Pieces of you

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Sunnydale, Agosto 2001

“Ne sei sicura?” domandò Wesley guardando Faith. Dopo che Willow aveva lasciato l’appartamento di Giles, la cacciatrice, aveva accennato a qualcosa, prima di perdere i sensi.

Wesley era rimasto stupito dall’accaduto, aveva intuito la potenza dell’incantesimo attuato da Willow, aveva sentito la forza di esso, mentre le due ragazze erano state in silenzio ad occhi chiusi, ed i minuti erano sembrati scorrere lenti come ore, per Wesley, mentre guardava la sua cacciatrice.

Sua.

Non sapeva quando la sua mente aveva cominciato a considerare Faith sua, forse la notte precedente, quando gli si era addormentata tra le braccia, col volto ancora bagnato di lacrime, dopo avergli chiesto perdono.

Forse quando l’aveva vista in prigione pochi giorni prima ed il suo sorriso era stato quello di una ragazza, mentre lo sguardo nei suoi occhi, gli aveva ricordato quello antico, dolorosamente saggio di Angel.

A conti fatti, non gli interessava nemmeno saperlo, l’unica cosa che gli interessava, che batteva forte insieme al suo cuore, era quella certezza…ed i sentimenti che si stava scoprendo a provare per la ragazza, che lo guardava ora, pallida ad occhi sgranati, stesa sul letto di Giles, dove l’aveva adagiata, quando aveva perso i sensi.

“Oh, sì…” mormorò la ragazza. “la rossa ha qualcosa dentro…fossi in te avviserei la banda, potrebbe rivelare qualche sorpresa…”

“Pensi che possa interferire con l’incantesimo?” Domandò Wesley.

Faith si strinse nelle spalle: “E che ne so?” domandò infine. Si puntellò sui gomiti, per sollevarsi appoggiandosi poi contro la spalliera del letto. “Quello che so, è che eravamo in quel cazzo di vicolo…e c’era qualcosa di oscuro, e proveniva da lei, Wesley…l’ho letto anche nei tuoi occhi…”

L’uomo ammiccò sorpreso, era seduto ai piedi del letto, le mani appoggiate sulle cosce, e pensò di dover sembrare un’idiota…per quanto avesse aperto la bocca.

Faith sorrise, ma l’uomo intuì che non era un sorriso di scherno, sembrava anzi imbarazzata da quanto aveva appena detto.

“Io?” domandò Wesley, scotendo la testa.

Faith si abbracciò le ginocchia, portandosele al petto ed abbassò leggermente la testa mentre diceva: “C’eri anche tu…lì dove diavolo eravamo finite…”

“Nella tua mente? Ero nella tua mente?” domandò Wesley sorpreso.

No…non era sorpreso, era letteralmente basito.

Faith dovette rendersene conto, perché scrollò le spalle dicendo: “Beh non farla tanto lunga, eri nella mia mente…” il suo tono perse di durezza però quando continuò: “Eri il mio inconscio…”

“P...perché?” domandò piano l’uomo.

Faith sospirò, ma non disse niente all’inizio, abbassò la testa.

“Faith?” domandò piano l’uomo.

La ragazza sollevò leggermente la testa. “Perché mi sento al sicuro con te…perché mi hai perdonato…e mi hai ascoltata, dal primo momento, quando invece avresti potuto sbattermi il telefono in faccia…”

Wesley deglutì, distogliendo lo sguardo da quello velato di lacrime di Faith. Un anno e mezzo prima, non aveva nemmeno creduto possibile che quella ragazza potesse piangere, che fosse in grado di provare qualcosa oltre che odio…e in seguito rimorsi.

Gli occhi scuri di Faith erano pieni di lacrime, invece, e la sua voce incrinata.

Lei…lo aveva voluto nella sua mente.
Lei…aveva dormito tra le sue braccia, e gli aveva sorriso.

L’uomo sospirò, imitato subito da Faith che disse: “Lo so, non ho il diritto di dire queste cose…”

Wesley sorrise sollevando la testa per guardarla: “Quali cose?” domandò piano.

Faith scrollò leggermente il capo, un’espressione confusa sul suo volto pallido.

“Il fatto che fossi nella tua mente? Il fatto che ti senta al sicuro con me?” Wesley abbassò la testa. “Io sono…onorato…”

Sentì la ragazza muoversi, dietro di lui, ma lo stesso non poté trattenersi dal sussultare quando lei gli appoggiò una mano su una spalla. Sollevò la testa incontrando gli occhi scuri di Faith, sorrideva leggermente ora, sebbene fosse ancora visibile sulle sue guance la scia delle lacrime che aveva versato.

“Il che per un inglese equivale a…?” domandò la ragazza, c’era una nota divertita nella sua voce.

Ed il sorriso di Wesley si allargò, al pari di quello di Faith.

L’uomo sollevò una mano, per coprire quella di Faith che era ancora sulla sua spalla. La pelle della cacciatrice era fredda, e morbida…così incredibilmente morbida.

