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Sunnydale, Agosto 2001
Ascoltava le loro parole.
Le loro voci erano alte, ora.
Discutevano, esaminavano le possibilità, e c’erano lacrime negli
occhi di alcuni, rabbia negli occhi di altri.
Sogni.
Erano i sogni di una cacciatrice che stavano provocando tutto
quello.
Sogni come quelli che faceva lui.
Sogni nei quali riusciva a salvare Dawn, e Buffy non doveva
sacrificare la sua vita.
Sogni nei quali riusciva ad udire il battito del suo cuore, ed il
profumo dei suoi capelli.
Sogni nei quali non c’era stato quel lampo bianco di luce, che aveva
ucciso la donna che amava.
L’atmosfera nel Magic Box non era molto diversa da quella notte. Ed
erano tutti seduti nelle stesse posizioni.
Con l’eccezione di Dawn, lei era seduta ai suoi piedi, le ginocchia
strette contro il petto, la testa alta.
Non aveva detto una parola.
Come lui.
Ed i suoi occhi erano asciutti.
Come i suoi.
Eppure riusciva a sentire il suo dolore.
La sua speranza.
La sua rabbia.
“Non sto dicendo di crederle…” disse piano Giles.
“dico solo, che i sogni delle Cacciatrici sono spesso profetici…”
“Anche quelli delle Cacciatrici che hanno provato ad ucciderci in
più di un’occasione?” domandò Xander.
Il ragazzo teneva tra le mani una tazza di caffè, ormai vuota, e le
nocche gli erano diventate bianche a forza di stringerla.
Spike non sarebbe stato sorpreso se la tazza gli si fosse rotta tra
le mani.
“Xander…” disse debolmente Willow.
“Cosa?” scattò l’altro.
“Non sai quanto vorrei che fosse vero, Will….ma guardiamo in faccia
la realtà! Se fossi stata tu…Dawn…al diavolo se fosse stato anche
Spike, potrei crederci…ma Faith? No, mi dispiace!”
“Grazie per il voto di fiducia, Harris…” bofonchiò Spike rigirandosi
tra le dita una sigaretta non ancora accesa.
Xander lo guardò per un istante, prima di scuotere la testa.
“Wesley Wyndam Pryce ti dice che *Faith* ha sognato Buffy…che crede
sia ancora viva e tu gli hai creduto? Hai creduto a Faith?”
“Non a Faith” l’interruppe Spike.
Dannazione, com’era possibile che dopo anni passati a combattere le
forze del male su una bocca dell’inferno, Xander Harris, riuscisse
ad essere così dannatamente chiuso mentalmente?
“Alla cacciatrice!”
“E questo è diverso…perché?” domandò lui.
Spike strinse i denti.
“Cinque anni passati a combattere fianco a fianco con una, cosa ti
hanno insegnato?
Le cacciatrici combattono il male, sono lo strumento delle Alte
Sfere nella lotta contro le creature delle tenebre…fanno sogni
strani, hanno strane intuizioni…o eri troppo occupato a farti
salvare il culo da lei per rendertene conto?”
Xander spalancò gli occhi, quasi come se fosse stato colpito in
pieno viso.
Dalla morte di Buffy quella era la prima volta che parlavano davvero
di lei.
O almeno, era la prima che era proprio lui, Spike a farlo.
Il vampiro chiuse gli occhi per un istante.
Non era stato abbastanza causare la sua morte?
Doveva anche parlare della sua vita?
Doveva anche discutere con loro di quella follia?
“Che ci piaccia o meno” Disse infine, riaprendo gli occhi.
“Faith è l’unica cacciatrice rimasta…se sta sognando Buffy, un
motivo deve esserci!”
“Con Faith c’è sempre un motivo…” sussurrò Xander.
Spike scattò in piedi.
“Accettare che una persona possa cambiare non entra nel tuo
cervello, vero Harris? Faith non ha niente da guadagnare in questa
storia…Buffy è *già* morta!”
Urlò le ultime parole ed abbassò la testa, Dawn teneva la testa
nascosta nelle mani.
E piangeva.
C’erano lacrime ora.
Poteva sentirne l’odore.
<complimenti, vecchio mio: sei riuscito a farla piangere per ben due
volte in una sola giornata…è così che intendi continuare a
proteggerla?>
Il vampiro si rimise piano a sedere, poi incapace di resistere alla
tentazione, allungò una mano, per sfiorare i capelli della ragazza.
Dawn sussultò leggermente, poi sollevò la testa per guardarlo, si
asciugò le lacrime col dorso di una mano e sorprese Spike quando
disse: “Vedo che hai ritrovato la voce….”
Le labbra del vampiro si piegarono involontariamente in un sorriso.
Il suo primo, vero sorriso da quella notte.
Da quando Buffy lo aveva riinvitato in casa.
“Potere di Xander Harris..” si ritrovò a mormorare.
Sollevò piano la testa, per guardarla.
Non c’era odio negli occhi di Dawn.
Non c’era compassione nei suoi occhi.
Solo amore.
E perdono.
Spike fece per dire qualcosa, ma fu interrotto, dalla porta del
Magic Box che si aprì.
Prima ancora di sollevare lo sguardo, seppe che era arrivato.
Il suo demone lo sentì.
Lo sentì la sua pelle, lo sentì tutto quello che era.
C’era stato un tempo in cui lo aveva odiato ferocemente.
Lo aveva odiato ferocemente, quando gli aveva portato via la donna
che amava, e solo pochi mesi prima, il pensiero che Buffy fosse
stata sua, che lui l’avesse stretta tra le braccia, che avesse perso
l’anima per lei, aveva scavato nelle sue viscere, alimentando il suo
odio.
Eppure, quando lo guardò, quando i suoi occhi, incontrarono quelli
nocciola del suo sire de facto, fu sorpreso nel realizzare che non
c’era odio per lui.
Non in quel momento.
Forse era troppo stanco anche per odiare.
O forse quello era un altro episodio che certificava la sua pazzia.
Spike non lo sapeva, non gli interessava.
Si rimise in piedi, e raggiunse piano il centro del negozio, lì dove
cinque persone si guardavano attorno.
Guardò il vampiro che gli era di fronte, sembrava diverso rispetto
all’ultima volta che l’aveva visto, il suo sguardo era ancora lo
stesso, tormentato, ma il dolore che vi leggeva in esso era diverso,
ora.
“Ciao, Angel…”
Disse Spike.
Il vampiro più anziano lo guardò per un istante.
Spike sapeva che stava interrogandosi su molte cose in quel momento.
Resse il suo sguardo, domandandosi se avrebbe intuito subito la
verità, se avrebbe sentito quanto gli avvenimenti degli ultimi anni
avevano lasciato un segno su di lui.
“Spike…”
fu l’unica parola che Angel disse.
Avrebbe voluto dire qualcosa Spike, qualunque cosa, ma non lo fece.
