Espiazioni
Come uomo tra gli uomini mi chiederesti tu perdono?
Come uomo tra gli uomini lo capiresti che vuol dire star solo?
Io non posso più credere che nell’amore non c’è amore
Come uomo tra gli uomini avresti freddo sulla pelle
E voglia di morire... e voglia di morire
(“Perdono”, Michele Zarrillo)
PARTE PRIMA
Amore e perdono
Io non credo in Dio […].
E questo non è un vantaggio […].
Questo significa che non c’è nessuno
che mi perdona per il male che faccio.
Frank Ottobre
(Giorgio Faletti, “Io uccido”)
Sunnydale, 23 dicembre 1998. Mattina
« Malinconia delle feste? Non capisco come si posa essere tristi
durante le festivi-tà! Sono così divertenti! »
« Ciao Silvia. » Buffy, Willow e Xander salutarono l’amica appena
intromessasi nella loro conversazione.
« Che ci fai qui? » le chiese Xander. Dall’inizio dell’anno, Silvia
non era mai venuta a scuola.
« Oh, niente di particolare… Volevo passare a salutarvi, e vedere
come addobba-vano quest’anno il liceo! » e gesticolò ampiamente con
le mani per indicare le varie decorazioni appese ai muri: « Mi sento
così euforica in questi giorni! » aggiunse contenta.
« Davvero a te piace il Natale? » le chiese Willow dubbiosa.
« Sì, perché? A voi no? »
« Sono ebrea, te lo ricordi? Non tutti adorano Babbo Natale. »
« Oh, hai ragione, scusa, non ci pensavo. » Mentre parlavano, i
quattro si erano incamminati verso il loro solito angolo coi
divanetti. Si sedettero, Buffy, Willow e Xander su una poltrona,
Silvia su quella di fronte.
« È per questo che sei malinconica? » chiese a Willow, riprendendo
il discorso.
« No, non è per questo. » rispose la rossa, senza rivelare quale
fosse il vero moti-vo della sua tristezza, e senza ricordarsi che in
realtà prima non stava parlando di lei ma di Angel.
« Scusa, Silvia, non ti offendere » se ne uscì Xander, distraendo la
dampyr dalle preoccupazioni di Willow.
La ragazza sorrise della sua premessa, prevedendo una tipica frase
alla Xander: « Come fa a piacerti il Natale? » no, non questa… «
Voglio dire, tu non… insomma, io credevo che voi con la religione… »
eccola!
« Noi? » decise di essere conciliante: « Vuoi dire noi vampiri? »
non aveva smesso di sorridere, nel chiederlo, ma Xander lo stesso si
era pentito di aver iniziato quel discorso: « N-no. » tentò di
rimediare: « Lo so che tu non sei un vampiro, ma… »
« Ma non sono neanche umana, certo. » sorrise ancora, indulgente. Si
sentiva troppo di buon umore per insistere a tormentarlo, e decise
di spiegarli subito senza tergiversare quello che voleva sapere: «
Sinceramente, Xander, non potrei proprio definirmi una fervida
credente, ma l’aver a che fare coi vampiri ti fa pensare: le cro-ci,
l’acqua santa, le armi benedette… qualcosa dovranno pur significare!
E poi.. bè, tutte queste cose invece su di me non hanno effetto… »
aggiunse mo-strando il pendente d’argento che portava al collo:
«Quindi non ho nulla di cui la-mentarmi riguardo alla religione
cristiana! A parte tutto, comunque, il Natale mi piace perché mi
porta sempre bei ricordi: l’infanzia, la mia vita da umana, la
fami-glia… cose così! Mi spiace solo che qui fa tanto caldo da
sembrare estate! Il Natale non è Natale senza la neve! »
« Verissimo! » esclamò Cordelia arrivando in quel momento: « Io
andrò ad Aspen, a sciare. Con neve *vera*. Non resterò qui a morire
di caldo come voi poveri sfiga-ti! »
« Solo perché non andiamo a sciare in un posto di lusso, non
significa che non passeremo lo stesso un bel Natale! » la rimbeccò
Xander.
« Oh, certo! Allora, ditemi: quali sono i vostri entusiasmanti
programmi? »
I ragazzi si guardarono tra loro a disagio. Solo Silvia rimase
allegra, e rispose gaiamente: « Come ho detto, per me il Natale
significa famiglia, per cui lo passerò con Angel. Niente di
particolare. »
« Oho! » enfatizzò Cordelia, pungente: « Le feste comandate in
compagnia di un vampiro depresso! »
Silvia non si curò del suo sarcasmo. Non era disposta a farsi
rovinare lo spirito natalizio dal rancore — peraltro
comprensibilissimo — di Cordelia nei confronti del resto del mondo.
« Sarà veramente difficile superare la tua serata in quanto ad
emozioni forti! » stava intanto continuando la ragazza: « Oppure voi
avete qualche idea più interes-sante? » e si rivolse agli altri tre
seduti di fronte.
Buffy si strinse nelle spalle: « Io ho solo bisogno di un po’ di
normalità. Quindi questo Natale per me sarà albero, zabaione,
roastbeef. Solo io, la mamma, e una quantità di regali, si spera! »
e sorrise soddisfatta: « E voi cosa fate? » chiese subito a Willow e
Xander, prevenendo Cordelia, che aveva già aperto la bocca per
com-mentare con qualcosa di ironico.
« Io sono ebrea, non festeggio il Natale. » spiegò per la seconda
volta Willow. In realtà aveva fatto qualche programma per le
vacanze, prima. Con Oz. Ma ora non importava più.
« Io passerò il Natale a casa, come tutti gli anni. » intervenne
Xander: « Dopotutto, Silvia ha ragione, il Natale è una festa di
famiglia. »
« Oh, davvero? » replicò Cordelia, a cui non sembrava vero venisse
offerta un’occasione così ghiotta: « È per questo che tu lo passi
dormendo col sacco a pelo in giardino, per sfuggire alle litigate
dei tuoi genitori quando si ubriacano? »
Xander le rivolse uno sguardo accigliato: « Sì, ed era una
confidenza che mi au-guravo proprio tu divulgassi al mondo intero! »
le rispose sarcastico.
Cordelia gli lanciò il più smagliante dei suoi sorrisi: « Bene,
direi che c’è davvero l’imbarazzo della scelta tra le vostre serate
da perdenti.
Divertitevi, e buone feste! » aggiunse con superiorità, per poi
voltarsi, e andarsene.
« Su, non vi fate rattristare dalle parole di Cordelia! » cercò di
tirarli su Silvia: « E se proprio non riuscite a trovare lati
positivi nel Natale, bè… pensate che dura solo un giorno, e passerà
presto! »
Detto questo, si alzò, passandosi le mani sui pantaloni, come per
lisciare tutte le pieghe: « Bè, meglio che vada, prima che mi becchi
Snyder, e mi cacci in malo modo. E poi devo ancora fare gli ultimi
acquisti. Ciao! » salutò in fretta. Si allontanò di qualche passo,
poi si voltò: « Oh, se non dovessimo vederci… Buon Natale! »
Uscì in fretta dal liceo, camminando a testa bassa con le mani nelle
tasche della giacca. Non voleva ammetterlo neanche con sé stessa, ma
la conversazione l’aveva messa in imbarazzo. La sua euforia di prima
ora le appariva molto… stupida. In ef-fetti: cosa aveva lei da
essere tanto contenta del Natale? Sospirò. A voler essere del tutto
sincera, non era altro che una scusa. Lei desiderava disperatamente
qualcosa per cui essere felice. L’ultima visita di Spike le pesava
ancora sul cuore, e anche se le cose con Angel andavano un po’
meglio, lui era sempre troppo distante. Perciò si era aggrappata al
Natale. I ricordi più felici del suo passato — di tutto il suo
passato — erano sempre legati al Natale. Sbuffò, dando un calcio ad
una lattina, e mandan-dola a finire sotto la macchina parcheggiata
poco più avanti.
« (Ma chi se ne frega!) » si disse: « (Non ho proprio voglia di
tornare a deprimer-mi! E poi devo ancora trovare il regalo per Angel!)
» e decise di concentrarsi su quell’impresa tutt’altro che facile.
Fischiettava “We wish you a Marry Christmas”, quella sera, mentre
con passo spe-dito si recava a casa di Angel. Girare per negozi,
scambiare gli auguri con gli scono-sciuti, vedere addobbi e allegria
ad ogni angolo della strada, le aveva fatto tornare il buonumore.
Smise di fischiettare, però, appena entrò nel salone, perché vide
che Angel era addormentato sul divano. Rimase qualche momento
indecisa, chiedendosi se svegliarlo o meno, ma poi preferì lasciarlo
dormire, poiché appariva davvero stanchissimo. Chissà come mai, si
chiese, visto che ultimamente Angel non svolge-va una vita molto
attiva. Senza far rumore, si sedette a terra, di fianco al divano, e
si immerse in piacevoli ricordi di Natali passati. Non lo sapeva, ma
fino a pochi mi-nuti prima del suo arrivo Angel era passato
continuamente dal sonno alla veglia, entrambi tormentati da
cupissimi incubi. Anche per lui si trattava di ricordi di Natali
passati, ma erano tutt’altro che piacevoli. Ora finalmente i sogni
gli stavano dando un po’ di tregua, per questo Silvia l’aveva
trovato a dormire spossato, ma tranquillo. La ragazza non immaginava
neanche lontanamente quale inferno il vampiro stesse passando, e
visto che sembrava dormire davvero profondamente, pensò di lasciarlo
solo. Gli scrisse un messaggio sul retro di uno scontrino che per
caso si era ritrovata in tasca. Si fermò a riflettere con la matita
tra i denti, indecisa su come concludere, poi con un’alzata di
spalle scrisse l’ultima frase, sorridendo. Lasciò il biglietto sul
ta-volo, in modo che Angel potesse vederlo appena sveglio, ed uscì.
Le era venuta in mente una cosa. Una cosa che non faceva da molti,
moltissimi anni. Non era nean-che sicura di esserne ancora capace.
Però aveva deciso di tentare.
...-:::-/// § \\\-:::-...
« Forza! Devo fare una scenata, eh? »
Margareth si guardava intorno terrorizzata: se qualcuno l’avesse
vista appartata con quell’uomo, avrebbe perso il lavoro: « No! »
rispose, supplichevole.
« No. » ripeté lui, portandosi un dito sulle labbra: « Non faremo il
minimo rumo-re… »
La ragazza abbassò lo sguardo, rassegnata. Quando lo rialzò,
spalancò gli occhi sgomenta: il volto dell’uomo che le stava di
fronte era mutato, divenendo orribile, e deformato.
« Signore… » mormorò impaurita: « Mio figlio… »
« Oh, sarà un gustoso dessert! » e le affondò i denti nel collo.
Quando la lasciò andare, si ritrovò davanti lo sguardo stupito e
accusatore di Buffy.
Angel si svegliò, di colpo, come sempre dopo quei sogni. Ora si era
aggiunta an-che Buffy, a tormentarlo… non bastavano i suoi incubi da
soli? Si alzò a sedere sul divano, passandosi una mano tra i
capelli, bagnati di sudore. Notò un biglietto sul tavolino davanti a
lui. Lo prese, e lesse: « Ciao Angel, ero passata a salutarti, ma
dormivi, e non volevo svegliarti. Tornerò a trovarti forse più
tardi, ora penso che andrò un po’ in chiesa. S. »
Angel aggrottò la fronte, sorpreso. In chiesa? Perché? A fare cosa?
Lui aveva biso-gno di parlarle, e lei andava in una chiesa, come
per.. allontanarsi da lui. Doveva interpretarlo come un segno? Ma
aveva troppo bisogno di lei, per essere fatalista. Uscì per andare a
cercarla.
Immaginò che fosse andata nella chiesa di St Paul, sulla Columbus
Street. Una volta lui e Silvia avevano salvato il parroco da dei
vampiri, e da allora si rivolgevano sempre a lui per acqua santa e
affini. La chiesa di St Paul era una costruzione mo-derna, col tetto
in metallo, che si restringeva, innalzandosi, per poi congiungersi
col campanile. Angel c’era venuto spesso, ma non era mai entrato.
Non che ne avesse veramente paura, solo… non era molto piacevole per
lui camminare su un suolo consacrato. Stavolta, però, entrò deciso.
Si fermò ad osservare l’interno, vagando con lo sguardo, per cercare
Silvia. La chiesa era piuttosto piccola. L’effetto del sof-fitto
svettante visto da dentro era ancora più bello, dava l’illusione,
avanzando, di elevarsi verso il cielo. E portava lo sguardo a
fermarsi sul crocifisso, sospeso sopra l’altare. Dietro, c’era una
vetrata, realizzata dipingendo il disegno sulla finestra, e non con
un mosaico di vetri colorati, come nel metodo tradizionale. Di
giorno, con la luce che lo colpiva alle spalle, doveva essere molto
bello. Il soffitto era di legno, le pareti bianche, semplici,
interrotte da finestre alte e strette.
La chiesa era praticamente deserta. Le cinque file di panche, in
legno chiaro, era-no quasi del tutto vuote: solo tre persone erano
sedute, in silenzio, e tutte distanti tra loro. Una quarta era in
piedi, e si stava dirigendo verso di lui. Angel si scostò per far
passare l’uomo, che gli sorrise, accennando un saluto con la mano: «
Buon Na-tale. » gli disse, a bassa voce.
« Grazie » rispose il vampiro. Colto alla sprovvista, non pensò che
avrebbe dovuto ricambiare l’augurio. Non era molto abituato ad
essere trattato con cortesia. Seguì con gli occhi l’uomo che usciva,
poi tornò a guardare gli scranni vuoti. Silvia non c’era. Possibile
che avesse scelto una chiesa diversa? Quella era l’unica cattolica
che conoscevano.
Sulla destra, notò, si apriva un altro locale, dentro cui si
intravedevano altre pan-che. Di fianco alla porta una freccia
indicava “cappella del Santissimo”. Angel si di-resse lì, camminando
accanto alle pareti, per non disturbare nessuno ed evitare di
attirare l’attenzione. Superò un pannello con un manifesto,
buttandogli distratto un’occhiata. Poi si fermò all’improvviso, e
tornò indietro, per leggere bene. Sul fo-glio c’era scritto, al
centro, in grande: “I suoi peccati sono molti, ma le sono perdo-nati
perché ha molto amato.”
Era una frase tratta dal Vangelo, questo lo sapeva, anche se non
ricordava a chi si riferisse. Intorno c’erano scritte altre cose, ma
Angel non ci badò. Guardava solo quella frase. Anche i suoi peccati
erano molti, oh, moltissimi. E anche lui aveva amato molto. Ma per
lui non c’era nessun perdono possibile. Scosse la testa, e si
allontanò. Magari fosse così facile.
