eccomi qui. Tu, invece? »
« Niente di così avventuroso. Ho lavorato come cameriera in un fast
food, e ho finto di essere una ragazza normale. Poi ho incontrato
una che prima viveva a Sunnydale, che mi ha riconosciuta. Ho dovuto
aiutarla, sono andata per un po’ all’inferno, e mi sono ricordata
che significa essere una cacciatrice. »
« All’inferno? »
« Sì, ma per poco. »
« Sono contenta che tu abbia deciso di tornare, Buffy. Tornare in
tutti i sensi. »
Di nuovo si sorrisero.
« Dicevi sul serio, prima? », chiese Buffy: « Che… non sei
arrabbiata con me? »
« Sì, dicevo sul serio. Come ti ho detto, all’inizio ce l’ho avuta a
morte con te. Ma poi ho capito che hai fatto solo quello che dovevi.
A New York ho incontrato il Cantastorie. Mi ha detto che l’hai
conosciuto. »
Buffy annuì.
« L’ho picchiato un po’, e mi ha raccontato tutto. Mi ha spiegato di
Acathla. Idiota imbecille. Non poteva dirmelo prima? Sempre con quei
discorsi “era destino”, “doveva andare così”. L’ho trovato odioso
fin da quando l’ho conosciu-to! »
« L’hai… ucciso? »
« No. Non è cattivo. E non è colpa sua, lo so. L’unica persona che
ancora non ho perdonato, sono io. »
« Tu?!?! »
« Oh, sì. Molte cose sono dipese da me… Sono stata orgogliosa,
testarda… Insomma, completamente sconsiderata! » Sorrise
nervosamente, e Buffy notò che gli occhi le si erano fatti lucidi.
Silvia stette in silenzio per un po’, poi sorrise, stavolta anche
con gli occhi, ed esclamò: « Ma sono molto contenta di averti
incontrata! Anzi, sai che ti dico? Non ho voglia di prendere uno
stupido autobus! Vieni con me! Ho un mezzo migliore. »
« Quale? … Cosa…? »
Una mezz’oretta dopo, Silvia e Buffy sfrecciavano in direzione di
Sunnydale a bordo di una Harley Davidson del 1981, modello 883.
Buffy si teneva stretta a Silvia, spaventata, un po’ per la guida
piuttosto spericolata dell’amica, un po’ per via dei valigioni
legati dietro di lei (che facevano inclinare ancora di più la moto
nelle curve) un po’ inoltre per le condizioni non troppo rosee del
motociclo, che sembrava palesemente aver conosciuto tempi migliori,
e non tanto di recente. Oltretutto, faceva un rumore assordante,
tanto che le ragazze dovevano gridare per sentirsi l’un l’altra: «
Silvia! », urlò Buffy quando non ne poté più: « Ma… sei sicura di
aver fatto bene a comprare questa moto? »
« Certo! Non è una meraviglia? Era a un prezzo eccezionale, solo che
non me la sentivo di fare un acquisto del ge-nere, non ero
dell’umore giusto, ma poi ti ho incontrata e ho cambiato idea! »
« E non ti fa pensare a niente il fatto che costasse così poco? »
« Bè, è un po’ vecchiotta, e allora? Fila che è una bellezza! »
< Sì, come no! > Buffy non era per niente convinta: obiettivamente
la moto era ridotta piuttosto male, e ad ogni rantolo la cacciatrice
si aspettava di vederle esalare l’ultimo respiro. Invece lo stoico
veicolo le portò sane e salve a de-stinazione.
Buffy scese dalla moto di fronte al vialetto di casa sua. Silvia
l’aiutò a slegare la valigia, e mentre rimetteva a posto la sua,
Buffy rimase ferma, esitando.
« Vuoi che resti con te? », le chiese Silvia.
« No, no… non preoccuparti. È tutto ok. Tu… dove andrai? »
« Bè, penso che tornerò al mio vecchio appartamento. Le chiavi ce le
ho ancora. Dovrò… darmi da fare con le pulizie, ma mi terrà
occupata. Fatti sentire, eh? »
« Magari più tardi potremo vederci al Bronze per salutare Willow e
gli altri. »
« Buona idea, sì. A più tardi, allora! »
5 ottobre
Grande festa a casa Summers! Dopo una iniziale titubanza, Buffy
sembrava essere tornata la figlia e l’amica di sem-pre.
Sembrava.
In realtà il suo rapporto con la madre e coi compagni era diventato
piuttosto freddo e sospettoso. Senza contare che il preside Snyder
si era categoricamente rifiutato di riammettere la ragazza a scuola.
Silvia non si era proprio posta il problema, non aveva più voglia di
andare al liceo. Il suo desiderio di “una vita normale” le sembrava
ora ancora più sciocco, oltre che inutile e irrealizzabile.