Fu una ragazza bruna, dalle labbra carnose e gli occhi cerchiati di
nero a parlare dicendo: “Vi abbraccerete dopo, ok? Adesso mettiamoci
al lavoro…dobbiamo riportare B. indietro…”
“Hai sempre avuto un talento tutto particolare per rovinare…”
cominciarono simultaneamente Xander e Cordelia.
“Non è il momento” Disse Spike con voce fredda.
Guardò i due ragazzi, e continuò lentamente.
“La cacciatrice ha ragione…dobbiamo riportare Buffy indietro…”
Si guardò attorno ed il suo sguardo si posò su Giles, che era in
silenzio.
Lesse approvazione nei suoi occhi mentre diceva: “Me ne frego delle
vostre beghe personali, se davvero vogliamo provare a fare questa
follia, voglio che le energie di tutti si concentrino al cento per
cento solo e soltanto sul riportarla indietro…”
“Da quando dai gli ordini?” Domandò Cordelia incuriosita.
Spike scosse la testa.
“Non è un ordine…è solo…”
“La cosa giusta da fare” terminò Angel al suo posto.
Spike distolse lo sguardo quando sentì quello di Angel cercarlo.
Se avesse cominciato a parlare l’avrebbe preso a pugni
probabilmente.
O l’avrebbe abbracciato.
E Spike non sapeva sinceramente di cosa avere più paura.
***
Angel era sicuro di essere finito in un universo parallelo.
Uno dove Spike non aveva passato l’ultimo secolo uccidendo, e
dispensando dolore e morte.
Uno dove era sempre stato dalla parte dei buoni.
L’ultima volta che l’aveva visto, due anni prima, era stato quando
l’aveva fatto torturare per ore da quel tale, quel Marcus, pur di
ottenere la Gemma di Amara.
Da allora, aveva avuto poche, sporadiche notizie, tramite Giles.
Evidentemente Giles, non l’aveva messo a parte di *tutti* i
cambiamenti avvenuti in Spike.
Era evidente che era accettato dagli amici di Buffy.
Non che lo dicessero o lo mostrassero apertamente…ma era evidente ai
suoi occhi.
Forse perché sapeva cosa significasse non essere accettati da loro.
Nessuno aveva avuto da obiettare alle parole pronunciate da Spike
poco prima.
Nemmeno Xander Harris aveva obiettato.
Non c’erano stati soprannomi, né scambi di battute caustiche. Il
ragazzo si era limitato ad abbassare la testa, e l’argomento era
stato chiuso.
Si erano subito messi all’opera, ed Angel aveva notato che Giles si
era avvicinato al suo childe de facto e l’aveva preso da parte.
Avevano parlato con tranquillità, del come agire.
Insieme, avevano concordato nel dividersi i compiti.
Ed era sembrata una cosa naturale.
Una cosa che avveniva spesso.
Spike si era seduto ed aveva cominciato a fare ricerche, insieme
agli altri.
Come se appartenesse a quel gruppo.
Come solo Spike riusciva a fare, che le persone lo volessero o meno.
Si domandò ancora una volta cosa fosse accaduto.
Osservò il modo in cui Spike era seduto comodamente, tra Giles e
Wesley, e come il suo volto fosse una maschera di concentrazione, di
serietà.
Ma c’era qualcos’altro.
Qualcosa che non avrebbe mai creduto fosse possibile scorgere nel
vampiro più giovane.
Rimorsi.
Angel sapeva bene cosa volesse dire averne, sapeva come la scia di
essi potesse essere logorante, come potesse consumare una persona.
Un demone.
Ed i rimorsi stavano consumando Spike.
Scattò in piedi, mormorando una scusa, e si diresse nel retro.
Si fermò, mentre lacrime, rapide gli riempivano gli occhi quando
sentì l’odore di Buffy.
Era così chiaro, così forte…quasi come se non fosse accaduto niente.
Quasi come se si fosse voltato avrebbe potuto vederla.
Sospirò, guardandosi attorno nella stanza, mentre sentiva le voci
degli altri, quella di Spike bassa, che chiedeva a Faith dei suoi
sogni, e quella della ragazza che sembrava esitare prima di
rispondere.
“Angel?”
<Buffy?>
pensò per un istante.
Si voltò, sperando irrazionalmente di vedere la ragazza.
Non era Buffy…non avrebbe potuto esserlo.
Era Dawn, la piccola, Dawn.
Solo che…non era più una bambina.
Era cresciuta, lo poteva scorgere dalla maturità e dal dolore nelle
sue iridi chiare, dalla piega delle sue labbra.
“Dawnie?” disse lui a bassa voce.
Lei deglutì, avanzando di un passo verso di lui.
“Vengo qui di tanto in tanto…”
infilò le mani nelle tasche dei pantaloni scuri che indossava e
continuò:
“Sembra quasi che il tempo si sia fermato qui…Giles…e gli altri
invece, evitano questo posto…”
Angel annuì, mentre si avvicinava al divano e vi si lasciava cadere.
“Mi dispiace…”
Dawn scosse la testa.
“Non devi…non è stata colpa tua…non fate altro che prendervi la
responsabilità di quanto è avvenuto…”
Angel sollevò la testa. Sapeva che Dawn era la chiave, ne era stato
informato da Willow, quando gli aveva detto di Buffy.
Ne era stato sorpreso, infuriato, lacerato.
Eppure, in quel momento, non riuscì che a vedere la bambina che
aveva conosciuto anni prima. La sorellina di Buffy, che aveva amato
leggere e alla quale aveva insegnato a giocare a scacchi.
Dawn si sedette accanto a lui sul divano, e gli strinse una mano.
“Buffy vi prenderebbe tutti a calci se fosse qui, lo sai vero?
Cos’è, state facendo una gara a chi si sente più in colpa? Giles
pensa di essere stato uno schifo di osservatore, Willow e Xander
pensano che se si fossero mossi un istante prima, che se avessero
fatto qualcosa in modo diverso lei non sarebbe…”
la voce di Dawn si spezzò, la ragazza tossicchiò.
“E poi c’è Spike…”
“Spike?” Domandò Angel, ostentando indifferenza.
Dawn gli lanciò uno sguardo, ed in quel momento gli sembrò così
simile a Buffy, che dovette abbassare la testa.
“Sì, Angel! Spike…non hai fatto altro che guardarlo da quando sei
arrivato…”
“Sono sorpreso…” disse lui.
“Non sei l’unico, ci abbiamo messo tutti un po’ per renderci conto
che non era un suo trucco per guadagnare punti con Buffy…”
Angel sbatté gli occhi, incredulo.
Guadagnare punti con Buffy?
Spike aveva voluto guadagnare punti con Buffy?!
Spike?
La sensazione di essere finito in un universo parallelo, aumentò in
Angel, quando nei minuti successivi Dawn gli raccontò succintamente
degli avvenimenti degli ultimi mesi, a partire da quando Spike aveva
incatenato Buffy ad una parete della sua cripta, fino alla sera
della sua morte.