Entrò nella cappella, e la vide. Era seduta a metà fila, e si
guardava le scarpe. Poi alzò gli occhi, dando uno sguardo intorno, e
muovendo nervosa le gambe. Era pale-semente a disagio. Ad un tratto
sentì la sua presenza e si voltò di scatto verso di lui,
sorridendogli imbarazzata. Si alzò per andargli incontro. Era
diventata tutta ros-sa, e aveva un’aria colpevole, come se Angel
l’avesse scoperta a fare chissà cosa. Eppure, stava solo pregando.
La cosa era di certo molto strana, e inusuale, per qualcuno che per
metà era un demone. Ma non ci vedeva nulla di male. L’eccessivo
imbarazzo di lei gli strappò un leggero sorriso, che però si spense
subito, quando Silvia gli fu vicina. Angel spalancò gli occhi:
com’era possibile che se ne fosse ac-corto solo adesso? Era vestita
di bianco, con una gonna amplissima, piena di veli e pizzi, un
vestito da favola. Ma era tutto strappato, e sporco di sangue. Ma
no, ora la vedeva meglio, era vestita normalmente, un maglioncino a
collo alto e un paio di jeans. Ma ecco che vedeva di nuovo il
vestito bianco. Notò il taglio sulla tempia, che sanguinava: « Sei
ferita? » le chiese, allungando una mano verso di lei. Ma ecco che
il sangue era sparito.
« Angel... ti senti bene? » Silvia era preoccupata, e anche un po’
spaventata, dal suo comportamento.
« No. » rispose lui sull’orlo del pianto: « È per questo che ero
venuto a cercarti. Vedo.. le persone che ho ucciso.. mi accusano.. è
terribile! » distolse lo sguardo, come se fissarlo su di lei
acutizzasse il suo dolore.
« Lo so, Angel, lo so... » gli disse Silvia calma, prendendogli la
testa tra le mani.
Ma lui la allontanò: « NO! Non è come sempre! Le vedo davvero! »
tornò a guar-darla, e i suoi occhi erano terrorizzati, ma assenti: «
Non so se.. sono io, oppure è qualcuno che mi sta facendo questo, ma
le vedo davvero! » aveva alzato la voce, e Silvia si preoccupò del
fatto che potessero sentirlo, di là, nella chiesa silenziosa.
L’avrebbero di sicuro preso per pazzo. E forse, pensò sentendosi
agghiacciare, non avrebbero avuto torto.
« Sono andato da Giles, a chiedergli aiuto, » continuava intanto a
spiegare Angel: « ma c’era la Calendar... lui non la vedeva… sono
scappato. Sono tornato a casa, ho avuto altri incubi e.. e ora anche
tu, col vestito strappato, e il sangue... » Mentre parlava era
indietreggiato, allontanandosi da lei.
Silvia però gli si fece di nuovo vicino: « Angel... » mormorò,
sfiorandogli appena un braccio.
Lui si tirò indietro di colpo, come se quel contatto gli avesse
fatto male: « Lasciami, Silvia, stammi lontano, ti prego! » le
gridò, voltandosi per uscire in fretta dalla cappella.
Silvia non si arrese, lo raggiunse e gli si parò davanti: « Angel,
tu devi ascoltarmi! Io.. Angel? »
Il vampiro aveva abbassato lo sguardo, e ora sembrava, se possibile,
ancora più sconvolto di prima. Le guardava fisso i pantaloni, e
Silvia non capiva davvero cosa gli fosse preso. Stava per scuoterlo,
ma lui indietreggiò di nuovo. Silvia si osservò, seguendo il suo
sguardo su di lei, ma non vide nulla di anomalo.
Lui invece vedeva sangue, sangue, e ancora sangue. Tutto il suo
vestito ne era impregnato. Sangue le colava dalla tempia, dalla
gola, e soprattutto dalla ferita sul ventre; il vestito una volta
candido era in buona parte colorato di rosso. E tutto quel sangue
era opera sua.
Silvia tentò ancora di avvicinarlo: « Angel, cosa stai guardando?
Che ti succede? Ti prego… »
« NO! » gridò lui: « Lasciami! Non posso! » e infine scappò fuori
dalla chiesa.
Silvia lo lasciò andare, impietrita per lo spavento. Alla fine, era
successo. Quello che lei aveva sempre temuto. Angel era impazzito.
Tutto quel dolore, quel rimorso da sopportare, alla fine era stato
troppo. Si prese la testa tra le mani, cercando di pensare a
qualcosa da fare…
Nella chiesa ora c’erano quattro persone oltre a lei, che la
fissavano con stupore e disapprovazione, e anche un po’ di
curiosità, avendo assistito alla scena di poco prima. Ma Silvia non
se ne curò, stavolta. Pensava, cercava di capire… cosa aveva detto
Angel, fra i tanti vaneggiamenti? Era stato da Giles. Quando? E
soprattutto, perché? Era davvero l’ultima persona da cui poteva
aspettarsi sostegno e compren-sione, a parte forse Xander Harris.
Perché non era venuto subito da lei? Forse per-ché pensava che Giles
fosse in grado di aiutarlo. Sì, decise, Angel aveva avuto l’idea
gusta: andare da Giles.
PARTE SECONDA
Andrej
They follow me home
Disturbing my sleep
But I’ll find a place
A place where they cannot find me.
Mi seguono a casa
Disturbando il mio sonno
Ma io troverò un posto
Un posto dove non possono trovarmi.
(The Rasmus, “Time To Burn”)
Angel entrò di corsa in casa, fuggendo dalle sue visioni. Ma non
appena varcò la soglia, ne trovò dentro un’altra ad aspettarlo.
« Finalmente sei tornato! » lo apostrofò l’intruso. Era un uomo
anziano, ma ancora vigoroso. I capelli, legati in un corto codino,
erano grigi, come i baffi e la barba, ta-gliata a pizzetto. Aveva
gli occhi chiari, e parlava con un forte accento est-europeo.
Angel lo fissava terrorizzato. Non era stato una delle vittime più
importanti, per Angelus. Era al pari di tutte quelle che l’avevano
preceduto negli incubi di Angel. Ma per il vampiro con l’anima era
un ricordo molto più penoso degli altri.
Siccome Angel taceva, l’altro continuò a parlargli con tono
accusatore: « Ti stavo aspettando già da un po’… Ho pensato di
entrare — non ti dispiace, vero? —, tanto non avevo bisogno
dell’invito! Tu invece sì, ricordi? Hai ricattato quella povera
ra-gazza. Aveva così paura di te… non mi ha mai voluto raccontare
quello che le hai fatto, ma mi è bastato vedere cosa è accaduto
quella volta. Le hai detto: “Se non mi inviti ad entrare, lo
uccido!”. E lei c’è cascata, poverina. Per quanti anni si sarà
tor-mentata per il senso di colpa… »
*****
Vienna, 1889
Silvia era indietreggiata fino ad urtare il tavolo che era al centro
della stanza, fa-cendolo cadere, tanta era stata la paura, quando,
aprendo la porta, si era trovata davanti il volto di Angelus. Quel
volto che tormentava i suoi incubi. Il volto di colui che le aveva
distrutto la vita. Un volto che non avrebbe mai scordato.
Il vampiro rideva, mentre teneva Andrej per un braccio, e gli
premeva una spada sulla gola. Fosse stato un altro, Silvia l’avrebbe
colpito senza pensarci due volte, avrebbe salvato Andrej, e poi
l’avrebbe impalettato. Ma la vista di Angelus la terro-rizzò, e non
poté fare altro che indietreggiare.
« Invitami ad entrare! » le stava dicendo: « L’ultima volta ci siamo
divertiti così tanto… non sei contenta di rivedermi? »
« C-contenta?! Certo! Non vedi come sprizzo gioia da tutti i pori? »
disse con tono spavaldo, ma il terrore le si leggeva in faccia. E
comunque Angelus poteva sentire l’odore della sua paura, godendoselo
pienamente.
« Sei un pazzo se credi che ti inviterà! » gli gridò Andrej, e per
tutta risposta An-gelus gli piegò con più forza il braccio dietro la
schiena, facendolo urlare.
« Lascialo andare! » gridò Silvia, e stavolta davvero non c’era
segno di paura nella sua voce.
« Lo farò, » disse calmo Angelus: « ma prima invitami ad entrare. »
« Non farlo, Silvia! Non lo ascoltare! » le ordinò Andrej, ed
Angelus gli premette di più la spada sul collo, ferendolo.
« Deciditi, fammi entrare, oppure ucciderò il vecchio! » intimò il
vampiro. Silvia era disperata, non sapeva cosa fare. Sapeva che
Andrej aveva ragione, non doveva credere alle parole del vampiro, ma
non poteva lasciarlo morire. Angelus però non le dava il tempo di
pensare: « Ti prometto che una volta dentro getterò subito la spada
e mi occuperò solo di te. Di lui non m’importa. Sei tu la mia preda.
Avanti, conterò fino a tre. Uno.. due.. » così dicendo allontanò
leggermente la spada dalla gola di Andrej, come per prepararsi al
colpo decisivo: « Tr.. »
« ENTRA! » gridò Silvia tra le lacrime.
Velocissimo, il vampiro varcò la soglia, spingendo l’ostaggio in
avanti e facendolo cadere in ginocchio. Gettò la spada a terra, poi,
con entrambe le mani, afferrò la testa dell’uomo e la girò con
forza, spezzandogli il collo. Tutto in pochi attimi, prima che
Silvia potesse riaversi dallo spavento e intervenire.
« Come vedi sono stato di parola. Ho buttato la spada, e ora sono
tutto per te. »
Silvia fu invasa dal dolore e dallo sconforto. Andrej era tutto ciò
che le restava, tutta la sua famiglia. Ed era morto per colpa sua.
Perché lei era stata troppo stupi-da, e vigliacca. Mentre Angelus si
avvicinava, sopraggiunse però l’odio, per quel vampiro che per la
seconda volta era venuto a distruggere il suo mondo. E di nuovo
c’era riuscito. Ancora una volta l’aveva resa sola.
Lo colpì con forza con un calcio, e lui evidentemente non se
l’aspettava, perché cadde violentemente all’indietro. Silvia ebbe il
tempo di afferrare la spada, e solo impugnandola si rese conto che
era quella di Andrej, la spada a cui lui teneva quasi più che alla
sua vita. La rabbia aumentò in lei, e si avventò su Angelus proprio
come Andrej le aveva sempre detto di *non* fare. Accecata dall’ira,
senza riflettere. Mentre il vampiro manteneva tutta la lucidità,
stimolato, più che altro, dalla reazio-ne di quella che considerava
sempre la sua preda. Con più di un secolo di stragi e uccisioni alle
spalle, non lo preoccupava minimamente una nullità senza esperienza.
Silvia menò un fendente, ma Angelus lo schivò con facilità, la colpì
con un pugno, e lei rispose con un altro calcio. Poi di nuovo roteò
la spada, e stavolta riuscì a fe-rirlo a una spalla.
E Angelus si infuriò.
« È la seconda volta che mi ferisci, ragazza! Cominci davvero a
stancarmi! » poi le afferrò il polso, quello che reggeva la spada, e
strinse così forte che lei fu costretta a mollare la presa, urlando
di dolore.
« Ora basta, non mi diverto più. Facciamola finita. » e la sbatté
contro il muro, immobilizzata, completamente alla sua mercé, ancora
una volta.
« Vuoi sapere cosa ho scoperto di recente sui mezzosangue come te? »
le disse ri-dendo: « Il tuo sangue è letale per tutti i vampiri,
tranne che per i tuoi consangui-nei. Vale a dire tuo padre, i tuoi
fratelli, e… » trasformò il volto: « …il tuo sire! » e la morse sul
collo, in alto.
A lei sfuggì un solo, disperato grido, ma ben presto non riuscì
neanche più ad op-porre resistenza, e le forze la abbandonarono.
Mentre beveva con avidità, Angelus notò che il sangue era strano,
non sapeva di essere umano, ma neanche di vampiro. Non era
spiacevole comunque. Prima di fi-nirla si fermò a pensare che forse
avrebbe potuto renderla come lui. Chissà com’era un dampyr, se
veniva vampirizzato. Chissà se c’erano stati altri casi… E se fosse
di-ventata troppo potente? Sentiva che nonostante tutto il sangue
che aveva bevuto, non smetteva di resistere. Non aveva ancora perso
i sensi. Era decisamente forte. Poteva riconoscere nel suo sangue il
sapore della sua vera potenza, e anche un’oscurità che nemmeno lui
riusciva a penetrare completamente. Per la prima volta da quando era
diventato un vampiro, forse addirittura per la prima volta in tutta
la sua vita, Angelus ebbe paura. Si avventò di nuovo sul suo collo,
per ucciderla in fretta. Ma prima di riuscire ad affondarvi di nuovo
i denti Silvia gli conficcò un pu-gnale nella schiena.
Quando il vampiro la lasciò, la ragazza sentì che non ce la faceva a
reggersi in piedi, si sentì scivolare a terra, ma si fece forza, e
barcollando, poiché le girava la testa e si sentiva mancare, riuscì
a raggiungere la porta. Sapeva che il pugnale non aveva ferito
gravemente Angelus, e sapeva anche di non poter andare lontano in
quelle condizioni, ma cercò ugualmente di fuggire.
Angelus era stato di nuovo preso alla sprovvista. Quella ragazza
aveva il potere di renderlo davvero furioso. Da dove aveva tirato
fuori quel coltello? Nemmeno Darla era così diabolica. Sfilò con
fatica, data la posizione, la lama dalla ferita, e si preci-pitò in
strada. Si guardò intorno, ma Silvia era sparita. Volatilizzata.
« (Non è possibile!) » L’aveva vista, malferma sulle gambe, riusciva
a malapena a reggersi in piedi. Lui non aveva impiegato molto a
togliersi il pugnale ed inseguirla. Non poteva essere riuscita a
scappare. Eppure il vampiro non la sentiva. C’era molta gente,
nonostante l’ora tarda, e Angelus non riusciva ad individuare il
battito del suo cuore, o il suo respiro. E non sentiva neanche
l’odore del suo sangue, o della sua paura.
Era scomparsa.
*****
« Cosa è successo dopo? Non lo sai, vero? Non ti ha mai raccontato
nulla? »
« No. » rispose Angel. Non aveva bisogno di sentir ripetere di nuovo
quella storia. Se la ricordava benissimo. La riviveva ogni volta che
guardava Silvia, ogni volta che le scorgeva la cicatrice del morso
dietro l’orecchio. Non avrebbe voluto ascoltarla di nuovo. Ma non
era riuscito ad andare via. Era rimasto lì inchiodato e ancora vi
ri-maneva, ad ascoltare le accuse di quell’uomo: « Immagino che non
parliate mai dell’episodio. Lei non ti racconta queste cose, non
vuole farti soffrire. Ma credi forse che ti abbia perdonato? No.