In ogni caso, in barba alle difficoltà, i solerti scoobies avevano
organizzato una bella festa di “bentornato” a casa Summers. Peccato
che Silvia non si fosse fatta vedere quasi per niente, e Buffy si
sentisse come un pesce fuor d’acqua nella sua stessa casa, piena di
gente e di confusione. Pensò di andare fuori, per prendere un po’
d’aria e allontanarsi da tutto quel chiasso. Purtroppo per farlo
doveva passare davanti a Xander e Cordelia, e non aveva proprio
voglia di spiegare perché voleva scappare dalla festa in suo onore.
Per fortuna i due parevano molto intenti a pomiciare, e Buffy pensò
che forse poteva passar loro davanti inosservata. Invece Xander si
accorse di lei: « Hey, Buffy, dove vai? »
« Ehm… Volevo… prendere una pausa da tutto questo.. fantastico
divertimento! »
« Una bella festa, eh? Scommetto che un sacco di gente è contenta
che sei tornata! »
« Sembra che sono mancata anche alle persone che non conosco… Giles..
ha detto che avrebbe fatto tardi? »
« Ah, era seppellito in Biblioteca l’ultima volta che l’ho visto. Ma
sarà presto qui! Vuole festeggiare il tuo ritorno a casa! Tutti noi
lo vogliamo. Voglio dire, è bello riavere la nostra Buffy! »
Leggermente a disagio, Xander cercò l’appoggio della sua ragazza: «
Non è vero, Cordy? »
Lei era intenta a baciargli il collo: « Eh? Certamente! », rispose
poco convinta: « Anche se… eri molto eccitante con quel look da
ammazzavampiri, sai? », disse poi ammiccando a Xander.
« Dici sul serio? »
« Eccome, Falcone! »
Tornarono a baciarsi, e Buffy piuttosto imbarazzata balbettò un « Bè,
io vado », e uscì fuori.
Il rumore della festa era forte, ma con la porta chiusa era almeno
attutito. La ragazza sospirò. Non aveva immagi-nato così il suo
ritorno. Aveva voglia di chiudersi in camera, e restare da sola. Ma
non se la sentiva di tornare dentro e rivedere tutta quella gente.
Decise di fare il giro della casa e rientrare dalla cucina. Ma
arrivata alla porta di servizio, trovò Silvia seduta sulle scale,
con un sigaretta accesa in mano.
« Non sapevo che fumassi », le disse.
« Infatti non fumo. Ci provo, ma non ci riesco. L’ho accesa, ma non
ho fatto neanche un tiro. Mi fa tossire. Però te-nerla in mano mi
rilassa… Non so poi perché lo faccio: io odio la gente che fuma! »¸
e così dicendo spense la sigaretta sui mattoni del vialetto. «
Immagino che questo non migliori l’opinione che hai della mia sanità
mentale… »
Buffy si strinse nelle spalle, poi si sedette sul gradino accanto a
lei.
« Come mai te ne stai qui fuori da sola? », chiese dopo un po’ la
cacciatrice.
« E tu? », le chiese l’altra di rimando.
« Non lo so, è che… non è proprio… insomma, mi sentivo… »
« Ti sentivi di troppo? »
Buffy annuì.
« Conosco la sensazione. » Storse la bocca in una smorfia che
avrebbe voluto essere un sorriso: « Io, è tutta la vita che mi sento
fuori posto. All’inizio pensavo che fosse colpa del luogo, che prima
o poi avrei trovato un posto dove sen-tirmi “a casa”. Poi ho capito
che non dipendeva da *dove* ero, ma da *come* ero. »
« Già, ti capisco. Anche io mi sento sempre così… », la cacciatrice
si fermò notando che l’amica la fissava sorridendo con una strana
espressione, quasi… canzonatoria?
« Che c’è, perché mi guardi così? »
« Scusami, Buffy, ma non credo che tu possa capire », disse Silvia
scuotendo leggermente la testa, e tornando a guardare nel vuoto
davanti a sé: « È vero, tu sei la cacciatrice, la prescelta, uccidi
vampiri e demoni, e certo non è una cosa che capita a tutti. Ma da
quanto lo fai? Due, tre anni? Io faccio l’ammazzavampiri da più di
un secolo. Non voglio sminuire quello che provi, ma non credo tu
possa capire come è *sempre* stato difficile, per tutti questi anni.