Strinse forte la mano della ragazza, mentre la guardava.

Quando era cambiato tutto? Quando aveva smesso di vedere Faith come la rappresentazione vivente del suo fallimento, come il volto che turbava i suoi incubi? Quando aveva cominciato a notare la bellezza del suo volto, dei suoi occhi scuri, nelle cui profondità riusciva in quel momento a leggere pace, delle pallide efelidi sul suo naso, della pienezza delle sue labbra, e del corpo, che sentiva premuto contro il suo?

Non lo sapeva. Non voleva saperlo.

L’unica cosa della quale era certo in quel momento, era che se non si fosse allontanato, avrebbe finito col baciare quella ragazza.

E probabilmente lei gli avrebbe fracassato i denti uno per uno.
O forse avrebbe riso di lui…e del come avesse frainteso le sue parole.
O lo avrebbe compatito.

La sua mente continuava a pensare a quanto in fretta dovesse allontanarsi da lei, eppure, il suo corpo, sembrava non ascoltare quei moniti.

Riusciva a vedere il volto di Faith vicino, sempre più vicino, quasi come se si fosse mosso.
Lo aveva fatto…o era stata lei a farlo?

La sua mente gli urlava di alzarsi dal letto, di andare al piano di sotto, anche quando le sue labbra sfiorarono quelle della ragazza.
O fu lei a sfiorare le sue?

I suoi pensieri sembrarono evaporare, lasciando solo le sensazioni che parvero riempire il suo intero essere, ogni fibra, ogni molecola di esso quando sentì le labbra della ragazza schiudersi, ed i suoi capelli solleticargli un braccio.

C’era passione nei gesti di Faith, nel modo in cui una sua mano gli scorreva tra i capelli, nel modo in cui rispondeva al suo bacio. C’era fuoco nel suo corpo, sebbene la sua pelle fosse ancora fredda, ed esitazione.

Fu lui ad allontanarsi per primo, e fu sorpreso quando vide, paura negli occhi della cacciatrice.
Paura…e riconobbe immediatamente il timore che oscurava lo sguardo della cacciatrice, un sentimento quello che conosceva bene.
Era la paura di un rifiuto a dilatare leggermente le pupille della ragazza che era accanto a lui. La paura di essere cacciata, ed umiliata.
La ragazza si ritrasse leggermente infatti, e Wesley ebbe l’impressione di poter quasi vedere lo scudo di strafottenza innalzarsi tutt’attorno a lei.

“Faith…” disse lui piano.

La ragazza scrollò le spalle, e fece per lasciare il letto, mentre Wesley ancora seduto ai piedi di esso la osservava: osservava quanto i suoi movimenti fossero divenuti improvvisamente duri, così come il suo sguardo.

“Faith?” ripeté l’uomo, seguendola con lo sguardo mentre lei raccoglieva i lunghi capelli in una debole coda di cavallo.

“Cosa?” esplose finalmente lei. E la sua voce era piena di rabbia…eppure, ancora, Wesley riusciva ad avvertire paura.

“Ascoltami per un istante, per favore…” mormorò lui.

“Non c’è niente che io debba ascoltare, come sempre nella vita di Faith Dazzle, le cose vanno a puttane…non è la prima volta e non sarà l’ultima…” la ragazza lo guardò per un istante, prima di scuotere la testa ed avviarsi alle scale.

Wesley strinse i denti prima di alzarsi e seguirla. “Non hai capito niente!” le urlò dietro.

Faith si fermò su uno dei gradini, si voltò lentamente, un sorriso amaro che le increspava le labbra: “Oh, no…no…posso essere un’idiota su un mucchio di cose…ma conosco gli uomini….tu avevi una paura fottuta di me, Wesley…cos’è temevi che ripetessi la nostra seratina di due anni fa?” la cacciatrice ansimava leggermente, e trasalì, quando Wesley scese piano un gradino.

L’uomo scosse la testa. “Non era quello che temevo…”

Sul volto della ragazza si dipinse un’espressione confusa, inclinò leggermente la testa di lato e piano salì un gradino. “E allora cosa? Cosa temevi?”

Wesley la guardò, le parole che sgorgarono dalle sue labbra prima che potesse fermarle: “Me…temevo me stesso…se non avessi smesso di baciarti, non sarei più riuscito a lasciarti andare, non vorrei più farlo”

Faith deglutì, mentre Wesley continuava: “Non ho paura della tua forza e non ho paura che tu possa farmi del male”

Faith avanzò di un passo, accorciando la distanza tra loro. “Non capisco” mormorò lei “perché?”

“Te l’ho detto” rispose Wesley, accennando un sorriso: “Se avessimo continuato…non sarei più stato in grado di lasciarti andare…”

L’uomo dovette chiudere gli occhi quando Faith gli fu di fronte, i grandi occhi scuri, nuovamente colmi di lacrime.