Come potrebbe, con tutto quello che le hai fatto? Le fai pena, ecco
tutto. E col tempo probabilmente si è affezionata a te. Ma come mai
adesso non è qui? Probabilmente si è stancata di aiutarti!
D’altronde tu ti sei scor-dato spesso di lei, l’hai lasciata sola
quando aveva bisogno. Come ad Halloween dell’anno scorso, per
esempio. E dopo tutto quello che lei ha fatto per te, dopo tutto
quello che ha sopportato, sei tornato dall’inferno e non l’hai
voluta nemmeno vede-re. Ormai non ti sopporta più, renditene conto!
Quando sei sparito, per lei è stata una liberazione! »
« N-no… » provò debolmente a protestare il vampiro: « Lei è contenta
che sono tornato! Ha detto… »
« Che cosa? Che le sei mancato? Che ha sofferto molto? » il dampyr
lo squadrò con occhi duri e ironici insieme: « E cosa doveva dirti?
Che finalmente si era liberata di te, e invece tu sei tornato? Che
aveva finalmente iniziato una vita normale, e tu sei ricomparso a
rovinargliela di nuovo? Lo sai che ha il cuore troppo tenero, e poi,
te l’ho detto: le fai pena. »
Angel era immobile, guardava a terra, sforzandosi di resistere ai
macigni che An-drej gli stava gettando addosso. Macigni pesanti come
le verità che lui conosceva benissimo, e si era illuso di poter
dimenticare. L’uomo gli si avvicinò. Era alto e im-ponente,
nonostante l’età. Vicino a Angel, curvo sotto il peso delle sue
parole, sem-brava un gigante. Gli si accostò, parlandogli vicino
all’orecchio: « Non ce l’ho tanto con te perché mi hai ucciso. Ero
vecchio, e stanco. Ce l’ho per quello che hai fatto a quella povera
ragazza. L’hai fatta soffrire troppo, perché tu possa passarla
liscia co-sì. » Si scostò, guardandolo dall’alto in basso, e
sorrise, nel vederlo annientato. Ma continuò lo stesso ad infierire:
« Dovresti essere all’inferno, e invece non ci sei. » cominciò a
camminargli intorno: « Non ti sembra terribilmente ingiusto? Quanto
al-tro male vuoi ancora farle? Rispondimi. Quante volte ancora vuoi
distruggerla? » Di nuovo era davanti a lui, minaccioso.
Il vampiro indietreggiò, tenendosi la testa fra le mani: « No, non
voglio farle del male! » gridò: « Io non voglio più fare del male a
nessuno! Io voglio solo… aiuta-re! »
A quelle parole Andrej scoppiò a ridere. Angel continuava ad
indietreggiare, finché non incontrò il muro, allora si accasciò a
terra. Si tappava le orecchie con le mani e ripeteva: « No… no… no…
Basta, per favore.. basta… » Andrej era scomparso, ma la sua risata
echeggiava ancora potente nel salone vuoto.
Fu così che lo trovò Silvia, rannicchiato vicino al muro, stravolto,
stremato. Dopo che lui se n’era andato, era corsa a casa di Giles,
ma l’osservatore non c’era. Era andata a cercarlo in Biblioteca, e
poi perfino al Bronze. Non l’aveva trovato. Perciò era tornata da
Angel. E aveva fatto bene, a quanto pareva, stava addirittura peggio
di quando l’aveva lasciata. Gli si avvicinò, ma lui sembrava non
accorgersi di niente. Stava mormorando qualcosa, a voce talmente
bassa che solo quando gli fu vicinis-sima, Silvia poté distinguere
la parole: « Basta… per favore… basta… » Teneva la testa tra le
braccia, come per proteggersi da qualcosa. Silvia gliele scostò
delicata-mente, e il vampiro non oppose resistenza. Solo, si zittì.
Poi lei gli alzò delicata-mente il viso, perché la guardasse in
faccia, e quando Angel aprì gli occhi e la vide, scattò in piedi.
Silvia non si aspettava una reazione del genere, e cadde
all’indietro.
Angel la guardava terrorizzato, sembrava quasi che avesse paura di
lei. « Vattene! » le gridò.
« Angel… sono io. » mormorò Silvia, spaventata anche lei ora, mentre
si rialzava: « Che cos’hai? »
« Lasciami stare! Vattene. Stammi lontano… lontano! » le rispose
lui, muovendo le mani davanti per scacciarla.
« Angel, ti prego, io voglio aiutarti… » esclamò lei, afferrandogli
le braccia, per te-nerle ferme.
« Non puoi! Nessuno può! » disse lui liberandosi, e allontanandola:
« Sono dan-nato.. VATTENE!! » le voltò le spalle, sempre tenendosi
la testa tra le mani.
« Angel, ascoltami almeno un momen… »
« NO! Silvia, ti ho detto di andartene! Devi lasciarmi stare, lo
vuoi capire? » Si voltò di nuovo, camminando lentamente, sempre
premendosi i palmi delle mani sulle orecchie.
Silvia si sentiva sconfitta. Credeva che lui la scacciasse perché
non l’aveva ricono-sciuta. Invece, non la voleva proprio tra i
piedi. Di nuovo lo lasciò solo ai suoi tor-menti, non sapendo che
altro fare.
PARTE TERZA
Nightmares before Christmas
« Perdonare è un atto di compassione.
Non si concede perché le persone lo meritano,
ma perché ne hanno bisogno. »
(Giles, “I have only eyes for you”)
23 dicembre, sera tardi
Quando aprì la porta, l’osservatore non sembrò sorpreso di
trovarsela davanti.
« Sei venuta per Angel, immagino. » le disse senza neanche
salutarla.
Lei annuì: « Ero venuta già poco fa, ma non c’eri. Posso entrare? »
Giles sospirò: « Senti, Silvia, sinceramene non ho nessuna voglia di
aiutarlo. »
« So che è stato da te oggi. » tentò di prenderla alla larga.
« No. Ieri. » spiegò lui, sbrigativo.
« Ieri?! » Silvia spalancò gli occhi, incredula: stava così male già
dal giorno prima, mentre lei se ne andava felice e contenta a fare
shopping!
« (Come ho potuto essere così cieca?) » Cercò di dare un tono calmo
alla sua vo-ce: « Cosa.. cosa voleva? »
Giles aggrottò la fronte. Silvia non lo sapeva? Non aveva parlato
con Angel? Ma tanto, non gli interessava; voleva solo liberarsi di
lei alla svelta: « Voleva sapere perché è tornato dall’inferno. »
Silvia abbassò lo sguardo, pensierosa: « E tu pensi di poterlo
scoprire? »
« La domanda giusta è se penso di *volerlo* fare. » era arrabbiato:
« E la risposta è: NO. Non mi interessa aiutarlo. Per niente. Se n’è
andato via di corsa, dicendo che non poteva, ed io, per una volta,
gli ho dato ragione: non *poteva* venire proprio da *me* a chiedermi
di aiutarlo a stare meglio. E preferirei che neanche tu lo faces-si.
»
Silvia si morse un labbro, cercando le parole per convincerlo,
almeno ad ascoltar-la: « Giles… capisco che per te è più difficile,
più che per chiunque altro, ma se mi lasciassi spiegare… »
L’osservatore alzò gli occhi al cielo, infastidito: « No. Non ne
voglio sapere. » L’aveva interrotta con tono scontroso, infuriato. E
lo era. Silvia gli era sempre pia-ciuta; già prima di sapere che era
più vecchia di lui l’aveva trattata da adulta e non come la
ragazzina che sembrava, perché dimostrava di avere perspicacia e
buon senso. Ma ora, con che coraggio veniva da lui, a chiedergli di
fare qualcosa per porre termine al dolore dell’uomo.. del *mostro*
che aveva ucciso Jenny? E al suo, di dolore, nessuno ci pensava? Per
questo la sua risposta era stata così dura.
Silvia lo capiva, e si sentiva in colpa per tormentarlo così. Ma non
aveva intenzio-ne di cedere. Lo guardò, offesa.
Nonostante tutto, a Giles dispiacque di averla trattata male: « Per
favore, » conti-nuò, mitigando il tono, ma sempre deciso: « non
insistere, e lasciami in pace. » Avrebbe voluto chiuderle la porta
in faccia, ma era troppo inglese per essere così maleducato, perciò
aspettò che lei decidesse spontaneamente di lasciarlo in pace.
Ma Silvia non mollava: « Ti prego, Giles, ascolta solo… »
« No. » la ferì lui, nuovamente rigido: « Non voglio ascoltare
niente, tanto non perdonerò mai Angel. »
« Non è quello che ti sto chiedendo. Guarda che posso capire cosa
provi. »
« Scusami, ma mi riesce difficile crederlo. » Il tono di Giles era
nuovamente ta-gliente, perciò anche Silvia modificò il suo, che si
era fatto altrettanto deciso, e di-venne implorante: « Ti prego!
Vorrei solo farti capire che Angel e Angelus non sono la stessa
persona! »
« È facile parlare così. » le disse lui, duro, per tutta risposta: «
Ma se tu avessi provato quello che ho provato io… »
« L’ho fatto. » Le parole le erano uscite senza accorgersene. Non
voleva dirlo dav-vero. Però, a ben vedere, era la verità.
Giles non aveva replicato. La guardava stupito, ma ancora dubbioso.
Silvia si deci-se. Solo Giles poteva aiutarla ad aiutare Angel. E se
per convincerlo doveva ripor-tare a galla ricordi che da una vita
cercava di cancellare, bè, allora l’avrebbe fatto.
« Posso raccontarti una storia? » chiese.
Giles parve valutare la proposta, poi scosse la testa, ma ora
appariva più stanco che adirato: « No, lasciamo stare, non ne voglio
parlare. »
« Neanch’io, se proprio lo vuoi sapere. » gli disse lei, sorridendo
lievemente: « Ma è per… farti capire. Per favore. »
L’osservatore, alla fine, si arrese, e si scostò dalla porta, per
farla passare.
...-:::-/// § \\\-:::-...
Londra, 23 settembre 1880
Ad Angelus solitamente non piaceva lavorare per qualcun altro.
Specie se questo qualcun altro si credeva più forte o più importane
di lui. Ma per questa volta aveva fatto un’eccezione. L’“incarico”
gli interessava. E poi Darla e Drusilla avevano così insistito… In
fondo costava poco farle felici, e per lui si prospettava un vero
diverti-mento. Erano giorni che spiava quella ragazza. Aveva deciso
di aspettare per pren-derla, perché stava per sposarsi. E rovinarle
il giorno più bello della sua vita sarebbe stato di sicuro più
piacevole.
Lui e Drusilla li attendevano a casa. Anche questo era tremendamente
divertente: la casa era nuova, avrebbero dovuto occuparla da quella
sera. In pratica, non ci abitava ancora nessuno, perciò erano potuti
entrare senza problemi, giusto un paio di servitori da uccidere.
Darla non era voluta venire, aveva preferito rimanere col “maestro
della notte”. Voleva farlo ingelosire. Come se a lui importasse
qualcosa!
Eccoli, gli sposini stavano arrivando! Un ghigno apparve sul suo
volto da demone: « (Comincia lo spasso!) »
Angel si svegliò di soprassalto, madido di sudore. No, quello no.
Era difficile, quasi impossibile resistere a tutti i sensi di colpa,
ma rivivere anche quella notte… L’incontro con Andrej l’aveva quasi
annientato, non ce l’avrebbe fatta a sopportare di rivivere anche..
quello. Era troppo. Ancora un poco, e avrebbe ceduto. Per fortu-na
stavolta si era svegliato in tempo. Si passò una mano sulla faccia,
come per scacciare definitivamente quei ricordi, quando udì gridare.
Si voltò a guardare, e desiderò di tornare all’inferno. Faceva meno
male di quello che ora stava vedendo. Davanti a lui c’era Silvia,
che piangeva e gridava disperata, e cercava di divincolarsi
dall’uomo che la trascinava per un braccio. E quell’uomo era lui.
Angelus rideva, indifferente alle resistenze della ragazza, la
trascinava senza sfor-zo per il corridoio. Angel voleva chiudere gli
occhi, ma non ci riusciva. O forse li aveva chiusi, ma la scena era
impressa nella sua mente. Non si muoveva, eppure seguiva i due nel
loro cammino.
Arrivarono finalmente in camera da letto.
« Davvero carina! » commentò il vampiro guardandosi intorno: « Un
letto magnifi-co! Sarebbe un vero peccato non inaugurarlo, non
credi? » Le afferrò il viso, per te-nerla ferma, e costringerla a
guardarlo: « Dopotutto, » aggiunse sorridendo: « è la tua prima
notte di nozze, no? » La baciò, violentemente. Lei cercò di
sottrarsi, sen-za risultato, se non quello di farsi ancora più male.
All’ennesimo tentativo di allon-tanarlo, riuscì a graffiarlo in
viso.
Angelus si toccò la guancia: c’era del sangue.
« Mi hai ferito. » disse con calma. Ma il suo sguardo raggelò il
sangue nelle vene della ragazza. Il vampiro la colpì, facendola
volare per la stanza, e lei atterrò sul letto, sbattendo la testa
alla spalliera. Appena aprì gli occhi, il vampiro era già su di lei.
« Nessun essere umano mi aveva mai ferito, lo sai? »
Angel sarebbe voluto intervenire, ma non poteva muoversi. Avrebbe
voluto ucci-dere il vampiro e salvare quella povera ragazza dal suo
destino infelice, che lui co-nosceva benissimo. Ma sapeva che quello
che stava guardando era già accaduto, e non poteva farci niente. Era
anche adesso come era sempre stato: per quanto si sforzasse di
cambiare, di aiutare, di.. espiare, nulla, niente di quello che
faceva ora, poteva cambiare quello che aveva fatto in passato.
La ragazza intanto era bloccata sul letto. Non riusciva a muoversi,
e sentiva del sangue scorrerle dalla tempia, dove lui l’aveva
colpita. Angelus la teneva ferma col peso del suo corpo, reggendole
i polsi dietro la schiena con un mano, mentre con l’altra le
stringeva il collo.
Anche lui aveva visto il sangue. Non sapeva però se poteva berlo.
Non ci aveva creduto, prima, alla storia del dampyr, ma ora sentiva
che quella ragazza era parti-colare, sentiva in lei una metà oscura,
anche se era ancora umana. Però la prospet-tiva di un possibile
pericolo non gli aveva mai permesso di privarsi di un piacere, e non
l’avrebbe fatto ora. Le afferrò il viso con una mano, per tenerla
ferma, visto che lei si dibatteva come un’invasata, e le leccò
lentamente la ferita. Il sapore del san-gue non era niente di
speciale, come invece si sarebbe aspettato. Nonostante que-sto,
però, aveva in sé qualcosa che lui non aveva mai provato, ne
bastarono anche solo poche gocce, per inebriarlo come una droga. E
permettergli di scoprire altre cose interessanti.