“Non aveva niente da guadagnare…” mormorò Dawn.
“Lo fece solo per Buffy…e per me.”
La ragazza fece un respiro profondo prima di continuare: “Era venuto
per salvarmi…in cima a quella torre…e quel…demone…”
“Dawn non devi…” l’interruppe Angel coprendole una mano con la sua.
La ragazza scosse la testa.
“No, invece….”
Si voltò a guardarlo.
“Quel demone…lo accoltellò alla schiena…prima di scaraventarlo giù…e
Spike mi guardò in quel momento.”
Le labbra della ragazza tremarono per un istante, e lei dovette
trarre un respiro profondo prima di continuare.
“Quella…è stata l’ultima volta che mi ha guardato fino a
stasera…lui…è convinto di aver causato la morte di Buffy, non
riuscendo a salvare me…quando…quando l’abbiamo trovata…”
Angel chiuse gli occhi.
Spike amava Buffy…
Spike amava Buffy…
“…e fu l’unico a crollare…l’unico a piangere…lui, un vampiro…”
Angel aprì piano gli occhi e guardò la ragazza, c’era dolore nei
suoi occhi, ma anche determinazione.
“Non ci sta imbrogliando…Angel. Avrebbe potuto andarsene, Buffy è
morta…ma è rimasto…e combatte ancora, giorno dopo giorno, con noi.”
Gli occhi di lei scavarono nei suoi quando aggiunse.
“Io ti voglio bene Angel…ma se …”
“Briciola?” la voce di Spike interruppe le parole di Dawn, ed Angel
si ritrovò a sussultare.
Non aveva sentito arrivare Spike, era stato così preso dalle parole
della ragazza, che non aveva sentito Spike.
“Sì?” rispose lei.
Spike si avvicinò al divano, e solo in quel momento Angel notò
quanto profondi fossero davvero i cambiamenti nel volto di lui.
“Giles junior vuole parlarti…”
“Giles junior?” domandarono all’unisono Dawn ed Angel.
Spike si strinse nelle spalle: “L’altro osservatore…deve farti
alcune domande…volevo rispondere io, ma…”
Sbuffò. “Ci sono cose che vuole sentire da te…”
Dawn annuì, e si rimise in piedi avviandosi poi fuori la stanza.
“Vuoi che…” cominciò Spike.
“Nah, so tenere a bada un’inglese…” commentò la ragazza con un mezzo
sorriso.
Ed Angel vide Spike ricambiare il sorriso della ragazza.
E gli sembrò quasi di sentire quanto Dawn non aveva fatto a tempo
dire.
Avrebbe protetto Spike, proprio come il vampiro proteggeva lei.
Angel fece per alzarsi quando Dawn lasciò la stanza, ma Spike lo
fermò dicendo: “So a cosa stai pensando, Angel…”
“Abbi pazienza, Spike ne dubito fortemente…” commentò Angel
incrociando le braccia contro il petto.
“L’ultima cosa che mi aspettavo di trovare venendo qui, era vedere
te, aiutare gli amici di Buffy…”
Angel tacque.
Perché faceva ancora così male pronunciare il suo nome?
Perché non aveva voglia di prendere a pugni Spike, solo per aver
osato pensare a Buffy?
“Hai presente quando ti dicevo che noi demoni non possiamo
cambiare?” domandò il vampiro a bassa voce.
Angel lo guardò sorpreso. Sembrava essere passato talmente tanto
tempo da quella notte alla scuola.
Sembrava tutto così lontano e senza importanza, ora.
“Mi sembra di ricordare qualcosa…” commentò Angel.
“Ero pieno di merda fino agli occhi, Angel.”
Si accese una sigaretta, e ripeté lentamente:
“Pieno…fino…agli…occhi”
“Dawn…” cominciò Angel.
Spike scosse la testa.
“Buffy mi ha chiesto di badare a lei, la notte che morì, ed io le
promisi di farlo, fino alla fine del mondo.”
Sorrise, ed il suo fu un sorriso molto amaro.
“Pensavo che sarei morto quella notte….ne ero sicuro….mai, nemmeno
per un secondo avevo pensato che sarebbe toccato a lei…”
scosse la testa, sorpreso quasi dalle sue parole.
“Ad ogni modo….sono qui per rimanere, Angel…nessuno, farà ancora del
male a Dawn…quindi mettiti l’anima in pace, amico…e smettila di
impalettarmi con lo sguardo.
Non ci saranno scherzi.”
Si avviò alla porta.
“Spike?” Domandò Angel.
Spike si fermò. Appoggiò le mani contro lo stipite della porta, ed
anche a quella distanza, Angel riuscì ad avvertire la stanchezza, il
dolore del vampiro più giovane.
“Cosa?” domandò Spike senza guardarlo.
“La riporteremo indietro….” Disse Angel.
Spike si voltò a guardarlo.
Il suo volto una maschera di serietà.
“Sai cosa penso della magia Angel: non mi piace, non mi è mai
piaciuta, ma ci proveremo…comunque vada non sarà peggio che doverla
seppellire. Ah, e sì…la amo ancora…ti conviene farci l’abitudine”
sulle sue labbra pallide apparve l’ombra di un sorriso.
“ tanto è il segreto peggio custodito di Sunnydale…”
Lo lasciò con quella frase, ed Angel lo seguì con lo sguardo, e
qualche istante dopo lo sentì prendere posto e cominciare a prendere
in giro bonariamente Giles e l’osservatore rispondere a tono alle
sue frasi.
Angel deglutì.
Spike amava Buffy.
Pensò che la cosa avrebbe dovuto farlo infuriare, cercò dentro di se
rabbia per quanto gli era stato detto, ma non ne trovò.
Non nei confronti di Spike, non per Buffy.
Buffy, che aveva chiesto a quello che era stato suo nemico giurato
di prendersi cura della sorella.
Buffy, che da quanto gli era stato detto, era morta per evitare che
Dawn sacrificasse la sua vita.
Buffy, che aveva affidato la cosa più cara della sua esistenza, al
demone che aveva provato ad ucciderla innumerevoli volte.
<Sei l’unica cosa folle nella mia folle vita che abbia senso>
Buffy aveva chiesto aiuto a Spike, era a lui che si era affidata.
<Sei l’unico…l’unica persona con cui possa parlare…>
Angel chiuse gli occhi, lasciando che l’odore di Buffy, che la sua
essenza, ancora così presente in quella stanza, potesse invadergli
le narici.
Avrebbe dovuto essere furioso, avrebbe dovuto sentirsi
ferito…eppure, sentì gratitudine nei confronti di Spike in quel
momento, e sollievo, per Buffy…e per se stesso.
Quel pensiero lo fece fermare, mentre piano si portava una mano in
petto.
Era finita?
Possibile che fosse finita?
“Ehi!”
La voce di Kate era roca, ed Angel si ritrovò a deglutire mentre le
si avvicinava.
Ripensò per un istante agli ultimi mesi, e a quanto la presenza di
Kate, il solo fatto di poterle parlare, fosse stato importante per
lui.