Dovun-que andavo, non ero mai la benvenuta. Se non rivelavo chi ero,
non potevo spiegare certe “stranezze” della mia vita, ed ero
considerata, nel migliore dei casi, un’eccentrica, ma comunque
sempre qualcuno da cui stare alla larga. Se in-vece rivelavo chi
ero, nessuno in ogni caso voleva avere a che fare con me. La gente
fatica ad accettare l’esistenza dei vampiri come nemici, figuriamoci
come amici! È vero, io non sono proprio un vampiro, ma per molti non
c’è poi tanta differenza. »
Buffy rimase in silenzio. Mentre parlava, aveva notato
nell’inflessione della voce, e nell’espressione del viso dell’amica,
qualcosa di cui non si era mai accorta prima: « Sai? », disse
sottovoce dopo un po’: « Da quando ti conosco è la prima volta che
mi rendo conto davvero che tu non sei una mia coetanea. Finora, dato
il tuo aspetto, non mi era mai sembrato così evidente. »
« Già. Sai quel che si dice, che l’età non è quella anagrafica, ma
quella che uno si sente? Bè, io me li sento tutti i miei 136 anni,
mai come adesso mi sono sentita così vecchia! Ti ricordi quando vi
ho detto che ero una dampyr? Mi avete chiesto quanti anni avevo, e
non me lo ricordavo. Non ci pensavo per niente, allora! Bei tempi,
quelli… »
Restarono in silenzio ancora per un po’, tutte e due con lo guardo
perso nel vuoto. Poi Silvia aggrottò la fronte, come se si fosse
all’improvviso resa conto di qualcosa, scosse la testa, poi sorrise:
« Scusami Buffy, non volevo rattristarti! È che ultimamente sono
molto incline alla depressione! Ma va tutto ok, no? Voglio dire…
dentro è in corso una bella fe-sta, tutta per te! Non lasciarti
contagiare dalla mia malinconia! Hai 17 anni, una madre che ti ama,
degli amici stupen-di… »
Buffy stava valutando le parole dell’amica, quando questa si alzò, e
si diresse verso l’uscita del vialetto: « Ehi! E tu dove vai? » la
richiamò indietro.
« A casa. Te l’ho detto, mi sento… io *sono* fuori posto. Ma fossi
in te, correrei dentro ad abbracciare tua madre! »
Si voltò per andarsene, e Buffy non la richiamò di nuovo. Rientrò in
cucina, decisa a seguire il consiglio dell’amica.
Purtroppo, però, le capitò di ascoltare uno stralcio di
conversazione tra sua madre e la sua nuova amica Pat. Con tutti i
dubbi che la cacciatrice già aveva, quella era l’ultima cosa che le
ci voleva. Joyce stava dicendo che rivedere la figlia non era stato
come si era aspettata. Si lasciò sfuggire che forse stava meglio
quando non c’era. Buffy corse nuo-vamente fuori triste e arrabbiata.
Era l’ultima goccia. Rientrò di nuovo in casa dalla porta
principale, e si precipitò in camera, a fare i bagagli.
Nel frattempo Silvia camminava tristemente per le vie di Sunnydale.
Cavò di tasca il pacchetto di sigarette, ne sfilò una e l’accese.
Fece ancora pochi passi, poi imprecando la gettò a terra e la spense
col piede. Ad un certo punto notò del movimento in fondo alla
strada: < Bene, un po’ di sano combattimento è giusto quello che mi
ci vuole! >
Giles intanto si stava precipitando (per quanto il suo macinino gli
permettesse di farlo) a casa di Buffy. Ripensava al colloquio avuto
con Joyce quella mattina, quando lei gli aveva mostrato il suo
ultimo acquisto < “Le piace la mia ma-schera? Non è incantevole? Fa
anche resuscitare i *morti*!” Americani! >
Poco prima infatti Giles aveva rivisto quella stessa maschera in uno
dei suoi libri: si trattava di Ovu Mobani – Occhio Malvagio, un
demone zombie, una specie di dio dei morti viventi. Tutti gli zombie
lo cercavano, perché chiunque aves-se indossato quella maschera,
avrebbe avuto i poteri del demone.
Distratto da queste preoccupazioni l’Osservatore si accorse troppo
tardi dell’uomo che all’improvviso era sbucato in strada, e lo
investì con la macchina.
« Oh, Gesù! », esclamò. L’uomo era caduto a terra, e non si
rialzava. Giles scese subito dall’auto: « Oh mio Dio! Sta bene? »,
chiese avvicinandosi: « È ferito? »
L’investito era sdraiato con la faccia rivolta verso l’asfalto.
L’osservatore provò a girarlo, e vide che il suo volto era in
avanzato stato di decomposizione.
« Buon Dio! », esclamò di nuovo. Prima di avere il tempo di riaversi
dalla sorpresa, lo zombie lo afferrò per il cap-potto, mentre altri
zombie si avvicinavano. Giles riuscì a liberarsi dalla stretta, e si
rifugiò in macchina. Fece per ac-cenderla, ma non trovava le chiavi.