« Tesorino, mi deludi, sai? » le disse, riservandole il più
affascinante dei sorrisi: « Credevo di trovarti illibata, invece
qualcuno mi ha privato di questo piacere! »
Lei tentava ancora in tutti i modi di liberarsi, ma lui le stringeva
i polsi come in una morsa. Con l’altra mano aveva lasciato il suo
viso, e aveva cominciato ad ac-carezzarla, scendendo giù per il
collo, fino a fermarsi a stringerle un seno.
« E dimmi… » continuava, interessato: « chi è stato così scortese da
rovinarmi la festa? Non il ragazzino morto di là, vero?, perché non
ci credo! »
La ragazza intanto aveva il respiro affannoso, per la paura, per la
rabbia, e per lo sforzo del tentativo di liberasi. Ansimava e
gemeva.
Tutto questo lo eccitava sempre di più.
« Devo portarti viva da tuo padre, perciò non ti ucciderò. » le
spiegò, sempre sor-ridente: « Ma questo non vuol dire che non posso
farti passare d’inferno i tuoi ultimi minuti da essere umano… »
Lei riuscì finalmente a liberare un braccio, e tentò di colpirlo, ma
lui glielo afferrò immediatamente e lo torse fino a spezzarlo.
Angel sentì quel dolore in lui. Sentì dentro di sé il grido della
ragazza. E, contem-poraneamente, sentiva anche il divertimento del
vampiro, che più di cento anni prima era stato il suo.
Angelus rise: « Fa male? E non è ancora niente! » La ragazza ormai
era inerme, aveva smesso di opporre resistenza. Ma ritrovò la forza
di scalciare e dimenarsi quando lui, sempre ridendo, cominciò a
strapparle la gonna: « O forse mi sbaglio, magari invece questo ti
piace! »
Angel stava piangendo, e non sapeva se quelle lacrime erano sue o di
Silvia. E ugualmente, anche se contro la sua volontà, sentì dentro
di sé il fremito di piacere di Angelus mentre la violentava.
« Non puoi negarlo. È nella tua natura. »
Il vampiro senz’anima aveva parlato rivolto a lui, e lo guardava
divertito, mentre ancora si muoveva sopra la ragazza che gridava e
piangeva: « Tu sei questo. Un mostro. È piaciuto anche a te,
ammettilo. Ti è piaciuto riviverlo. »
« NO! » gridò Angel. Ma l’altro vampiro rise. « Era così bella, così
preziosa, così *pura*! » accompagnò ogni aggettivo con una spinta, e
all’ultima, che per la violen-za strappò alla ragazza un altro
grido, raggiunse l’orgasmo.
« È stato bello. » commentò, asciutto: « Sei venuto anche tu? »
chiese insolente. Angel scosse la testa lentamente, poi sempre più
veloce. Voleva indietreggiare, vo-leva scappare, ma non riuscì a
muoversi.
« Come, non sei ancora soddisfatto? » gli chiese Angelus fingendo
stupore: « Vuoi montarla anche tu? »
« NO! » gridò di nuovo Angel, ma stavolta solo nella sua mente.
Dalla sua bocca infatti uscì una risata di scherno. Perché ora non
era più solo uno spettatore, era tornato ad essere Angelus. Fu lui a
mordersi il polso, e a costringere la ragazza a bere il suo sangue.
Fu lui, di nuovo, a renderla un dampyr.
Si svegliò, stavolta davvero.
« Allora, vediamo, da dove potrei cominciare…… » Silvia prese con
entrambe le mani la tazza di tè che Giles le porgeva. Mentre girava
con il cucchiaino, riordinò le idee. L’osservatore intanto andò a
sedersi accanto a lei sul divano.
La ragazza bevve un sorso: « Mhm! Buonissimo! A me non viene mai
così bene! »
« Il segreto è l’esperienza. » commentò lui, senza sorridere, e
Silvia si chiese se era una battuta o no. Prese un altro sorso di
tè, lentamente, tenendo la tazzina con tutta la mano, invece che per
il manico. Poi sospirò, si fece coraggio, ed iniziò il suo racconto:
« Ok! » si schiarì la voce: « Ti risparmierò tutti i preamboli, e ti
raccon-terò direttamente della notte in cui sono diventata un dampyr.
Tutto è cominciato perché mio padre mi voleva con lui. È prassi
normale. Se un maestro della notte ha un figlio, lo vuole con sé,
non certo per istinto paterno, ma perché a loro fa comodo avere a
disposizione qualcuno che può andare in giro anche di giorno. Di
solito però li crescono nel culto della violenza e dell’omicidio,
mentre io ero vissuta in una fa-miglia normale, nascosta a mio
padre. Con tutti i figli che aveva, forse si era anche dimenticato
di me, ma poi capitò a Londra proprio quando stavo per sposarmi, e
probabil… »
« Aspetta, aspetta… » la interruppe Giles, posando la sua tazza
vuota sul tavolino: « Tu ti sei sposata? »
« Sì. » rispose lei, e sorseggiò di nuovo il suo tè.
« E.. tuo marito? » le chiese l’osservatore.
« Ci sto arrivando, abbi pazienza! » gli rispose sorridendo, ma
Giles notò che mentre posava anche lei la sua tazzina, la mano le
tremava leggermente: « Allora.. » continuò Silvia ugualmente con
tono allegro: « stavo parlando di mio padre. » Si voltò,
accomodandosi meglio sul divano, per guardarlo bene in faccia: «
Avevo ormai 18 anni, quindi ero già troppo grande, ma lui pensò di
prendermi ugualmente, che forse non era troppo tardi per farmi
diventare una dei suoi. Mia madre era una strega molto potente, e
una donna straordinaria, mi spiegò poi, ed era proprio curioso di
vedere io com’ero venuta su. Ma lui è sempre stato un tipo a cui non
piace “sporcarsi le mani”, non agisce mai direttamente. D’altronde,
se non avesse fatto così, non credo sarebbe sopravvissuto per tutti
quei millenni. »
Di nuovo Giles la interruppe stupito: « Millenni? Tuo.. tuo padre è…
insomma… quanti anni ha? »
« Non ne ho la più pallida idea. Non gliel’ho mai chiesto, quel poco
che ci siamo.. “frequentati”, e lui non me l’ha mai detto. Ma
essendo un maestro della notte, deve avere diverse migliaia di anni
alle spalle. »
Giles annotò mentalmente di fare qualche ricerca in più sui maestri
della notte. Quando aveva conosciuto Silvia, aveva cominciato ad
informarsi, ma non aveva tro-vato quasi nulla, e aveva desistito.
Probabilmente c’erano così poche informazioni sul loro conto,
proprio per il motivo a cui accennava lei: non si esponevano mai in
prima persona.
« Nel mio caso, » stava intanto continuando a spiegare Silvia: «
decise di avvaler-si dell’aiuto di una vampira che si era invaghita
di lui di recente, e che disponeva di un seguito molto
“interessante”. »
*****
Londra, settembre 1880
« Vedrai, ti piacerà. È il mio vanto, il mio fiore all’occhiello,
potrei dire. Ne vado molto orgogliosa! » Darla sorrideva, seducente.
Ogni parola che le usciva dalle lab-bra era accompagnata da un
movimento del corpo, da una scintilla in più nello sguardo. Ogni suo
singolo gesto era perfettamente studiato e opportunamente do-sato
per irretire qualunque uomo. O vampiro. E le sembrava che stesse
funzionando anche con la sua nuova “conquista”, sebbene non
appartenesse con esattezza a nessuna delle due categorie. Era un
maestro della notte. Si offendeva, se qualcuno gli dava del vampiro.
Si faceva chiamare il Principe. Presuntuoso, lo definiva
sempli-cemente lei. Ma le piaceva anche per questo. Potente,
bisognava ammetterlo, lo era. Molto. E, chissà, magari aveva davvero
sangue nobile nelle vene. Forse, final-mente, Angelus si sarebbe
dimostrato un po’ geloso, nei suoi confronti. Questo vampiro… questo
*maestro*, poteva davvero essere in grado di tenergli testa.
Sembrava molto interessato alla sua famiglia. Aveva un incarico da
proporre loro. Darla dubitava che Angelus avrebbe accettato, però
voleva provare a convincerlo — gli argomenti non le mancavano —: la
non-vita aveva cominciato a venirle a noia e questo Principe era
arrivato al momento giusto a proporle interessanti novità: « Allora,
non fare così il misterioso… cos’è che ci darai, una volta che ti
avremo ri-portato tua figlia? »
Il Principe rise: « Parli come se tutto fosse già deciso… devi
ancora parlarne con loro, no? »
« Non ti preoccupare. Angelus e Drusilla fanno tutto quello che dico
io. » mentì. Ma lui non si lasciò ingannare. Aveva già capito, dai
discorsi della vampira, che era Angelus il capo del gruppo. Ed era
ansioso di conoscerlo: pareva proprio che facesse al caso suo. « E
di lei, che mi dici? Anche lei è il tuo fiore all’occhiello? »
chiese.
Darla indurì lo sguardo, ma fu solo un attimo: « No, lei non è una
mia creatura. L’ha fatta Angelus. È matta. Molto divertente. Docile
e remissiva… una vera deli-zia! » La verità era che Darla la
sopportava a malapena. Per più di un secolo Ange-lus era stato solo
suo. Poi gli era venuta questa fissazione. Per la purezza,
l’innocenza. L’aveva assecondato, pensando passasse presto. Invece
se l’era tenuta. E lei aveva fatto buon viso a cattivo gioco,
prendendola sotto la sua ala protettrice. Le sue riflessioni furono
interrotte dall’arrivo di un servitore, venuto ad annunciare i due
nuovi ospiti. Drusilla entrò per prima. Fece qualche passo, poi si
fermò, per guardarsi intorno. Ammirava la bella e ricca stanza, i
preziosi arazzi alle pareti, le tende, i quadri, i mobili… il suo
sguardo vagava veloce su ogni oggetto, estasiata. Il Principe era
forse un po’ presuntuoso a definirsi tale, ma di certo viveva in
maniera regale.
Pochi, studiati attimi dopo l’entrata di Drusilla, apparve Angelus.
La sua attenzione fu subito tutta per il maestro della notte. Lo
studiò con una sola occhiata: aveva l’aspetto di un uomo giovane,
sui trent’anni. Statura di poco superiore alla media, capelli
corvini, lisci, lunghi sulle spalle. Un volto eccessivamente
pallido, ma decisa-mente affascinante.
Anche il Principe lo stava scrutando, e parve molto soddisfatto
dall’analisi. Si avvi-cinò, ma si rivolse prima alla vampira: «
Drusilla… davvero incantato di conoscer-ti. » le disse, galante, e
le baciò la mano da perfetto gentiluomo.
« Principe… » gli sorrise: « Che occhi pericolosi… è difficile
riuscire a fissarli… cambiano colore! »
Il maestro le sorrise di rimando, senza rispondere nulla, e poi si
voltò verso l’altro suo ospite: « E tu devi essere Angelus… »
Il vampiro si accorse che Drusilla aveva ragione: non l’aveva notato
prima, ma gli occhi del Principe, che gli erano sembrati chiari, nel
vederlo da lontano, ora che ce l’aveva di fronte gli apparivano
scurissimi, e bui. Naturalmente la cosa non lo im-pressionò
minimamente. Non aveva ancora detto una parola, e non sembrava
in-tenzionato a farlo, limitandosi a sfoggiare un perenne ghigno di
sfida.
Il Principe sorrise di questo suo atteggiamento: « (Sì,) » pensò: «
(credo proprio che tu faccia al caso mio!) » Si voltò verso la
vampira bionda, che era rimasta dietro di lui, e le tese una mano.
Quella si avvicinò, mentre lui si voltava di nuovo verso gli ultimi
arrivati: « Darla vi ha già parlato di mia figlia? »
« Dampyr. » finalmente Angelus si era deciso a rompere il silenzio:
« Ne avevo sentito parlare, ma credevo fossero una leggenda. » Il
Principe fu piacevolmente colpito dalla sua voce. Potente e
autoritaria, eppure carezzevole e sensuale.
« Il sangue è la nostra vita. » osservò gaia Drusilla: « Come può la
vita uccider-ci? »
« Quando me l’avrete portata, » le rispose il maestro senza staccare
gli occhi da Angelus: « vi darò una dimostrazione di quanto siano
*vere* certe leggende, se volete. » si voltò, senza aspettare
ulteriori commenti, fece qualche passo, dando loro le spalle, e
ricominciò a parlare: « La mia bambina dovrebbe essere a Londra,
adesso, secondo le informazioni che ho avuto. Non so come sia fatta,
non l’ho mai vista, ma… »
« Oh, è un vero bocconcino! » esclamò Angelus.
Il Principe si voltò, irritato per l’interruzione: « E tu cosa ne
sai? » chiese, seccato.
« L’ho vista. » rispose l’altro, sorridendo di trionfo nel vedere
l’espressione stupita sul volto dell’imperturbabile Principe.
« L’hai già trovata? » più che una domanda era stata
un’esclamazione.
« Darla mi ha detto il suo nome, non è stato difficile. » adesso era
il suo turno di parlare pacatamente dando la schiena
all’interlocutore. Finse di ammirare la statui-na di una ninfa,
posta su un sostegno di marmo, e continuò, con indifferenza: «
Ultimamente nei salotti non si fa che parlare di lei, e del suo
matrimonio. »
Stavolta il maestro non si mostrò sorpreso, e sorrise: « Sì, il mio
informatore me l’aveva accennato. E pare che il suo futuro sposo sia
un perfetto idiota. »
« Sì, questo è quello che si dice. » confermò Angelus: « Ma pare
anche che lei ne sia follemente innamorata. » Si voltò per godersi
meglio la reazione del maestro, ma lui non gli diede soddisfazione,
incassando il colpo tranquillamente. Scosse la testa con
disapprovazione: « È stata troppo tempo lontana da me. » spiegò,
calmo. Poi guardò il vampiro dritto negli occhi: « Visto che l’hai
già trovata, come mai non l’hai ancora portata da *me*? »
Angelus sorrise: « Sto aspettando il matrimonio. È la settimana
prossima. »
Il maestro fece per protestare, ma poi capì. In fondo era per questo
che quel vampiro gli era subito sembrato adatto: per la sua
inventiva e intraprendenza. E, naturalmente, per la sua crudeltà.
Sorrise anche lui, e annuì: « Va bene, siamo d’accordo, allora. Dopo
il matrimonio, la porterete da me, *viva*. Il resto lo lascio alla
vostra iniziativa. »
*****
« Non capisco… » Giles era perplesso: « Per quale motivo Angelus
voleva aspet-tare il giorno del tuo matrimonio? »
« Per farmi soffrire di più, immagino. » spiegò lei tranquilla.