“Ehi…” ripeté a bassa voce Angel.
La donna sorrise debolmente: “Non sono una grande esperta di
magia…al contrario della metà delle persone nell’altra stanza,
Wesley e …Giles?”
Angel annuì, Kate infilò le mani nelle tasche dei jeans e disse:
“Beh stavano discutendo sull’esatta traduzione di un termine da un
libro scritto in babilonese…mentre la ragazza coi capelli rossi…”
“Willow…” si limitò a dire Angel.
Kate strinse le labbra prima di continuare: “Willow, ha preso da
parte Faith per parlarle…”
Angel sorrise debolmente.
“Non volevo lasciarti sola…”
“Lo so” mormorò lei.
“Immagino quanto possa essere dura per te, essere qui…”
Angel si lasciò andare ad un sospiro.
“Lo è. Ma non è solo questo…credevo non sarei riuscito a stare
qui…invece…”
“Invece non sei crollato…” terminò gentilmente Kate.
“Già…e non voglio impalettare Spike, nonostante mi abbia appena
confessato di amare Buffy….”
Angel la guardò stringendosi nelle spalle.
Fino a pochi mesi prima, Kate aveva saputo poco o niente della sua
vita. Era stata a conoscenza solo delle cose lette sui libri, cose
riguardanti l’epoca in cui non aveva avuto un’anima.
Forse per questo gli era riuscito più facile parlarle di Buffy, cosa
che non era riuscito a fare con i suoi amici.
Con le persone che l’avevano conosciuta.
Proprio come quando si era allontanato dai suoi amici quando aveva
voluto uccidere Darla e Drusilla, Kate era stato il suo unico legame
col mondo.
L’aveva ascoltato, per ore a volte, aveva ascoltato le sue parole…ed
i suoi silenzi…
Ed anche ora ascoltava il suo silenzio, Angel aveva come
l’impressione che capisse cosa gli si agitasse dentro, anche meglio
di lui.
E come sempre più spesso stava accadendo tra loro, non ci fu bisogno
di ulteriori parole, Kate gli si avvicinò, sorridendo, e gli
appoggiò una mano su un braccio, stringendo per qualche secondo.
Kate lo guardò, e nello sguardo chiaro di lei, Angel trovò
comprensione.
“Andiamo di là….” Disse lei infine.
Ed Angel non riuscì a spiegarsi il senso di vuoto che provò quando
lei distolse lo sguardo.
“Abbiamo ancora tanto da fare…”
Angel annuì, mentre piano la seguiva fuori la stanza.
< Nascondersi dietro un fantasma, è una brutta, brutta cosa…>
Improvvisamente, le parole pronunciate da Lorne, qualche ora prima,
stavano cominciando ad avere senso.
Non era sbagliato essere andati avanti.
Non era sbagliato amare Buffy in modo diverso.
***
Un matrimonio.
Sembrava una cosa senza senso, soprattutto in un mondo come quello.
Non era esattamente un matrimonio, non nel senso classico del
termine, ma agli occhi di tutti i presenti del rifugio ne aveva la
stessa valenza.
Rocko legò il nastro rosso di seta attorno alle dita intrecciate di
Pierce e Cathleen, pronunciando a bassa voce la formula del rito.
Tremava la mano di Pierce, mentre gli occhi dell’uomo erano fissi su
quelli della donna bionda.
C’era voluta un’abbondante opera di convincimento da parte di Buffy,
oltre che una ferita quasi mortale durante una ronda, per convincere
l’uomo a smettere di essere terrorizzato e baciare Cathleen, nel bel
mezzo dell’infermeria.
Ed ora, il primo matrimonio tra due dei superstiti all’apertura
della bocca dell’inferno stava avendo luogo.
Ed era lui a celebrarlo.
Lui.
Evitò accuratamente di incontrare lo sguardo di Buffy mentre
pronunciava le ultime parole.
Era diventato maledettamente bravo ad evitare lo sguardo della
ragazza.
Era diventato maledettamente bravo a dissimulare i suoi sentimenti.
Talmente bravo che in alcuni momenti arrivava quasi a credere che
l’amore che provava per lei, a dispetto di tutto fosse sfumato,
fosse scomparso.
Mentiva.
Lui…
Lui che stava legando quelle due persone per la vita con un rito
basato sull’onestà e la volontà di appartenersi completamente, senza
remore, senza menzogne.
Non era più difficile fingere, questo fino a quando non la spiava
mentre combatteva, o riposava.
O come in quel momento, mentre rideva.
E non ebbe neanche bisogno di guardare il suo sorriso, perché il
fiato gli si bloccasse in gola.
Conosceva quel sorriso.
Era arrivato a pensare di essere ancora vivo, di avere ancora voglia
di sopravvivere, dopo tanto tempo passato a combattere demoni, più
forti e più numerosi degli umani sopravvissuti, solo per quel
sorriso.
“E così sia fatto…”
sussurrò.
E il nastro rosso che aveva legato le mani di Pierce e Cathleen,
intrecciandole, si dissolse, in una nuvola profumata di fiori.
Silenzio calò nella sala, che per l’occasione era stata addobbata,
se pur artigianalmente dalle donne del rifugio con fiori di plastica
e festoni.
Sia Pierce che Cathleen tenevano ancora le mani intrecciate, mentre
continuavano a guardarsi.
“E allora?” esclamò qualcuno nella sala.
“Quando arriva la parte del: ‘puoi baciare la sposa ’ ?”
Si sentirono delle risate, e Rocko sorrise.
Sollevò leggermente la testa e sogghignò dicendo: “non c’è…è un rito
magico, Scott…”
“Stai scherzando vero?” esclamò Pierce, e Rocko dovette stringere i
denti quando sentì Buffy soffocare una risatina.
“Sì” fu l’unico laconico commento dell’uomo.
<non guardarla, non guardarla, non guardarla>
continuò a ripetersi, mentre Pierce, prendeva tra le braccia
Cathleen, sorprendendo tutti con un castissimo bacio sulla fronte.
Abbassò la testa, concentrandosi sui vari ingredienti per il rito, e
rimettendoli a posto.
Sentiva alcune persone avvicinarsi al tavolo dove erano già disposti
bicchieri con qualcosa che forse era champagne…anche se Rocko non
era pronto a metterci le mani sul fuoco.
Non voleva avvicinarsi agli altri, non voleva festeggiare.
Eppure, non poté fare a meno di sollevare la testa, e sorridere
quando sentì risate ed esclamazioni di gioia.
Erano momenti così rari, quelli. Accadeva così raramente che ci
fosse qualcosa per cui festeggiare, qualcosa che facesse dimenticare
loro anche solo per pochi istanti, la vita che facevano, l’orrore
che vedevano in superficie.
“Rocko?”
L’uomo si voltò alla sua destra, incontrando lo sguardo di Jeremiah,
il ragazzo stringeva due bicchieri tra le mani, e nei suoi occhi,
c’era un’espressione che lo inquietò.