Gli zombie intanto si erano avvicinati, e avevano cominciato a
colpire e scuotere l’automobile, e Giles notò che le chiavi della
macchina erano in mezzo alla strada, a qualche metro da lui < Oh,
bravis-simo, ben fatto, Giles! >. Mentre febbrilmente pensava a
qualche modo per risolvere la situazione, vide lo zombi ap-piccicato
al finestrino venire all’improvviso allontanato via con forza. Poi
una mano gli sventolò davanti le sue chiavi: « Ti possono servire,
che dici? », lo prese in giro Silvia. Ma i morti viventi erano
troppi perché la ragazza potesse af-frontarli da sola. Rapidamente
entrò anche lei in macchina, e insieme si diressero a casa di Buffy,
mentre Giles le spie-gava il mistero della maschera.
Giunti a casa Summers, si accorsero che gli zombi erano già arrivati
anche lì, creando non poco scompiglio. L’importante era che nessuno
dei morti-viventi indossasse la maschera di Ovu Mobani, altrimenti
sarebbe diventato il dio in persona. Purtroppo Giles non aveva fatto
in tempo a spiegare la cosa agli scoobies, che Pat, l’amica di Joyce,
zoombizzata anche lei, aveva indossato la maschera. Ora aveva il
potere di un dio, e i suoi occhi (non per niente lo chiamavano
“Occhio Malvagio”) erano capaci di paralizzare chiunque avesse avuto
l’ardire o la disgrazia di incrociarli. Per fortuna Buffy, senza
troppi preamboli, gli conficcò una pala in mezzo alla fronte, non
senza una certa soddisfazione vista l’antipatia che fin dall’inizio
aveva nutrito per la nuova amica di sua madre. Ovu Mobani afferrò la
pala tentando di togliersela, ma gli occhi, fonte dei suoi poteri,
erano anche il suo punto debole, la cacciatrice non aveva sbagliato.
In un lampo di luce bianca il dio scomparve.
Tutti gli zombi cessarono di essere “viventi”, e tornarono
semplicemente morti.
Joyce, preoccupata, corse a cercare la figlia: « Tesoro! »
La abbracciò stringendo forte, e Buffy fece altrettanto. Quando si
sciolsero dall’abbraccio, Joyce chiese, ancora preoccupata: « Stai
bene? »
« Sì. »
« Così, questa per te è una tipica giornata di lavoro? »
« No. Questo non era niente. »
Anche gli altri intanto si erano avvicinati.
« Ottime mosse », si complimentò Xander con la cacciatrice.
« Anche tu », rispose lei.
Willow sorrise, e anche lei si avvicinò per abbracciare Buffy. Giles
emise un profondo sospiro, poi si guardò intorno scrutando i
presenti: non vedeva Silvia da nessuna parte.
La dampyr era andata via non appena aveva visto Buffy impalare il
dio-zoombie. Lottare per un po’ contro qualche creatura del male era
stato un piacevole diversivo, ma sempre troppo breve. Di nuovo, come
poco prima, camminava sola e triste per le vie di Sunnydale. Si
fermò però accanto a un cestino della spazzatura, e vi gettò dentro
il pacchetto di sigarette e l’accendino.
6 ottobre
Buffy Summers era stata finalmente riammessa a scuola. Non si era
mai accorta di quanto questa piccola certezza fosse importante per
lei. Aveva, come tutti i suoi coetanei (Willow faceva eccezione)
sempre odiato la scuola. Invece, tornandoci, si era accorta che le
era mancata. Andare a vivere da sola le aveva fatto fare un
ulteriore precoce passo verso il mondo degli adulti, in cui non si
sentiva pronta ad entrare. Essere una cacciatrice era per lei già
una grossa responsabilità; almeno nelle altre cose, era piacevole
avere qualcuno che la aiutasse e “proteggesse”. Sua madre, pri-ma di
tutto. Ma anche Giles, e Willow, e Xander, e Oz, e perfino Cordelia!
Era tornata a casa. Erano di nuovo tutti con lei. Tutti insieme.
Era ancora mattina, ma era tutto buio nell’appartamento di Silvia.
Nonostante quello che aveva detto a Buffy, non aveva ancora dato una
pulita in giro: i mobili e il pavimento erano pieni di polvere, e a
lei non sembrava importare. La tv era accesa, trasmettevano una
televendita, ma la ragazza dava le spalle all’apparecchio. Era in
piedi, ferma, da una buona mezzora, ormai, appoggiata allo stipite
della porta. Guardava fisso davanti a sé, nella stanza, vuota, di
Angel.
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