« Oh. Sì, non fa una piega. »
« Bene.. » continuò Silvia: « Come ti dicevo, mancava poco al mio
matrimonio… » Si schiarì la voce un paio di volte: « Sì, insomma…
era il 23 settembre… l’equinozio d’autunno… » Non guardava più Giles
negli occhi, ma faceva vagare lo sguardo nella stanza. Si vedeva che
parlare, ora, le costava più fatica: « Sì, i-insomma… » ripeté,
balbettando: « Poi… io.. mi sono.. c-c’è stato il… insomma… il
matrimonio, t-tutto.. tutto ok, u-una.. bella festa.. sì… » la voce
le usciva un po’ strana, se n’era accorta anche lei, per cui smise
di parlare, si appoggiò le palme delle mani sugli occhi e mormorò
uno « Scusa » appena percettibile.
« Silvia.. » Giles le appoggiò una mano sulla spalla: « se non ti va
di parlarne… »
«No, no. » lo zittì lei alzando il viso, permettendogli così di
vedere che contraria-mente a quanto poteva sembrare, non stava
piangendo. « Voglio raccontartelo. Fi-nora non l’avevo mai detto a
nessuno, e credo che mi faccia bene parlarne, final-mente! » Però
continuava a tacere. Giles, pazientemente, non disse più niente, e
aspettò.
Silvia fissò lo sguardo sulla sua tazza poggiata sul tavolino, prese
un grosso re-spiro, poi disse tutto d’un fiato: « La sera stessa del
mio matrimonio, Angelus ha ucciso mio marito davanti ai miei occhi.
Poi mi ha violentata nella mia camera da letto e mi ha fatto bere il
suo sangue, e così sono diventata un dampyr. »
Restarono in silenzio, la ragazza e l’osservatore, per qualche
tempo. Lui non sape-va cosa dire. Pur conoscendo la crudeltà di
Angelus, non avrebbe mai immaginato che potesse arrivare a tanto.
Non con Silvia, almeno. Lei gli voleva troppo bene, non poteva
essere che Angel le avesse fatto… questo. Probabilmente gli stava
mentendo, per riuscire a convincerlo. Era la spiegazione più
semplice. Era vera-mente tentato di non crederle.
Solo che si fidava di lei. E aveva visto quanto questo racconto le
era costato, quanto il ricordo di una cosa successa più di un secolo
prima la faceva ancora sof-frire.
Anche Silvia era stupita di questo. Credeva di aver superato la
cosa. Ma in realtà aveva solo evitato di pensarci. Anche dopo tutto
quel tempo, Angelus era sempre capace di ottenere una vittoria su di
lei. Si riscosse, pensando che no, stavolta non avrebbe vinto lui.
Lei sarebbe riuscita ad aiutare Angel, e l’avrebbe salvato. Come se
niente fosse, ignorando la lunga pausa che aveva reso l’angoscia
quasi palpabile nella stanza, Silvia continuò la sua storia: « Dopo,
Angelus mi portò da mio padre. »
Giles quasi sobbalzò, quando lei riprese a parlare, tanto intenso si
era fatto il si-lenzio: « Vuoi dire che non è finita qui? Hai ancora
altro da raccontarmi su di lui? »
« Bè, diciamo che il peggio è passato, » rispose lei, col tono più
neutro e naturale del mondo, come se stesse raccontando la trama di
un film visto in tv la sera prima: « ma c’è ancora dell’altro, sì. »
*****
Silvia venne sbattuta a terra con violenza. Si rannicchiò su se
stessa, continuando a piangere. La paura l’aveva ormai da tempo
abbandonata. Anche se non sapeva cosa l’aspettava, non le importava
più niente. Dentro di lei ormai aveva posto solo per la sofferenza.
Era piena di lividi e contusioni, e il braccio spezzato le faceva
più male che mai. Angelus gliel’aveva strattonato fino a farla
svenire dal dolore quando, mentre la trascinavano via da casa sua,
lei aveva tentato di liberarsi per correre da suo marito, che
giaceva inerte sul divano. Era morto. Il suo sposo. Il suo unico
amore. La sua ragione di vita. La sua anima, il suo cuore. Il suo…
tutto. L’aveva perduto. Morto. Non l’avrebbe rivisto mai più, non
avrebbe mai più potuto abbrac-ciarlo, non sarebbe mai più stata
illuminata dal suo sorriso, non si sarebbe mai più smarrita nei suoi
occhi, per ritrovarsi poi tra le sue braccia, sulla sua bocca. Mai
più. E non aveva neanche potuto dirgli addio. L’umiliazione, l’odio,
la paura, la consape-volezza di aver bevuto il sangue di quell’essere
immondo, ed essere forse diventata una di loro… niente di tutto
questo la toccava più di tanto. Ora lei poteva concedersi soltanto
al dolore. Neanche quando Angelus la sbatté sul pavimento,
presentandole un altro mostro dicendole che era “suo padre”, prestò
una qualche attenzione.
Lo sconosciuto, invece, era molto contento di vederla: « Ottimo
lavoro! » si com-piacque, avvicinandosi: « Eccezionale. Perfetto,
oserei dire! » Guardava soddisfatto il fagotto bianco, sporco e
strappato che racchiudeva sua figlia. I capelli scompiglia-ti, il
volto nascosto, la schiena piegata, appena scossa dai singhiozzi:
l’immagine stessa della sofferenza. Aveva ben riposto la sua fiducia
in quel vampiro, non era rimasto deluso. Si chinò, sorridendo, e le
appoggiò una mano su capo, accarezzan-dola.
D’improvviso si arrestò. Lentamente, il suo volto cambiò
espressione, assumendo consapevolezza, e indignazione. Si alzò di
scatto, voltandosi verso Angelus: « Come ti sei permesso? » la sua
abituale compostezza era svanita. Era furente. Darla, che aveva
assistito annoiata finora alla scena, si alzò intimorita dal divano
su cui era aggraziatamente sdraiata.
La stanza, l’intera casa era sembrata tremare, alla collera del
Principe. Anche Dru-silla si era distratta dalle sue fantasie, e li
guardava preoccupata.
Angelus, invece, era calmissimo: « Non ho fatto nulla che non fosse
nei patti. Te l’ho portata. *Viva*. Di cosa ti lamenti? »
« Dovevo essere io il suo sire! » Spiegò il maestro con lo stesso
tono tremendo di prima.
Angelus, per tutta risposta, si mise a ridere: « Non mi avevi detto
niente al ri-guardo. Avevi detto che lasciavi tutto alla mia
iniziativa. »
L’altro non rispose. Era vero, gli aveva detto proprio così. Ma non
immaginava che lui sapesse come renderla un dampyr. Non credeva che
lui *osasse* tanto. E con che strafottenza ora gli rideva in faccia!
« Non me ne frega niente se non te l’aspettavi. Non avresti dovuto
sottovalutar-mi. » gli stava dicendo, come intuendo i suoi pensieri:
« Ho fatto quello che mi hai chiesto, ho rispettato la mia parte
dell’accordo. Ora tocca a te. Forza, dacci quello che ci hai
promesso. Svelaci i tuoi millenari e occulti segreti. Sono tutt’orecchi!
»
Darla si rilassò. Angelus aveva ancora la situazione in pugno. Era
sempre lui a comandare. Non lo impensierivano minimamente l’età e
l’esperienza del demone che si trovava di fronte. Drusilla, invece,
rimase all’erta. Non era spaventata, ma presagiva qualcosa. Capiva
che il Principe era tutt’altro che sconfitto.
Angelus intanto si beava della sua vittoria. Si sentiva sicuro,
invincibile. Gli ci sa-rebbe voluta una bella lezione. Ma ora lui
non ne aveva il tempo. Doveva occuparsi della piccola, vedere se era
ancora recuperabile. Senza rispondere alle pretese del vampiro, si
accovacciò di nuovo vicino a sua figlia, accarezzandole i capelli,
come poco prima. Ma stavolta, nei suoi occhi, sembrava esserci
davvero un po’ di tene-rezza e compassione verso quell’infelice.
Alzò il viso verso il vampiro, che, senza aver smesso di sorridere,
aspettava impaziente una risposta.
« Vuoi la ricompensa che ti avevo promesso? » chiese, gelido.
« Mi spetta. » rispose lui, prepotente.
« Mai. » disse soltanto il maestro della notte. Poi scomparve.
Angelus, Darla e Drusilla si ritrovarono in un edificio vuoto, e
apparentemente abbandonato da tem-po. Non c’era più nessuna traccia
della sontuosa residenza del Principe. Era tutto sparito.
*****
« Come “sparito”? »
« Sì, è una delle sue specialità. » Silvia era tornata del tutto
tranquilla, ora, parla-va con naturalezza. Sembrava quasi che stesse
raccontando la storia di un’altra persona, non la sua. Sorrideva,
anche: « Illusioni. » spiegò: « Ma incredibilmente realistiche. A
tutt’oggi, non ho mai capito se l’allucinazione fosse la casa
fatiscente o quella sontuosa. Adesso sono capace di contrastare le
sue illusioni, ma allora non capì proprio cosa stava succedendo. Non
che mi importasse molto, come ti ho detto. Mi ritrovai in un attimo
in una stanza fredda e spoglia, sembrava proprio una cella di una
prigione di quei tempi, ed era chiusa a chiave dall’esterno. Oltre a
questa, mio padre non aveva preso altre precauzioni perché contava
sul fatto che ero spa-ventata, disperata, e inesperta, e aveva
ragione. Ma la paura, il dolore e tutte le al-tre emozioni provate
nelle ultime ore, si tramutarono, quando mi trovai sola, in rab-bia
e odio, e nonostante non fossi ancora per nulla a conoscenza delle
mie potenzia-lità, riuscii a scappare. Però ero davvero solo una
ragazzina disperata e spaventata, e non sapevo proprio cosa fare.
Invece di andare via, di scappare lontano, rimasi a Londra, incapace
il accettare il fatto che la mia vita precedente ormai fosse finita,
non esistesse più. Così per Angelus non fu difficile ritrovarmi. Non
si era potuto vendicare di mio padre, e allora se la prese con me. »
*****
« Stupidi! Litigano, e nessuno mi accompagna dal mio cavaliere! »
Drusilla pia-gnucolava, seccata più che altro dalla scena a cui
stava assistendo: Angelus non aveva ancora placato la sua furia per
lo scherzetto fattogli dal maestro della notte, e dopo essersela
presa con chiunque gli capitava a tiro, ora se la stava prendendo
con Darla. A Drusilla di solito piaceva vedere i due vampiri
litigare, tanto sapeva che avrebbe vinto sempre Angelus. Ma stavolta
era stufa, perché le stavano facendo perdere tempo, lei doveva
andare dal suo cavaliere, presto si sarebbe svegliato, e che sarebbe
accaduto se non avesse trovato nessuno ad aspettarlo?
« Smettetela… SMETTETELA! » gridò alla fine, troppo impaziente per
aspettare ancora. Angelus si voltò verso di lei con su il volto
della caccia: « Che c’è, Dru? Non sono proprio in vena di sopportare
anche te, adesso! »
« Dovete accompagnarmi a prendere il mio bambino! Sta per
svegliarsi! E fra poco sarà l’alba! »
« Meglio, così ce lo leviamo subito di mezzo! Perché l’hai
vampiririzato? Se io l’avevo lasciato morto c’era un motivo, non
credi? Se proprio vuoi crearti qualcuno, sceglilo un po’ meglio! Non
ci ricaveremo niente da quella nullità! »
« Non è vero, e tu lo sai, ed è per questo che non lo vuoi… il mio
piccino ti fa paura… »
Angelus la colpì mandandola a sbattere contro un muro. Drusilla non
cadde, rima-se in piedi appoggiandosi con le mani al muro, ridendo:
« Il papà si è arrabbiato… ha davvero paura. »
Lui la prese per i capelli, portandole una mano alla gola. Darla
pensò che stavolta le avrebbe davvero spezzato il collo, e un po’ le
dispiacque: Dru la divertiva. Il vampiro stava già stringendo,
mentre Drusilla continuava a ridere, quando si di-strasse. Lasciò
cadere la vampira a terra, e si guardò intorno come cercando
qual-cosa. Era stata solo una debole percezione, quasi un
presentimento, ma lentamente la stava mettendo a fuoco. Sul volto
gli comparve il solito sorriso soddisfatto del predatore che ha
trovato la sua preda. Corse via senza dire una parola, lasciando le
due vampire da sole. Drusilla si alzò lentamente, poi disse: « Io
vado a prendere il mio cavaliere, ormai è tardi, non posso più
aspettare. »
Darla non le prestò la minima attenzione. Si rassettò il vestito
meglio che poté, e si pulì il sangue dal viso. Era triste. O, forse,
sarebbe meglio dire che era annoiata. Stava ancora guardando nella
direzione in cui era sparito Angelus. Poi si voltò, e sparì nella
direzione opposta, senza dire niente, sotto lo sguardo attento di
Drusilla. La vampira più giovane intuì che quello era un addio.
Darla stava tornando dal suo sire.
« Mi hanno già lasciata da sola… » gemette sottovoce, quando l’altra
vampira sparì dal vicolo: « Allora da sola andrò a prendere il mio
re. Lui non mi lascerà. Al-meno non tanto presto. »
Angelus aveva sentito la presenza della dampyr, non doveva essere
lontana. Im-boccò qualche vicolo, sentendo il suo odore farsi sempre
più vicino, e la trovò. Si stupì lui stesso di come facilmente
avesse avvertito la sua presenza, ma poi pensò che dopotutto era la
sua creatura, avevano un legame, ormai.
La ragazza non si era accorta di lui, nascosto nel buio. Aveva
ancora addosso il vestito da sposa, incredibilmente ancora bianco,
nonostante tutto quello che aveva passato. Era appoggiata al muro,
stretta in sé stessa col braccio sano, l’altro abban-donato inerte
sul fianco. Probabilmente aveva freddo. O paura. O entrambe le cose.
A terra, accanto ai piedi nudi che spuntavano dal vestito strappato,
c’era un grosso pugnale, macchiato di sangue. Il sorriso di Angelus
si allargò: « (Ragazza notevo-le…) » pensò: « (È riuscita a
liberarsi da suo padre. Non sa che avrebbe fatto meglio a restare
con lui!) » Si mosse velocissimo, lei non lo sentì neanche arrivare.
Si ritro-vò soltanto sbattuta al muro, i piedi a qualche centimetro
da terra, la mano di lui a stringerle il collo, la lama del suo
pugnale proprio davanti agli occhi. Angelus esita-va, irritato.
Poteva rischiare di farla sanguinare? Ora che era diventata un
dampyr, il suo sangue era letale? Non poteva, però, limitarsi a
tagliarle la testa. Lei meritava un trattamento particolare.
Intanto, superati i primi attimi di sorpresa, la ragazza,
inaspettatamente, reagì. Lo colpì con un pugno sulla tempia, tanto
forte da farsi male anche lei. Angelus mollò la presa e indietreggiò
di un passo, frastornato. Ma si riebbe molto più in fretta di lei.