“E’ champagne?” domandò lui indicando con lo sguardo uno dei
bicchieri.
Jeremiah scosse la testa, sorridendo.
“Champagne? Al matrimonio di Pierce? I ragazzi del terzo turno si
sono fatti quasi ammazzare da un branco di Gwharja per recuperare un
cartone di GuinnessTM!”
Rocko sorrise, accettando il bicchiere.
“Bella cerimonia” commentò il ragazzo e Rocko fu sorpreso dal tono
della sua voce.
Il suo sguardo cadde per un momento su Buffy, che stava abbracciando
Pierce in quel momento, bellissima, pur indossando solo un vecchio
paio di jeans sdruciti ed un maglione bianco.
“Grazie…” commentò distrattamente, senza nemmeno guardarlo.
“Ascolta…” cominciò Jeremiah, e per la prima volta da quando lo
conosceva, Rocko scorse esitazione nella sua voce.
Si voltò a guardarlo, e di nuovo, uno strano senso di inquietudine
lo riempì.
“Dimmi…” disse, e non fu sorpreso quando la sua voce suonò un po’
strozzata alle sue stesse orecchie.
Jeremiah trasse un respiro profondo.
“Si tratta delle pergamene dei Bataj…”
Rocko si fermò, col bicchiere a mezz’aria.
Guardò Jeremiah: le pergamene dei Bataj erano state praticamente
impossibili da tradurre fino a quel momento.
Avevano pensato inizialmente che fossero scritte in una lingua
demoniaca, ma se lo erano, non apparteneva a nessuna di quelle
conosciute dai demonologi che erano sopravvissuti all’apertura della
bocca dell’inferno, erano giunti alla conclusione che fossero in
codice, ma fino a quel momento, erano riusciti a decifrarne solo una
piccolissima parte, che si era rivelata incredibilmente utile nel
combattere i demoni.
“Ci sono novità?” Domandò.
“Puoi dirlo forte, amico! Da non crederci, mesi e mesi a cercare di
trovare il codice per tradurre quelle pergamene, e la soluzione era
elementare, una semplice sequenza di numeri et voilà!” Esclamò
Jeremiah sorseggiando un po’ di birra.
“Ad ogni modo, volevamo aspettare prima di parlartene, volevamo
essere sicuri…”
Rocko digrignò i denti, irritato dal tono della voce del ragazzo.
Che diavolo aspettava a dirgli le cose come stavano?
“Jeremiah? Vuoi passare alle pulizie, per i prossimi tre anni?”
domandò a bassa voce.
Sospirò quando il ragazzo aggrottò la fronte, stupito dalle sue
parole.
“Perdonami” mormorò.
“Non preoccuparti, sei l’unico qui che ancora doveva sclerare con
me…per inciso ho appena vinto tre giorni di docce calde…ma se le
cose vanno come descritto nelle pergamene, molto presto tutto questo
sarà finito…”
“Uh…aspetta…aspetta…credo di aver perso il filo alla parte
riguardante le docce…che vuol dire finito?” Domandò Rocko,
inconsciamente, recuperando gli occhiali dal taschino della camicia.
“Finito! Kaput! Adiòs demonios! Adieu...”
“Hai reso l’idea…” commentò Rocko a denti stretti.
“Giusto! Hai ragione!”
“Jeremiah, mi vuoi spiegare cosa avete trovato in quelle dannate
pergamene?” Esclamò Rocko.
Ancora non aveva alzato la voce, ma era pronto a prendere per il
collo il ragazzo, se non si fosse deciso a parlare.
“Un biglietto di sola andata per i demoni, amico…”
“Un rituale?” domandò Rocko.
Jeremiah si strinse nelle spalle.
“Già, non molto diverso da quello che ha creato tutto questo…”
“Cosa stiamo aspettando allora?” domandò Rocko.
“Dobbiamo dirlo agli altri…”
Jeremiah scosse la testa.
“Ci sono altre cose che devi sapere, prima…”
“Quali cose?” domandò Rocko.
“Cose che riguardano la tua cacciatrice…”
“Che vuoi dire?” domandò Rocko incredulo.
Jeremiah sospirò.
“E’ lei la causa di tutto, Rocko…e solo lei può far fermare tutto”
Rocko dischiuse le labbra, troppo stupito per fare o dire qualsiasi
cosa.
Com’era possibile?
Com’era possibile che fosse stata Buffy a provocare quell’inferno?
Proprio la donna che amava.
La cacciatrice, la ragazza che aveva ficcato nella testaccia dura di
Pierce che la vita che facevano non permetteva loro esitazioni.
Jeremiah si avvicinò di un passo a lui, ma Rocko sollevò un braccio
fermandolo, mentre attorno a lui si continuava a festeggiare il
matrimonio di Cathleen e Pierce, e sentiva musica.
Sembrava tutto distante.
Come un’eco lontana.
Jeremiah fece per parlare, ma s’interruppe, e lo sguardo del ragazzo
cadde alle sue spalle. Rocko si voltò, solo per incontrare il volto
sorridente di Buffy.
“Tregua?” domandò lei a bassa voce.
Rocko rimase immobile, mentre sentiva il cuore battergli
disperatamente in petto.
E la gola gli bruciava.
La pelle gli bruciava.
Rocko annuì piano, forzando un sorriso sulle sue labbra.
Inclinò leggermente la testa, “Ti va di ballare?” domandò.
Buffy sembrava sorpresa dalle sue parole, ma annuì, allungando una
mano verso di lui.
Rocko la prese, stringendola forte nella sua, si voltò verso
Jeremiah, che lo guardava sorridendo debolmente.
“Continueremo dopo il discorso, nel frattempo voglio che
controlliate!”
Non udì la risposta di Jeremiah, né vide il suo volto, il suo
sguardo si fissò su Buffy.
E bevve dai suoi occhi.
Si nutrì del suo sorriso.
Della sua pelle.
Lasciò che una sua mano le circondasse la vita e la strinse a se,
mentre cominciavano piano a ballare.
** If I'm not in love with you
What is this I'm going through
Tonight
And if my heart is lying then
What should I believe in
Why do I go crazy
Every time I think about you, baby **
Sentì il respiro di Buffy, caldo, contro il suo torace, e chiuse gli
occhi, mentre le sue labbra andavano a sfiorarle i capelli.
** Why else do I want you like I do
If I'm not in love with you **
Era caldo il corpo di Buffy contro il suo, e Rocko chiuse gli occhi,
mentre per un istante lasciò che le responsabilità, il futuro non
avessero importanza.
Per un istante anche il fatto che Buffy fosse innamorata di un
vampiro…un vampiro identico a lui non ebbe importanza.
** And if I don't need your touch
Why do I miss you so much
Tonight
If it's just infatuation then
Why is my heart aching
To hold you forever **
Era lì, con lei, e lei si aggrappava disperatamente a lui.
Quasi come se sentisse, avvertisse cosa stava accadendo.