Prima che la dampyr potesse attaccarlo ancora, o scappare, le infilò
il pugnale nel ventre, aprendole uno squarcio considerevole. Poi
fece un salto indietro, allonta-nandosi da tutto quel sangue. Lei
cadde a terra lentamente, gli occhi sbarrati a fis-sare il vuoto.
Non le era uscito neanche un lamento. Uno spettacolo sublime, pensò
Angelus soddisfatto. Peccato non poter restare lì a goderselo,
perché le ci sarebbe voluto molto, molto tempo per morire. Purtroppo
albeggiava, e il sangue della dam-pyr cominciava pericolosamente a
spargersi tutt’intorno, arrivando quasi ai suoi pie-di. La fissò
ancora un po’, per imprimersi quell’immagine nella mente, poi se ne
an-dò.
*****
« Ho ancora una cicatrice bella grossa a testimoniarlo. Se vuoi
posso fartela ve-dere. »
« Una cicatrice? Dove? »
« Be’.. qui! » si posò una mano sul ventre.
« Non importa, ti credo sulla parola. » Diceva sul serio. Anche se
tutta quella sto-ria continuava a sembrargli inverosimile… diciamo
pure assurda, le credeva. Non si sarebbe mai inventata una cosa del
genere.
Silvia sorrise.
« E come hai fatto a sopravvivere? » le chiese lui.
« Le ferite non erano mortali, come ti dicevo Angelus voleva
lasciarmi morire dis-sanguata. Se non fosse stata quasi l’alba,
penso che sarebbe rimasto lì a guardarmi morire. Immagino che abbia
anche pensato di portarmi con sé, in un luogo chiuso, per osservare
indisturbato dai raggi del sole la mia agonia, ma il dubbio sul mio
sangue deve averlo fatto desistere. Non so perché decise di ferirmi
proprio in quel modo. Non ho mai capito se lo sapeva o no. »
« Sapeva cosa? »
« Che io ero… ecco… io ero incinta. » Giles sgranò tanto d’occhi.
Questa proprio non se l’aspettava.
« Non mi guardare così, per favore! » gli disse lei, imbarazzata.
« Scusa, » Giles distolse lo sguardo, togliendosi gli occhiali, per
strofinarne le len-ti. Mentre se li rimetteva a posto Silvia spiegò:
« Vedi, la mia famiglia era cattolica, e io ero stata educata molto
severamente, da questo punto di vista. Avrei anche aspettato per
arrivare vergine al matrimonio…. Ma ho avuto una storia d’amore
molto tormentata, pensavamo che non ci saremmo potuti sposare mai,
e… chi ce la faceva ad aspettare per sempre? »
« Guarda che non ti devi giustificare con me… »
« Lo so, lo so… » però era arrossita: « Ma per l’epoca era una cosa
parecchio sconveniente. Anche se poi in realtà lo facevano tutti…
Comunque, non è questo il momento per criticare i costumi ipocriti
dell’Inghilterra vittoriana. Quello che volevo dire era che non
sapevo di essere incinta, prima. Me lo disse mio padre, quando mi..
“esaminò”. Immagino fosse vero, perché, come ti ho detto, la
possibilità c’era. Non ne ho mai avuto la certezza, ma se davvero
ero incinta, naturalmente ho perso il bambino, e di sicuro non ne
potrò avere altri. »
« E tu pensi che Angelus l’abbia fatto apposta? »
« Non lo troverei strano, ma come ti ho detto, non lo so. »
« Non l’hai mai chiesto ad Angel? »
Stavolta fu il turno di Silvia di spalancare gli occhi, atterrita: «
Noo! » esclamò: « Come avrei potuto?!? Non ne ho mai avuto il
coraggio. » aggiunse poi, abbassan-do lo sguardo, triste: « Angel si
mortifica e autoflagella benissimo anche da solo… »
« Silvia? » la chiamò Giles dopo qualche tempo. Lei si riscosse. Si
era ricordata di quando, non riuscendo a chiedere ad Angel di
tornare a vivere con lei, gli aveva ri-cordato delle dita spezzate
da Angelus. Non aveva mai fatto una cosa del genere prima di allora,
tranne quando l’aveva appena conosciuto. Come aveva detto a Gi-les,
Angel soffriva e ricordava benissimo già da solo, senza bisogno che
lei aggiun-gesse altro dolore.
Sorrise all’osservatore che la guardava in attesa: « Scusa » disse:
« Mi ero di-stratta. E sto divagando. Torniamo alla mia storia… Dove
ero rimasta? »
« A te in fin di vita in un vicolo all’alba. »
« Ah, sì. » Silvia continuava a parlare con assoluta serenità, non
c’era più traccia dell’ombra di poco prima: « Ero lì più morta che
viva, » ricominciò con gaiezza: « e di sicuro sarei spirata di lì a
poco, se non mi avesse salvata mio padre. »
« Tuo padre?!? Silvia, ti confesso che mi sorprendi continuamente,
questa storia è davvero irragionevole! »
« Sì, lo so. Se non l’avessi vissuta sulla mia pelle, penso che
stenterei a crederci anch’io. Ma è andata proprio così. »
« E perché ti ha salvato? Da quello che mi hai detto non mi sembra
il tipo del buon samaritano. »
« No, infatti. Non so sinceramente perché ci teneva così a me. Forse
credeva dav-vero nel mio… potenziale, oppure era solo per
testardaggine. O forse perché era in-cazzato con Angelus. Non so
neanche, ad essere sincera, se mi trovò per caso, o se invece mi
aveva fatta seguire.. non ho proprio idea di quali fossero le sue
intenzioni. Ma, tornando ai fatti, stavolta prese le sue
precauzioni, e mi incatenò per bene per portarmi nel suo castello in
Romania. Poi sono riuscita a scappare anche da lì, ma è una lunga
storia, questa te la risparmio.
Dopo aver vagato da sola per l’Europa per alcuni anni, nel 1884 (o
era l’ ‘83? Non ricordo bene) …insomma, verso la fine del secolo
conobbi Andrej, un dampyr come me, che faceva l’ammazzavampiri. Era
molto vecchio, aveva l’aspetto di un ses-santenne, ma credo che
avesse quasi 200 anni, forse di più. Mi prese con sé, e mi insegnò
tutto quello che sapeva sui dampyr, e mi convinse a dedicare la mia
vita ad ammazzare i vampiri. Qualche anno più tardi, incontrai
Angelus per la seconda vol-ta. Uccise Andrej, e cercò di uccidere
anche me. Anche lui aveva saputo molte cose sui dampyr, dall’ultima
volta che ci eravamo visti. Aveva scoperto che, essendo la sua
childe, il mio sangue non gli faceva del male. Mi ha morso… »
inclinò la testa a destra, spostandosi i capelli, e indicando a
Giles i due semicerchi perfetti sotto l’orecchio.
« Carina. » commentò l’osservatore ironico: « E siamo a due. Ne hai
altri di ricor-dini di Angelus? »
« No, solo questi due. » rispose lei tornando dritta:« Ma bastano e
avanzano! C’era andato giù pesante, col morso, e io mi sono salvata
solo grazie a… un aiuto inaspettato, anche quella volta. »
Di nuovo rimasero entrambi in silenzio. Silvia teneva le mani
aperte, poggiate sulle ginocchia. Picchiettò distratta con le dita,
soprapensiero, poi, sorridendo, tornò a guardare Giles: « Ecco,
adesso ho finito davvero! »
« Oh! Ormai ero pronto ad aspettarmi qualunque cosa! » commentò lui.
« Bè, nel 1898 Angelus ha riavuto l’anima, ed escludendo quello che
è successo qui a Sunnydale, non ho più avuto a che fare con lui.
Nel 1903 ho incontrato Angel. Ti assicuro che non è stato facile per
me credergli, e fidarmi di lui. Ma era evidente.. palese… perché *è*
così: Angel e Angelus non sono la stessa persona. Diciamo che…
convivono nello stesso corpo. »
Stavolta fu Silvia a stupirsi, perché Giles annuì, comprensivo: «
Sì, credo di capi-re, adesso. »
« Davvero? » lo guardò ad occhi spalancati, speranzosa.
Lui annuì di nuovo: « Capisco cosa provi. Mi sei sembrata più
affranta all’idea di causare un dolore a Angel, che al ricordo di
quello che ti ha fatto Angelus. »
« È vero » ammise Silvia, notando contenta che Giles finalmente
aveva fatto dif-ferenza tra il vampiro con l’anima e quello senza: «
Perché Angelus è il passato, ormai. Mentre Angel è ancora qui, e… ha
bisogno d’aiuto. Io non ti chiedo di perdo-narlo. Neanch’io ho mai
perdonato Angelus. Ti chiedo solo di non avercela con Angel per
quello che ha fatto… quell’altro. »
Giles sospirò, annuendo ancora una volta. « D’accordo, va bene. »
disse poi: « Lo aiuterò. » Silvia gli gettò le braccia al collo: «
Grazie! » esclamò stringendolo forte: « Grazie! »
PARTE QUARTA
So this is Christmas, and what have you done?
Se non hai perdonato qualcosa a te stesso,
come puoi perdonare gli altri?
D. Huerta
24 dicembre, Notte di Natale
Ore, ore e ore di ricerche, e non erano approdati a nulla. Unica
nota positiva, pen-sava Silvia, era stato il fatto che non erano
rimasti solo lei e Giles a studiare e fare ipotesi. Buffy, poi
Xander, e infine Willow: lo zoccolo duro della scooby gang di nuo-vo
unito, come ai vecchi tempi. Per aiutare Angel.
Peccato che non fossero approdati a nulla, se non che c’erano dei
sacerdoti che potevano aver evocato il Primo Male. Tutte
supposizioni, niente di concreto da poter prendere a pugni. Si erano
separati, Buffy aveva la sua cena casalinga, Willow il suo
appuntamento con Oz, Xander il suo “campeggio”, Giles la sua
solitudine, e lei… an-che lei sarebbe rimasta da sola.
« Non dovevi andare da Angel? » le aveva chiesto Buffy.
« Sì, dovevo. Ma.. lui non mi vuole. Anche io sono un ricordo di
Angelus. »
Era seduta davanti alla tv accesa, ma non la stava guardando.
Pensava sempre ad Angel. Più di una volta si era alzata in piedi
decisa ad andare da lui, ma poi era ri-masta bloccata sulla porta,
ed era ritornata dentro. Non poteva aiutarlo, la sua pre-senza
l’avrebbe solo fatto stare peggio. Ma lei era così preoccupata…
Squillò il telefono, e Silvia corse a rispondere. Era Buffy.
« Oh.. li hai trovati? … … … Grande intuizione! Perché non mi hai
chiamato? … … Capisco. È tutto finito, quindi? … … … Sì, certo,
credo che andrò subito! Allora ci ve-diamo lì, fra… … Ah. Capisco. …
… … Sì, sì, credo che tu abbia ragione. Ci sentiamo domani, allora.
Grazie, Buffy! Grazie infinite! » Silvia corse a prendere il regalo
di Angel — un cavalletto, un set di pennelli e una tavolozza di
colori — e si precipitò alla magione.
Buffy chiuse la cornetta, e rimase a fissare la sua mano appoggiata
sul telefono. Moriva dalla voglia di andare da Angel, ma non ci
sarebbe andata. Meglio di no. Era stata sua l’idea di non
frequentarsi più, non poteva trasgredire ad ogni minimo pro-blema. E
neanche a uno grande. Era meglio stargli lontano. Era terribilmente
in pe-na per lui, ma per fortuna ora era finita. E poi, aveva Silvia
che pensava a lui. La madre la chiamò dal soggiorno: aveva ritardato
la cena per aspettarla. C’era anche Faith, che all’ultimo momento
aveva deciso di accettare l’invito. Ora finalmente po-tevano
festeggiare in pace.
« Arrivo! » le rispose Buffy. Con un grosso sospiro tolse la mano
dal telefono, e si recò nell’altra stanza, sforzandosi di sorridere:
« (Sì, è meglio così. Fa male - Dio, quanto! -, ma è la cosa
giusta.) »
Solo perché l’incantesimo era finito, Silvia non credeva che avrebbe
trovato Angel tranquillo e rilassato, ma contava di riuscire se non
proprio a tirarlo su di morale, almeno a farlo tornare alla
normalità. Tutti i suoi piani andarono in fumo, però, per-ché Angel
non era a casa. Silvia girò la magione da cima a fondo, ma di lui
nessuna traccia. Aveva un brutto presentimento, ma non sapeva
proprio dove cercarlo. Deci-se di rimanere lì.
Aspettava.
Aprì il cavalletto, sistemandolo in mezzo alla stanza, e lo coprì
con un lenzuolo blu — non era riuscita ad incartarlo in nessun modo
—.
Aspettava.
Mise tutti i libri della libreria in ordine alfabetico per autore.
Aspettava.
Risistemò i libri mettendoli in ordine per grandezza.
Aspettava.
Aspettava. Aspettava. Aspettava.
Ma Angel non tornava.
Le ore passavano e l’alba era sempre più pericolosamente vicina.
Alla fine Silvia perse la pazienza e corse a cercarlo. Non aveva la
più pallida idea di dove potesse essere, ma provò a farsi guidare
dall’istinto, cercando di sentire la sua inquietudine. E grazie
all’istinto, o forse solo alla fortuna, riuscì finalmente a
trovarlo. Era andato su una collina, poco fuori città, da cui si
poteva vedere tutta Sunnydale. Non c’era nulla lì intorno: non una
casa, non un portico, non un albero: nessun riparo alla cui ombra
potesse proteggersi dalla luce dell’alba, ormai imminente.
Silvia gli si avvicinò lentamente. Aveva paura.
Quando fu a pochi passi lui si voltò. Era stravolto. Aveva gli occhi
umidi e arrossa-ti. E l’espressione feroce, sebbene non avesse
mutato il volto. « Vattene! » le urlò. Ma lei non si mosse. Si voltò
di nuovo, ignorandola.
« Angel… » chiamò lei: « Ti stavo cercando. Volevo dirti… »
« Vattene, Silvia, per favore, non farmelo ripetere un’altra volta!
» Aveva parlato senza voltarsi. Il suo tono era duro, ma suonava più
disperato che arrabbiato.
« Quella cosa che ti tormentava… » tentò di spiegargli lei. Ma Angel
la interruppe di nuovo, voltandosi, stavolta: « Non mi ha
tormentato. Mi ha fatto vedere. »
« Vedere? »
« Quello che sono. »
« Eri. »
« E sempre sarò! Non è cambiato niente, Sy. La crudeltà è sempre
stata l’unica cosa per cui ho dimostrato di avere talento. »
« No! No Angel! » tentò di fermarlo lei, avvicinandoglisi, ma lui
parò le mani avanti, indietreggiando: « Volevo sapere perché ero
tornato. Ora lo so. Ma non pos-so diventare di nuovo un assassino. »
« E non succederà, Angel, credimi! Ce la puoi fare! Ce l’hai sempre
fatta, per tutti questi anni! »
« È troppo difficile! »
« E io che ci sto a fare? Non sei solo, Angel. Io non ti
abbandonerò. » gli posò le mani sulle spalle, sorridendo tra le
lacrime. Quando aveva cominciato a piangere? Non se n’era accorta.
Cercò i suoi occhi, ma Angel teneva la testa bassa. Quando
finalmente la alzò, Silvia poté vedere che anche lui stava
piangendo: « Mi hanno detto di uccidere Buffy. »
Silvia aprì la bocca per parlare, ma poi la richiuse. Non sapeva
cosa dirgli. Dunque era questo. Buffy. Aveva paura per lei.
« Non pensare a quello che ti hanno detto! Era il Primo Male! Cosa
volevi che ti proponesse, di fargli da arredatore? »
« Ho fatto un sogno. Facevamo l’amore. Poi io la mordevo. »
« Angel! Era solo un sogno! » lo afferrò per le braccia,
scuotendolo.
« Mi hanno detto di perdermi in lei e ridiventare un mostro. »
« Non capisci che l’hanno fatto solo per farti del male? Non ha più
importanza ormai! »
« SÌ INVECE! » gridò il vampiro, allontanandosi da lei: « Perché io
*volevo* far-lo. »
« No Angel, non è vero che lo volevi, eri… »
« MA COSA NE SAI TU? » gridò di nuovo lui: « Io lo volevo! Come
volevo tutte le cose orribili che ho fatto! Come stuprarti la tua
prima notte di nozze! Ho rivissuto tutto, e ho riprovato lo stesso
piacere! Perché sono solo un mostro. » la voce gli si spezzò, ma
riprese a parlare, abbassando il tono: « E non merito di essere
nient’altro. Sono debole. Non sono mai stato diverso. Non è il
demone in me che merita di morire. È l’uomo. »
Lei l’aveva lasciato sfogare, colpita suo malgrado dalle sue ultime
affermazioni. Ma ora gli fu di nuovo vicina, afferrandolo perché la
guardasse negli occhi: « Sei debo-le, è vero. Ma chi non lo è? Anche
io lo sono. Allora merito di morire? »
« Tu non sei un mostro. »
« E neanche tu lo sei! È quello che il Male ha voluto farti credere,
e tu così stai fa-cendo solo il suo gioco! »
« Silvia, non capisci che non ce la faccio più? Mi hanno riportato
indietro perché facessi ancora del male, e.. »
« No! Sei tu che non capisci! Il Male non ti ha riportato indietro!
Il Male non ti vuole qui, Angel, perchè hai la capacità di
sconfiggerlo, di fare del bene, di rime-diare! Quante persone hai
salvato, da quando hai l’anima? Che ne sarebbe stato di loro se non
ci fossi stato? E che ne sarebbe stato di me?!?! »
Angel a quelle parole la guardò fisso negli occhi. Silvia sentì
rinascere la speranza. Ma aveva frainteso.
« Me lo stai chiedendo davvero? » disse infatti lui, affranto: «
Cosa ne sarebbe stato di te? Avresti avuto una vita felice, ecco che
ne sarebbe stato! »
« Non è vero, Angel, e lo sai! Se non ci fossi stato tu, mio padre
mi avrebbe tro-vato comunque! Non pensi a cosa sarebbe potuto
succedere se fosse stato lui il mio Sire? Ma, dico, mi credi così
stupida da tenere tanto alla vita di uno spietato assas-sino? Se ti
amo, è perché tu non lo sei! Non sei un mostro! Perché non riesco a
far-telo capire? » Scoppiò a piangere, esausta e disperata. Angel le
accarezzò una guancia: « Lo vedi? Riesco sempre a farti piangere.
Davvero merito di essere sal-vato, eh? Sono forse un brav’uomo? Il
mondo vuole che io scompaia. E io… bè, io sono stanco. »
Silvia gi allontanò la mano con violenza, arrabbiata: « Non me ne
frega niente di cosa vuole il mondo o di cosa vuoi tu! *Io* non
voglio perderti, Angel! Non voglio stare senza di te! »
« Invece è la cosa migliore, così non potrò più farti soffrire. Per
favore, Silvia… almeno per questa volta… permettimi di essere forte.
»
« NO! Perché io non posso esserlo! Io non posso andare avanti se tu
non ci sei! Vuoi sapere quando mi hai fatto davvero soffrire in
passato? Quando sei andato all’inferno, e mi hai lasciata da sola,
ecco quando! Non ti permetterò di farlo di nuo-vo! » Prima che Angel
potesse reagire in alcun modo, lo abbracciò, stringendolo forte. «
Ti prego non mi abbandonare, Angel! Non… lasciami. »
« Perdonami. » disse lui stringendola a sua volta: « Perdonami per
tutto il male che ti faccio. Ma è tardi, ormai. L’alba sta
arrivando, e… » non finì la frase, si inter-ruppe all’improvviso, e
Silvia si sciolse dall’abbraccio per guardarlo preoccupata. E allora
li vide anche lei.
I fiocchi, bianchi, leggeri. Sempre più numerosi.
Nevicava.
Incredibile, eppure stava nevicando. A Sunnydale, stava nevicando.
Silvia scoppiò a ridere, tra le lacrime: « Nevica! Nevica! » gridò,
e abbracciò di nuovo Angel, che era rimasto senza parole. « Hai
visto? » continuò lei entusiasta: « Sta nevicando! Dovrebbe essere
già l’alba, ma le nuvole coprono il sole! Sei an-cora convinto che
il mondo vuole che tu scompaia? »
« Io… non capisco. » Angel si guardava intorno come intontito.
« Non c’è niente da capire, Angel. Tu volevi aspettare il sorgere
del sole, e hai scelto l’unico giorno in cui l’alba non ci sarà! »
sorrideva, asciugandosi le lacrime. Angel sospirò guardando il
cielo, e poi il paesaggio che si riempiva di bianco.
Silvia lo abbraccio di nuovo: « Buon Natale, Angel. » sussurrò: «
Andiamo a casa. Devo ancora darti il mio regalo. »
Pallido, lieve come i fiocchi che cadevano, luminoso come l’alba che
non sarebbe arrivata, sul volto di Angel si affacciò un sorriso. «
Andiamo. » disse solo, arrenden-dosi all’evidenza.
Mentre camminavano con tutta calma, abbracciati, per le vie
innaturalmente im-biancate di Sunnydale, in un negozio di
elettrodomestici, un televisore lasciato ac-ceso stava trasmettendo
il telegiornale del mattino: « E mentre quasi tutta la Cali-fornia
vivrà un Natale mite, » diceva lo speaker: « un fronte molto freddo
è spun-tato dal nulla nella zona di Sunnydale, dove si registrano
forti nevicate per la prima volta in assoluto. Gli abitanti non
vedranno il sole per tutto il giorno, il fronte è sta-zionario. La
temperatura è attorno ai 3 gradi: meglio coprirsi bene prima di
uscire! »
Silvia si abbassò a raccogliere una manciata di neve: « Mio Dio, che
bello! Non me la ricordavo quasi più! Come ho fatto a passare gli
ultimi inverni senza neve? » venne colta da un brivido, e lasciò
cadere la neve a terra: « Brrrr! E non ricordavo che potesse fare
così freddo! » Sorrise, raggiante.
Angel si era fermato ad osservarla, e rispose al suo sorriso: « È
bello vederti così contenta. »
« Lo so. E a me piacerebbe vedere anche te, così. Almeno nei limiti
dell’accettabile. » Corse di nuovo a stringerlo: « Povero Angel »
gli sussurrò in un orecchio: « Quante te ne hanno fatte passare… »
« Non certo più di quante ne ho fatte passare io alle mie vittime,
te compresa. È solo questo che mi hanno mostrato. »
« Povero Angel! » ripeté lei, stringendolo di più.
« Ho visto le mie vittime. Molte. Quelle che ho ucciso a Natale. E
poi… altre. E Buffy. E te. »
« Non pensarci. Ora è tutto passato. » replicò lei, tirandolo per un
braccio, e ri-prendendo a camminare.
Ma Angel non l’ascoltò: « C’era anche Andrej. » disse.
« Davvero? » Silvia si fermò bruscamente.
Angel annuì in risposta alla sua domanda.
« Oh… cavolo… come.. come hanno osato usare anche lui per una cosa
del gene-re! Se potessi gli staccherei il collo al Primo Male!
Peccato che sia incorporeo! »
Angel era pensieroso. Ignorando i commenti della ragazza, le chiese:
« Posso farti una domanda? »
Silvia si era accorta che lui non l’aveva minimamente ascoltata, ma
lasciò perdere il suo astio nei confronti del Primo, e annuì.
« Ti ricordi di Vienna? Quando… »
« Quando Andrej è morto? » gli venne incontro lei.
« Sì. Non mi hai mai detto come hai fatto a salvarti. Eri…
dissanguata, quasi morta, e sei… sparita. »
« Vuoi sapere come mi sono salvata, oppure perché non te l’ho mai
detto? »
« Entrambe le cose. » ammise lui, ripensando alle parole della
visione con le sem-bianze di Andrej.
Silvia gli sorrise: « Non so cosa ti sarai immaginato, ma il motivo
per cui non ti ho mai detto nulla è… sempre il solito. »
« E cioè? » Angel non capiva.
« Adesso ti racconto tutto… »
*****
Angelus si era precipitato in strada, ma lei era sparita.
Volatilizzata.
Non era possibile. L’aveva vista, malferma sulle gambe, riusciva a
malapena a reggersi in piedi. Lui non aveva impiegato molto a
togliersi il pugnale ed inseguirla. Non poteva essere riuscita a
scappare. Eppure il vampiro non la sentiva.
C’era molta gente, nonostante l’ora tarda, e lui non riusciva ad
individuare il bat-tito del suo cuore, o il suo respiro. E non
sentiva neanche l’odore del suo sangue, o della sua paura.
Era scomparsa.
Nascosto nell’ombra di un portone poco lontano, con tutti i sensi
tesi verso il pre-datore, silenzioso come solo un vampiro sa
esserlo, Spike aspettava che Angelus rinunciasse alla sua preda. Era
difficile, sapeva quanto era testardo, ma non inten-deva
permettergli di farle ancora del male.
Quanto era stato idiota! Aveva creduto davvero di non pensare più a
lei, di averla dimenticata. Se lo ripeteva quando, ancora troppo
spesso, era costretto a scacciare con forza il suo ricordo che
veniva tirannicamente a rammentargli il passato, e l’uomo che era
stato. E il suo cuore, che si illudeva di aver ormai consegnato
nelle mani di un’altra. E invece… Appena l’aveva vista uscire da
quella porta, malferma sulle gambe, aveva capito in un attimo quello
che doveva essere accaduto. Sentiva la furia di Angelus provenire
dal piano di sopra. E correndole incontro, afferrandola prima che
cadesse a terra, e stringendola tra le braccia, aveva capito anche
di amarla ancora. Di non avere mai smesso.
No, Angelus non l’avrebbe più toccata, lui gliel’avrebbe impedito, a
costo di ucci-derlo.
Sorrise amaramente.
Uccidere Angelus. Quante volte l’aveva desiderato. Da quando
Drusilla glielo ave-va presentato, dicendogli che doveva diventare
come lui.
Era stata la sua regina a dargli l’immortalità, a fargli bere il suo
sangue, perché si risvegliasse creatura della notte, e vivesse
l’eternità con lei.
Ma era stato Angelus a porre fine alla sua vita precedente, a
morderlo e succhiar-gli via l’esistenza. E gli aveva tolto anche la
cosa più preziosa che lui avesse mai avuto. Ma adesso basta. Non era
pronto ad uccidere colui che, suo malgrado, era in un certo senso il
suo sire. Non ancora, si ripeteva. E in cuor suo temeva che fosse
una bugia, che non sarebbe *mai* stato pronto. Ma giurò a se stesso
che non gli avrebbe più permesso di fare del male a Silvia.
Pazzo di rabbia, Angelus si gettò tra la folla, deciso a trovare la
dampyr a tutti i costi.
Quando fu abbastanza lontano, Spike si decise a lasciare il
nascondiglio. Teneva Silvia in braccio, svenuta. Pensò di riportarla
a casa sua, perché probabilmente era l’unico posto dove Angelus non
l’avrebbe cercata, almeno per quella notte. Si fermò sulla soglia,
non essendo stato invitato ad entrare. La adagiò dolcemente a terra,
mentre sentiva che stava rinvenendo.
Aveva perso i sensi appena giunta sulla strada. Era sicura che
Angelus l’avrebbe raggiunta e uccisa, perciò si aspettava di
trovarsi il suo viso davanti. Aprì lenta-mente gli occhi, ancora
offuscati dalle lacrime. Alzò lo sguardo verso Spike, e il cuore le
si fermò per un secondo.
« Stai bene? » le chiese lui.
Silvia non riusciva ancora a crederci.
Era lui, era il suo viso, erano i suoi occhi, era la sua voce.
Solo una cosa era diversa: l’espressione. Dura, insensibile, gelida.
Ma non ci dette molto peso. Non lo vedeva da nove anni. Sentì una
gioia dolorosa riempirle l’animo, sentì all’unisono speranza e
terrore.
« Credevo fossi morto! » sussurrò, accarezzandogli il viso con una
mano.
Lui non le rispose, ma neanche allontanò la mano. « Devi andartene
via al più presto » disse: « Domani, in giornata. Prima che arrivi
la sera. O lui ti troverà. »
Silvia non capiva, anzi, non lo ascoltava proprio. Solo.. lo
guardava. Non voleva piangere per poterlo guardare bene, senza le
lacrime ad appannarle la vista.
Il vampiro dovette scuoterla leggermente per le spalle: « Hai capito
quello che ho detto? »
« Cosa? » disse lei, intontita.
« Angelus non ci metterà molto a trovarti. Vattene via da Vienna
domani stesso! Capito? »
« S-sì » mormorò lei, tristemente riportata alla realtà.
Spike la guardò fisso per alcuni secondi, come per assicurarsi che
stesse bene, e avesse davvero capito che era pericoloso rimanere.
Poi, senza dire una parola, si allontanò.
« William, aspetta! » lo richiamò lei, cercando di alzarsi, ma
ricadendo con un ge-mito.
Lui si fermò, e senza neanche girarsi, voltando appena un po’ la
testa, le disse: « Non sono William. William è morto. Io mi chiamo
Spike. » E uscì velocemente.