“Io ti amo…” sussurrò.
Non seppe se lei l’avesse sentito, non seppe nemmeno se avesse
pronunciato davvero quelle parole, o se le avesse solo pensate.
Non gli importò.
Lei poteva aver provocato la distruzione del suo mondo.
Lei avrebbe potuto riportare le cose alla normalità.
Ma non in quel momento.
Non quella sera.
Non tra le sue braccia.
***
~ “Io ti amo”
La voce di lui era poco più che un sussurro, sarebbe stato facile
perderlo, confuso com’era dalla musica, dalle voci delle persone.
Ma non era così.
Il suo cuore sanguinava in quella stanza illuminata da centinaia di
candele.
E le braccia di lui erano così forti.
Avrebbe voluto che curasse anche quelle ferite.
Quelle che si portava dentro.
Ma non aveva il coraggio di chiederglielo.
Non aveva neanche il coraggio di parlare.
Voleva solo stringersi a lui.
Sentire il battito frenetico del suo cuore, e provare ad immaginare
come sarebbe stato…
Strofinò il viso contro la stoffa della camicia di lui
** Give a part of me I thought I'd never
Give again to someone I could lose
If I'm not in love with you **
Sentiva panico nascerle dentro, stringerle il cuore e le viscere
fino a farla rimanere senza fiato, eppure non poteva muoversi.
Non doveva muoversi.
Glielo doveva.
Sentiva le dita di lui accarezzarle i capelli, e la paura di lui,
attraverso la pelle.
Sollevò piano la testa.
Dio, com’erano azzurri i suoi occhi.
Com’erano trasparenti.
Com’era facile perdersi in essi.
** Why in every fantasy
Do I feel your arms embracing me
Lovers lost in sweet desire
Why in dreams do I surrender
Lying with you baby
Someone help explain this feeling
Someone tell me **
Lo era stato anche con…
<No…non pronunciare il suo nome…non con lui qui…>
“Che succede?” Domandò.
Perché parlare era così difficile in quel momento?
Lo aveva letto nel suo sguardo, nel suo corpo.
Stava succedendo qualcosa.
Lui scosse la testa.
Le stava mentendo.
Non le aveva mai mentito.
Era sempre stato onesto…
Come …
<No!>
“Vai a riposare…” mormorò lui.
“Ma sono di turno…”
Combattimenti.
Demoni che erano tanto forti da farla piangere di dolore.
Poteva farlo…
Era la cacciatrice…
Era la sua missione…
Di nuovo lui scosse la testa.
“E’ un giorno di festa”
Di nuovo stava mentendole.
Non c’era allegria nel suo sguardo.
C’era dolore, ed incredulità.
“Un giorno di riposo non farà molta differenza…”
continuò lui e la sua voce era così dura.
Così diversa rispetto a pochi istanti prima.
Le aveva detto che la amava.
E lei avrebbe voluto amarlo.
Con tutto il cuore.
Ma il suo cuore apparteneva ad un altro..
…ed aveva cercato di non amarlo….
Fino all’ultimo, aveva impedito a se stessa di farlo.
Cosa stava accadendo?
“Cosa ti ha detto Jeremiah?”
Domandò.
Lui arretrò di un passo, e la presa gentile di un suo braccio
attorno alla vita si allentò.
“Non ha importanza…”
“Rocko…cosa?”
Lui strinse le mascelle.
“Lascia stare…”
scosse la testa e si allontanò da lei, avviandosi all’uscita della
sala.
No.
Lui non fuggiva.
Non lo aveva mai fatto…
Cosa stava accadendo?
Si guardò attorno per un secondo, prima di seguirlo.
Sentiva i suoi passi, mentre le ombre create dalle fiamme delle
torce poste sulle parete, danzavano.
E c’era silenzio.
Così tanto silenzio, rotto solo dal suo respiro e dai suoi passi.
La porta della libreria, era socchiusa.
Sapeva che lui era lì.
Ed infatti lo vide subito, appoggiato ad una scrivania, stringeva le
mani sui bordi di essa.
Ansimava.
“Cosa sta succedendo?
Credevo che fuggire fosse la mia specialità…”
Lui voltò la testa per guardarla.
“La notte che ti trovai…eri nuda…”
Disse lentamente.
“Non me l’avevi mai detto…”
sussurrò.
“Non ricordo quanto tempo era passato dall’apertura della bocca
dell’inferno…piovesti dal cielo…letteralmente…questo…non l’ho mai
detto a nessuno…”
si avvicinò a lei, piano.
E lei indietreggiò.
Ed ebbe paura dello sguardo nei suoi occhi.
“Forse avrei dovuto farlo…” sussurrò.
E c’erano rimorsi nella sua voce.
Dolore.
E lei ne era la causa.
“Non capisco…”
Era la verità. Non capiva.
Ed improvvisamente non era sicura di volerlo fare.
“Sei tu…”
mormorò lui piano.
E la sua voce era come quella notte…
Quando aveva parlato del sangue…
Che doveva sempre essere sangue…
Il sangue di Dawn avrebbe aperto il varco tra le dimensioni…
“No…”
quelle parole le vennero fuori come un sussurro strozzato.
Il sangue.
Era sempre il sangue..
Abbassò la testa, portandosi una mano alla gola.
Perché faceva così male respirare?
Aveva pensato di fare la cosa giusta.
“Per favore no…per favore no…”
La sua voce si ruppe in un singhiozzo.
Sentì una mano di Rocko posarsi, esitante su una sua spalla.
“Mi dispiace…” soffiò lei.
“mi dispiace…”
Sollevò la testa.
C’era dolore nei suoi occhi.
Ma non c’erano lacrime.
Una volta le aveva detto che piangere per la fine del mondo era
inutile.
Ma lui non aveva causato la fine del mondo…
Lei sì…
Lei aveva distrutto il mondo…~
Faith spalancò gli occhi, sollevandosi sui gomiti per respirare.
Dov’era?
Si guardò attorno, cercando di abituarsi all’oscurità di quella
stanza.
“La mansione…” soffiò.
Si lasciò cadere, affondando la testa nel cuscino.
Perché aveva accettato di andare alla mansione? Perché proprio quel
posto?
Dove aveva sfiorato la salvezza.
Dove aveva mentito, ingannato.
Dove aveva provato a riportare indietro Angelus.
Dove aveva colpito Buffy e le aveva vomitato addosso il suo odio, e
l’oscurità dentro di se aveva riso e gioito di un piacere denso,
intossicante.
Eppure Angel l’aveva guardata.
Le aveva chiesto se per lei andava bene.
E cos’altro avrebbe dovuto dirgli?
<No, non andiamo alla mansione perché è lì che ho incasinato tutto?>
Sospirò, passandosi una mano sul volto.
Si strinse nelle spalle, ripensando al suo sogno.
Buffy…soffriva…ed era causa di sofferenza.
E quello non era il suo posto.
“Dannazione!” strinse i denti, rimettendosi in piedi.