Solo allora lei se ne rese conto, capì cos’era quell’angoscia che le
aveva preso il cuore non appena l’aveva rivisto, nonostante la
gioia. Era un vampiro. Il suo William era morto davvero. Ed era
diventato una di quelle creature demoniache che lei ucci-deva. Cercò
di nuovo di alzarsi, ma era ancora troppo debole. Rimase lì,
rannic-chiata, con la schiena poggiata allo stipite della porta, a
piangere tutto il suo dolore e la sua solitudine.
*****
Si erano riparati sotto una pensilina, perché la nevicata si era
fatta più insistente. Silvia aveva esposto il suo racconto con voce
tranquilla, senza inflessione, cercando di rendere il tutto meno
duro possibile, senza però mentire o nascondergli qualcosa: « Il
giorno dopo ho seppellito Andrej — con un funerale cattolico, spero
mi perdo-nerà! — e sono andata via da Vienna. » concluse: « È solo
per questo che non te l’ho raccontato. Perché c’entrava Spike. »
Ma Angel era rimasto ugualmente scosso: « Era la prima volta che lo
incontravi, da vampiro? » chiese.
« Sì. Non ti nascondo che è stato un colpo, per me. Ma è passato.
Non ti angu-stiare! » Parole sprecate, lo sapeva benissimo. Si
incamminarono di nuovo verso la magione, e dopo un po’ Silvia
interruppe il silenzio: « Non pensi sarebbe bello avere una
coscienza “ricaricabile”? » chiese allegramente.
« Una.. che? » Angel era immerso nei suoi cupi pensieri quando
Silvia se n’era uscita con questa strana domanda.
« Una coscienza ricaricabile! » ripeté lei gaiamente: « Vediamo,
come posso spie-garti… A cosa serve la coscienza? Dovrebbe impedirci
di fare qualcosa di sbagliato, giusto? Se però non funziona a
livello.. diciamo così… preventivo, allora inizia a la-vorare dopo,
tormentandoci di rimorsi. Quindi, quando se ne hanno troppi, quando
la coscienza è troppo piena.. come la tua, per esempio! No, aspetta…
la tua è un bel po’ oltre il livello di saturazione! »
Angel sorrise a quelle parole. Aveva sempre ammirato la capacità di
Silvia di scherzare su qualunque guaio, anche i più gravi. La
invidiava un po’, anche, per questo.
Anche lei gli sorrise, continuando la sua dissertazione filosofica:
« Comunque, di-cevo: quando la coscienza è troppo piena, tiri fuori
il sacchetto, e lo butti via, come con l’aspirapolvere! » mentre
parlava, gesticolava imitando le azioni che stava de-scrivendo, ed
Angel si sorprese a pensare che la trovava piuttosto.. buffa. E non
ca-piva dove voleva arrivare.
« Non ti pare una grande idea? » gli chiese lei, finita la
spiegazione.
« Sì, certo. Sarebbe bello. » ripensò alla frase che aveva letto in
chiesa. Essere perdonati grazie all’amore. Sarebbe bello, sì,
sarebbe bello.
« Tu non eri molto religioso quando eri vivo, quindi non te lo puoi
ricordare, » ri-prese intanto Silvia: « ma io mi ricordo che quando
ero umana.. e anche dopo, i primi tempi in cui ero dampyr… andavo
spesso a confessarmi, ed era come ti dice-vo. Dopo mi sentivo…
“nuova”. Non mi fraintendere, non era ipocrisia… era una cosa
positiva: mi sentivo come se potevo ricominciare da zero. Capisci
quello che voglio dire? » Lo fissò, seria.
« Sì, credo di capire » le rispose lui, sospirando tristemente: « È
come se ti des-sero una seconda possibilità. Tutti dovrebbero avere
un’altra possibilità. »
Silvia annuì, tornando a sorridere: « Già. Tutti possiamo sbagliare.
E proprio per questo, tutti abbiamo diritto a essere perdonati. Il
perdono ci dà un’opportunità nuova per ricominciare a vivere, senza
essere oppressi dal rimorso. Il perdono ci permette di.. buttare il
sacchetto. » e col braccio fece il gesto di gettare una cosa
lontano.
« Ma alle volte non c’è nessuno che può perdonarti… » osservò Angel,
sconsolato.
« Alle volte non serve nessuno. A volte devi perdonarti solo tu
stesso. »
Angel si fermò, e si voltò a guardarla. Nevicava ancora, e Silvia si
stringeva nella giacca leggera, rabbrividendo. Ma sorrideva.
Angel invece sentiva all’improvviso caldo. Come da un bel po’ ormai
non gli succe-deva. Sentiva un grumo di calore nel centro del petto,
che pian piano andava scio-gliendosi e spargendosi in tutto il
corpo. Perché lei lo guardava così.
Oh, come aveva potuto anche solo pensare di lasciarla? Come aveva
potuto con-vincersi che in questo mondo non ci fosse più nulla per
lui, quando aveva lei? Le sorrise di gratitudine, non riuscendo a
resistere ancora al suo contagioso buonu-more. Ma scosse comunque la
testa: « Non posso perdonarmi, Sy. Perché non vo-glio. Ma giusto che
sia così. Come mi ha fatto giustamente notare Giles, l’ultima volta
che mi sono sentito soddisfatto della mia vita, è finita piuttosto
male. »
« Ti ha detto questo? »
« Sì. »
« Bè, cerca di capirlo, sta ancora soffrendo per Jenny. Ma fa il
duro solo di faccia-ta. Anche prima che andassi da lui, stava già
facendo ricerche su Acathla. »
« Io.. gli sono molto grato. Ma… » sospirò: « questo mi fa sentire
ancora più in colpa. »
Ripresero a camminare, fianco a fianco, in silenzio.
« Visto che siamo in tema di perdono, » disse Silvia in tono vago
dopo un po’: « ne approfitto per chiederti scusa. »
Angel si fermò così di botto, che Silvia fece qualche altro passo
avanti prima di ac-corgersi che non era più al suo fianco. Si voltò
a guardare la sua faccia sbalordita: « Chiedermi scusa? » chiese
lui, frastornato: « Non capisco, che vuoi dire? Scusa per cosa? »
Silvia si strinse nelle spalle: « Per come mi sono comportata in
questi ultimi tem-pi. Ti ho lasciato troppo da solo. Non mi sono
accorta che stavi male finché non mi sei crollato davanti! Se ti
fossi stata più vicina, forse avrei potuto evitarti tutto que-sto. »
« Non sentirti in colpa, per favore. Anche io sono stato piuttosto
assente nei tuoi confronti. »
« Ma che c’entra! Sei tu quello che è stato all’Inferno! Io avrei
dovuto provare a pensare a come ti sentivi, provare a capire il tuo
stato d’animo, le tue decisioni… Avrei dovuto ascoltare i tuoi
problemi, e aiutarti, invece di pensare solo a me stes-sa. »
Qualche secondo dopo che Silvia aveva finito di parlare, accadde
all’improvviso qualcosa di straordinario, e inaspettato. Sotto gli
occhi esterrefatti della ragazza, Angel cominciò a ridere. Una
risata lieve, poco intensa, ma comunque di cuore, che gli illuminò
tutto il viso. La cupa giornata sembrò rischiararsi a quel suono
delicato. Silvia non capiva se stesse ridendo di lei o no, ma
francamente poco le importava.
Angel rideva! Le sembravano passati dei secoli dall’ultima volta che
l’aveva visto ridere. E chissà, forse per lui erano passati davvero.
« Scusa » disse il vampiro, dopo un po’, calmandosi: « Non avevo
ancora capito a cosa erano dovute tutte quelle preoccupazioni! Sei
ancora gelosa di Buffy! »
Silvia divenne all’istante rossa da capo a piedi. Se non avesse
avuto ancora nella mente l’immagine e il suono della gaiezza di
Angel di poco prima, si sarebbe arrab-biata da morire: « Io non sono
gelosa! » disse tentando di darsi un contegno: « Mi secca soltanto
che tu passi con lei più tempo di quanto ne passi con me, e che
parli sempre di lei quando siamo insieme, e che pensi a lei ogni
momento, e… Sì, va be-ne: sono gelosa! » ammise alla fine: « Lo
ammetto, sono gelosa, gelosa fino al mi-dollo, sono una donna infima
e pusillanime, e sono qui ad implorarti di perdonar-mi. » Gli prese
una mano e la strinse tra le sue.
Angel addolcì lo sguardo, senza smettere di sorridere: « Se ti fa
piacere, » le dis-se: « ti accordo il mio perdono. Ma in realtà per
me sono solo io ad aver sbagliato. »
Silvia riprese a camminare, sempre tenendolo per mano: « Va bene,
chiudiamo qui il discorso, altrimenti continuiamo in eterno con “è
colpa mia!”, “no, è colpa mia!”, “no, è mia!”, e non la finiamo più
visto che siamo terribilmente testardi tutti e due! »
Fecero ancora pochi passi, poi Silvia si fermò di nuovo. Angel si
voltò a guardarla, in attesa, ma lei non diceva nulla, solo,
sorrideva. Poi lo abbracciò: « Grazie. » sus-surrò: « Grazie di
tutto, Angel. Per esserci sempre. Per esserci.. ancora. »
Lui la strinse forte, senza dire nulla.
« Non immagini nemmeno quanto sono felice che tu sia di nuovo qui,
Angel… » continuò lei, tentando di ricacciare indietro le lacrime: «
Avrei dovuto dirtelo più spesso… »
« Anch’io sono felice di essere di nuovo qui con te. »
« Non farmi più uno scherzo del genere allora, d’accordo? »
« Va bene. »
« Me lo prometti? »
« Prometto. »
Rimasero per un po’ così abbracciati, immobili, lasciando che i
fiocchi li coprissero con calma di bianco. Poi Angel si sciolse
dall’abbraccio, e le scosse la neve dai ca-pelli: « Andiamo a casa.
» disse: « Stai morendo di freddo. E poi… anch’io devo an-cora darti
il mio regalo. »
Silvia buttò un altro ciocco nel camino. Poi vi si accovacciò
davanti, godendosi il calore. Sentì Angel che trafficava alle sue
spalle, e sorrise: « Allora, mi posso gira-re? »
« Ancora un attimo… » rispose lui, dando qualche ultima aggiustatina:
« Ecco, *adesso* puoi girarti. »
Silvia si alzò in piedi, voltandosi, e rimase un po’ interdetta.
Angel, in piedi, a braccia conserte, la guardava in attesa, accanto
al suo regalo. Era coperto da un drappo blu scuro, posizionato in
modo da impedire di capire la forma dell’oggetto. E a vederlo così,
sembrava davvero molto simile al regalo che aveva fatto lei a lui.
Anche lei aveva coperto il cavalletto con lo stesso lenzuolo. Angel
le aveva rubato l’idea! Aggrottando la fronte, posò lo sguardo sul
cavalletto, che era lì, alla sua de-stra.
« No, non abbiamo avuto la stessa idea. » la rassicurò Angel,
intuendo dal suo sguardo a cosa stesse pensando.
Certo che no, si disse Silvia. Lei non sapeva disegnare! Angel sì,
era molto bravo. Anche se la sua specialità erano i ritratti a
carboncino, Silvia aveva pensato che avrebbe potuto fargli piacere
cambiare un po’ genere. Aveva talento, probabilmente sarebbe
riuscito bene anche nella pittura. E aveva così tanto tempo libero…
Ma ora Silvia era concentrata sul suo, di regalo. Inclinò la testa
di lato, riflettendo, ma non le veniva nulla in mente.
Angel la guardava divertito: « Non abbiamo avuto la stessa idea, »
ripeté, dopo un po’: « però… simile. Anche io ho pensato a un tuo
vecchio hobby… a cui non ti dedicavi più da tanto… »
All’improvviso Silvia si illuminò: « Oddio! » esclamò, battendo le
mani:« È quello che penso che sia? »
« Scoprilo, no? » le disse lui indicando con un movimento l’oggetto
misterioso al suo fianco. Silvia si avvicinò, ancora un po’
titubante, poi con un gesto deciso tirò via il drappo: « Sììììì!!!!!
» Sì, era quello che pensava. Un violoncello. Bellissimo, nuovo di
zecca. Il legno lucido risplendeva alla luce del fuoco alle sue
spalle. Ac-canto, poggiato sul sostegno, l’archetto. Silvia lo
accarezzò, poi, entusiasta, si gettò al collo del vampiro: « Oh!
Grazie, Angel, grazie! » disse abbracciandolo e bacian-dolo: «
Grazie grazie grazie!! »
« Sono contento che ti piaccia. »
« Mi piace?!? Lo adoro!!! »
« Su, provalo, che aspetti? »
Silvia annuì, prese archetto e strumento, e andò a sedersi sul
divano. Non era una posizione comodissima per suonare, un po’ troppo
bassa, ma sarebbe andata bene. Fece scorrere le dita sulle corde,
poi si mise in posizione, e accennò qualche nota di Hey Jude. La
musica fuoriusciva fluida e armoniosa. Silvia si stupì di se stessa:
era-no anni che non toccava strumento, eppure non aveva difficoltà a
suonare. Sorride-va, ad occhi chiusi, ed Angel la guardava contento.
Erano di nuovo come ai vecchi tempi, ora. Erano di nuovo una
famiglia.
Silvia stava pensando esattamente la stessa cosa, quando smise
all’improvviso di suonare: « Angel… c’è una cosa che volevo
chiederti da un po’… »
« Dimmi. »
Esitò, poi prese tutto un coraggio, e, guardandolo negli occhi, gli
domandò: « Perché non sei tornato a vivere con me? »
Angel non se l’aspettava, e rimase a guardarla con gli occhi
spalancati: « M-ma… io… » balbettò, subito un’espressione colpevole
in viso.
« Non ti sto rimproverando, non ti preoccupare. » lo tranquillizzò
Silvia, posando l’archetto sul divano accanto a lei: « Te lo sto
solo chiedendo. » e lo fissò da sotto in su con sguardo ansioso,
aspettando una risposta.
« Ma io… » ripeté di nuovo il vampiro: « Io… non lo so. » disse
infine: « C’ho pen-sato, ma… tu non me l’hai chiesto… Pensavo che
non mi volessi. »
Silvia si alzò in piedi, adagiando il violoncello nel posto lasciato
vuoto sul divano: « Io non ti ho detto niente perchè pensavo che
*tu* non volessi! » gli disse con ci-piglio, incrociando le braccia.
Angel invece sorrise: « Bene, vuol dire che siamo proprio stupidi
alla stessa ma-niera! »
Anche Silvia sorrise, sciogliendo le braccia: « Allora… quando ti
trasferisci? » chie-se tutta contenta.
« Anche subito! Tanto non ho nulla da traslocare. »
« Va benissimo! Nella tua stanza non ho cambiato nulla, hai visto. »
« Sì. Grazie. »
« E… Angel? » Silvia guardò il suo strumento sdraiato sul divano,
poi di nuovo il vampiro: « Ti prometto che, in tua presenza, non
suonerò mai più la Danza Rus-sa! »
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