Dopo più di un anno passato tra quattro mura, aveva quasi paura
degli spazi troppo larghi…
E del silenzio.
Angel durante una delle sue visite le aveva detto che per quelli
come loro, non esisteva vero silenzio.
Mentre si guardava attorno in quella stanza troppo grande, non poté
fare a meno di dare ragione al vampiro.
Rabbrividì, e si scoprì a massaggiarsi le braccia per scacciare la
pelle d’oca.
< e tu mi farai sapere nel caso dovessero esserci altri sogni?>
Faith deglutì, mentre si stringeva attorno al corpo, il copriletto.
Gettò un’occhiata agli abiti che erano gettati su una sedia.
Erano gli abiti che aveva avuto indosso quel giorno: la divisa della
prigione, se l’era tolta prima di andare a dormire, indossando una
t-shirt che Cordelia le aveva prestato.
Mentre usciva dalla stanza, pensò per un istante alla ragazza: era
evidente che non accettava la sua presenza, e che non aveva
dimenticato quanto era avvenuto quella notte nel suo appartamento.
Si massaggiò un gomito, mentre si guardava attorno nel grande salone
della mansione.
Le sembrava quasi di poter vedere se stessa ed Angel sul pavimento.
Le sembrava quasi di sentire le labbra del vampiro contro le sue.
Come aveva fatto a non capire che quella era stata una finzione?
Era stata tanto accecata da odio ed invidia dal non vedere?
“Probabilmente sì…” disse ad alta voce.
“Non è un bene parlare da soli…”
Faith sussultò quando udì la voce di Wesley, proveniva dal giardino.
Si avvicinò di qualche passo, stringendosi contro il corpo il
copriletto.
L’uomo era seduto a terra, le spalle appoggiate contro un muretto,
stringeva gli occhiali tra le mani.
E la guardava.
“Il guaio è quando cominci anche a risponderti…” disse.
Wesley sorrise, e Faith si ritrovò ad imitarlo.
“Non riuscivi a dormire?” domandò poi, avvicinandoglisi e sedendosi
accanto a lui.
Per un istante temette che lui si sarebbe ritratto, ma lui non lo
fece. Si limitò a guardarla per un istante prima di mormorare:
“Troppi pensieri…”
“Stiamo per portare indietro Buffy…credo sia normale…” azzardò lei.
Eppure, sapeva, sentiva che non era quello il motivo: lo leggeva nei
suoi occhi, e si sorprese di esserne in grado.
Si domandò se anche lui riuscisse a farlo.
Wesley scosse la testa.
“Non stavo pensando a quello…ma tu?”
Faith si strinse nelle spalle.
“Ti stavo cercando” disse.
“Ho sognato Buffy…”
Wesley infilò gli occhiali e la guardò.
“Cosa accadeva?”
“Non combatteva…ma soffriva…lei, lei…crede di essere responsabile
per quanto è avvenuto nella dimensione dov’è finita…”
“Responsabile?” domandò Wesley.
“Era qualcosa riguardante sangue…il suo sangue…non so dirti altro…”
Non gli disse di Rocko, né dei sentimenti che Buffy provava per lui,
così simile a Spike, eppure così diverso.
Non sarebbe servito a riportare indietro Buffy…
“Il sangue?” domandò Wesley.
Aggrottò la fronte per un istante.
“Credo che abbia a che fare con quanto è avvenuto su quella Torre.
Certo, ci aiuterebbe sapere dov’è finita esattamente…”
“Beh…Willow mi ha proposito un incantesimo…Dio, non avrei mai
pensato che ci sarebbe stato un giorno in cui avremmo parlato senza
che fossero coinvolti coltelli o minacce di morte…”
Strinse i denti quando vide Wesley abbassare la testa.
“Si può sempre contare su di me per rallegrare l’atmosfera…”
commentò.
Wesley sollevò la testa e la guardò e Faith si ritrovò ad affondare
le dita nella stoffa del copriletto, quando l’uomo sorrise.
Non l’aveva mai visto sorridere, non in quel modo, non con tanta
dolcezza e comprensione.
L’uomo sembrò esitare per un istante prima di parlare, e quando lo
fece la sua voce fu molto bassa.
“Stavo pensando prima, che Angel era quasi riuscito a salvarti
quella notte…e sai perché non ci riuscì?”
Wesley deglutì e sulle sue labbra si disegnò un sorriso amaro.
Un sorriso che fece male a Faith.
“Perché ero un’idiota. Un’idiota geloso.”
Faith sollevò una gamba, portandosela contro il petto.
“di Giles?” domandò.
Wesley annuì.
“Era il suo osservatore Faith. Quentin Travers mi aveva avvertito
del loro legame. Ma io, Wesley Wyndam Pryce volevo, *dovevo*
dimostrare di essere l’osservatore perfetto.
Dio…”
L’uomo scosse la testa.
“E nel fare questo, ho sacrificato te…”
Faith si passò una mano tra i capelli.
“Beh…direi che il piatto della bilancia pende decisamente dalla mia
parte, no?
Ho mentito a tutti, fatto la spia per il sindaco, ho provato a
riportare Angelus nelle vite di tutti…ho provato ad uccidere Angel…”
Faith si morse il labbro inferiore prima di mormorare.
“E poi, pur di non dare la soddisfazione a Buffy…pensai bene di
farmi un volo dal terrazzo dell’appartamento che il sindaco Wilkins
mi aveva donato…”
sospirò.
“Anche la mia era gelosia…solo che c’è una differenza tra noi…”
Wesley la guardò.
E Faith si ritrovò a deglutire convulsamente prima di dire: “Tu non
mi hai torturato…”
Wesley distolse lo sguardo.
E Faith chiuse gli occhi.
Perché era così difficile chiedergli scusa?
Perché aveva paura del suo perdono, almeno quanto temeva di non
ottenerlo?
E perché il cuore le batteva così forte in petto, al punto di essere
certa che tutti i vampiri di Sunnydale potessero sentirlo?
“Perdonami…” sussurrò.
E la sua voce fu poco più che un sussurro.
Così diversa dal tono arrogante usato in quella stessa casa, tre
anni prima.
Così diversa dalle urla disperate che avevano accompagnato la sua
richiesta d’aiuto ad Angel.
“Ti prego…” aggiunse con voce tremante.
E tutto il suo corpo tremava.
La sua anima tremava.
Sbatté ripetutamente le palpebre per scacciare le lacrime.
Non poteva piangere, non di fronte a Wesley.
Eppure, non riuscì ad impedire ad un singhiozzo di sfuggirle dalle
labbra.
Nascose il volto tra le mani, mentre lacrime le inondavano il volto
ed il palato le si riempiva del sapore salino di esse.
“Ti prego” ripeté e la sua voce era strozzata.
Continuava a tremare, tanto che quasi non sentì all’inizio, la mano
di Wesley sfiorarle i capelli.
“Faith…” sussurrò l’uomo
La ragazza sollevò piano la testa, incontrando lo sguardo di Wesley.
Deglutì, mentre nuove lacrime le riempivano gli occhi.
Non stava parlando Wesley, eppure nel suo sguardo Faith scorse
perdono. La mano di Wesley scese a sfiorarle una spalla, e Faith
senza pensare prese la mano dell’uomo in una sua, stringendola.
“E’ passato” disse l’uomo.
Faith scosse debolmente la testa.
No.
Non era passato.
Non sarebbe mai passato, ma forse, avrebbe cominciato a fare meno
male.
Avrebbe potuto convivere con quel dolore.
Wesley, le circondò le spalle con un braccio, stringendola a se,
senza parlare, mentre Faith chiudeva gli occhi, stringendo l’altra
mano dell’uomo nelle sue.
Appoggiò la testa contro la spalla dell’uomo.
Il battito del cuore di lui era rassicurante, come il suo odore.
Come le certezze che gli aveva letto negli occhi.
Sì, avrebbe potuto convivere con quel dolore.
Se lui le fosse rimasto accanto, come in quel momento.
Faith si strinse a Wesley, mentre l’uomo le sfiorava i capelli con
le dita, domandandosi quando si fosse sentita così in pace.
Un piccolo sorriso le increspò le labbra, mentre il sonno la
reclamava.
Mai.
Non si era mai sentita così in pace.
***
Aveva pianto Dawn, prima di addormentarsi.
Non lo si vedeva dal suo volto, semi nascosto dal cuscino e dai suoi
lunghi capelli.
Eppure lo aveva fatto.
Spike lo sapeva, lo intuiva: il modo in cui stringeva un pugno
chiuso contro il petto, il modo in cui le lenzuola la coprivano.
Si nascondeva Dawn.
Nascondeva il suo dolore, quando diventava troppo forte.
Doveva aver pianto molto, prima di addormentarsi, almeno a giudicare
dal pallore del suo volto, che il vampiro scorse, quando la ragazza
si mosse nel sonno.
La prospettiva di riportare indietro Buffy, unita alla visita di
Angel, dovevano essere stati difficili per lei.
Eppure Dawn, ancora una volta l’aveva stupito con la sua forza.
Aveva risposto a tutte le domande di Wesley, dalla prima all’ultima,
senza esitazioni.
Ed aveva fatto a sua volta domande.
Aveva chiesto se pensava che Buffy stesse soffrendo.
Ed aveva udito le risposte di Wesley.
Le aveva accettate.
Spike deglutì, facendo un passo verso il letto della ragazza.
Aveva giurato a Buffy che avrebbe protetto Dawn, ma se doveva essere
onesto, non aveva saputo come proteggerla dal dolore.
Riusciva a stento a tenere a bada il proprio, di dolore.
Era riuscito a stento a funzionare, nei primissimi giorni dopo la
morte di Buffy, e se si era rimesso in piedi, se aveva ricominciato
a combattere, lo aveva fatto solo per Buffy.
Per la promessa che le aveva fatto.
E per Dawn.
Perché che gli piacesse o meno, quella ragazzina gli era entrata nel
cuore, e si sarebbe fatto impalettare pur di impedire che le fosse
fatto di nuovo del male.
Aveva giurato a se stesso che non ci sarebbe stata un’altra Glory,
nella vita di quella ragazza.
Non ci sarebbe stata una Glory nella vita di nessuno di loro.
Mai più.
Eppure, non era riuscito a starle accanto.
Non era riuscito a sopportare le sue lacrime, il suo dolore.
Ed anche in quel momento, avrebbe preferito andarsene. Avrebbe
preferito di gran lunga combattere demoni.
Sapeva come fare.
Affondò le mani nelle tasche dello spolverino, mentre guardava Dawn.
Non aveva letto accuse negli occhi chiari di lei.
Ed era stata lei, ad andare da lui.
Guardò per un istante oltre la finestra.
Lì fuori, demoni e vampiri cercavano le loro prede.
Tornò a guardare la ragazza, che affondava il volto nel cuscino.
Il suo respiro tornato normale, mentre cominciava a sognare.
Sperava che i suoi sogni fossero tranquilli.
Sperava che quanto si accingevano a fare, non si rivoltasse contro
di loro.
Contro di lei.
Allungò un braccio, e si chinò leggermente in avanti, per
accarezzare i capelli della ragazza.
Sorrise, anche se era un sorriso che gli faceva male.
Guardò di nuovo oltre la finestra, aveva ancora qualche ora per la
ronda, prima del sorgere del sole.
Lasciò scivolare tra le dita una ciocca di capelli della ragazza e
si allontanò.
Si appoggiò contro la porta guardandola ancora per un secondo mentre
sussurrava:
“Non ti farò più del male briciola…”
Si chiuse la porta dietro le spalle, solo per sentire un sospiro
provenire da dietro la porta
“Non mi hai mai fatto del male, Spike…”
mormorò lei.
Spike sospirò, mentre il suo sguardo si posava per un istante sulla
porta chiusa della camera di Buffy.
<Devo farti vedere una cosa…>
Deglutì, quando sentì Dawn sospirare di nuovo.
Non le aveva fatto del male?
Si avviò piano alle scale, mentre le dita scorsero sul legno della
porta della camera di Buffy.
<Sei nuda lì sotto?
Oh, per favore! Come se mi importasse!>
E allora perché si sentiva come se lo avesse fatto?
Perché si sentiva così dannatamente in colpa?
Strinse i denti mentre scendeva piano le scale.
Era un demone, non avrebbe dovuto sentirsi in colpa.
Quella era una prerogativa per esseri come Angel.
Esseri che avevano una coscienza.
Un’anima da perdere.
Una donna che li amava.
Si fermò vicino la porta, chiudendo gli occhi per un istante.
I sensi tesi, tanto tesi che la sua pelle sembrava tirarsi.
Afferrò la maniglia, sorpreso quando il metallo non gli si piegò tra
le dita, tanto forte era la sua stretta su di essa.
<Entra Spike…
Presto, nessuna barriera.>
Demoni.
Pensò, mentre usciva dall’appartamento di Buffy.
Aveva bisogno di uccidere demoni.
Aveva bisogno di sangue, e violenza, e urla, e del luccichio della
spada nella notte, del conforto del legno dei paletti tra le dita.
Aveva bisogno di fare qualcosa.
Aveva bisogno di…
Aveva bisogno di vedere la tomba di Buffy.
E dirle quanto fosse difficile.
Quanto stesse fallendo, ancora.
Come quella notte.
<Conto su di te, Spike…
Conto su di te, Spike…
Conto su di te, Spike…>
Il vampiro si fermò.
Sentendosi senza fiato.
Altra contraddizione per un vampiro.
Un non morto.
Si guardò attorno, intravedendo l’ingresso del cimitero.
Era ora di combattere.
Per dimenticare…anche solo per pochi istanti.
E sperare…sperare che la follia che si accingevano a compiere non li
consumasse.
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