“E…e sarebbe un male?” Domandò lei con un filo di voce.

Wesley sussultò leggermente, aprendo gli occhi di scatto, quando sentì una mano della ragazza poggiarlesi sul torace, delicata, incapace di resistere alla tentazione, sollevò una mano, stringendo quella della ragazza nella sua.

“Sarebbe un male?” ripeté Faith, chiudendo la distanza tra loro.

“Non lo so” ammise Wesley dopo qualche istante.

Faith sorrise debolmente. “Non…ho…mai provato quello che provo ora. Forse è il trip nel paese delle meraviglie nel mio cervello…o aver sentito il dolore di B., ma so una cosa Wesley…” la mano della ragazza risalì fino a sfiorargli il volto e Wesley deglutì leggermente, cercando di ignorare i fremiti di piacere che gli attraversavano il corpo.

“C…cosa?” si ritrovò a domandare.

“Che voglio smettere di aver paura…e che voglio baciarti…ancora” la ragazza si sollevò leggermente sulle punte e gli sfiorò le labbra con le sue “ed ancora…” soffiò, prima di tornare a coprire la bocca con la sua.

Wesley sentì Faith cingergli il collo con un braccio, ed il suo corpo vicino…così vicino al suo.

Chiuse gli occhi, mentre sentiva di star perdendo una battaglia le cui sorti erano state in realtà già decise in partenza: voleva Faith.

Voleva continuare a sentire il corpo della ragazza premuto contro il suo, la sua passione, il suo dolore.
Mentre la prendeva tra le braccia, ricambiando il suo bacio, e piano ritornava nella camera da letto di Giles, realizzò, senza stupore un’altra verità.

Amava Faith.

***

Buffy Anne Summers.
1981 ~ 2001
Amata Sorella
Amica Devota
Ha salvato il mondo.
Tanto.

Quante volte aveva letto quelle frasi negli ultimi mesi? Ad ogni crepuscolo…ad ogni alba che era seguita al funerale.

In ogni incubo. Nei momenti in cui sembrava che il dolore stesse diventando sopportabile, quelle parole gli tornavano in mente.

E tutto ricominciava daccapo.

Come il primo momento, come quando era crollato riparandosi dal sole, come quando Giles aveva preso tra le braccia il corpo senza vita della ragazza ed avevano lasciato la torre.

Spike fissava la lapide di Buffy.

Il corpo della ragazza era sotto pochi metri di terra…mentre, a detta di Willow, la sua essenza vitale, quello che la rendeva…unica, era finita in una specie d’inferno, dal quale forse sarebbe tornata.

Solo poche ore.

Si era offerto volontario per qualsiasi diavoleria gli amici di Buffy avessero escogitato.

Aveva cercato di parlare di fronte a quella lapide decine di volte, ma mai era riuscito a farlo.
Neanche nella sua mente era riuscito a parlare a Buffy.
Ed anche ora, protetto dalle ombre del cimitero si era avvicinato alla lapide, e non aveva potuto fare altro che fissarla.

Si lasciò andare ad un sospiro, avvicinandosi di un passo alla lapide.
Sentiva le gambe tremargli, ma ignorò quelle sensazioni.

“Dicono che tu sia finita in un postaccio Buffy…” mormorò, e fu sorpreso di quanto calma apparisse la sua voce.

Si guardò attorno, stringendosi poi nelle spalle mentre tornava a guardare la lapide. “Non che qui sia meglio…sempre detto io che Sunnydale era una fogna…”

“Per una volta credo di essere d’accordo con te…”

Spike sussultò, voltandosi di scatto verso la voce proveniente dalle sue spalle.

“Angel…” disse a denti stretti.

Il vampiro più anziano fece qualche passo, avvicinandosi a lui, e Spike fu sorpreso, quando non avvertì nemmeno la tentazione di spostarsi, di allontanarsi da lui.

“Chiarite le cose con Giles?” domandò con tono casuale, invece.

Spike sentì lo sguardo di Angel su di se, fu tentato di incontrare lo sguardo del suo sire de facto, eppure non riusciva a staccare lo sguardo da quella lapide.

“Più o meno” fu l’unica laconica risposta di Angel.

L’ombra di un sorriso si dipinse sul volto di Spike.
“Per lei…”

Il vampiro bruno non rispose, non ce n’era bisogno. Spike guardò la lapide di Buffy, per l’ennesima volta.
“Vengo qui ogni notte…” disse piano.

Non sapeva nemmeno il perché stesse parlando, il perché stesse parlando al suo sire de facto, al vampiro che aveva odiato così ferocemente, che gli aveva tolto Drusilla, che per primo aveva avuto Buffy.

“I primi tempi non riuscivo a rimanere che per qualche secondo. Potevo quasi sentire la sua pelle…decomporsi. Fissavo questa lapide…e mi sembrava stupida.
‘Amata sorella, amica devota…ha salvato il mondo.’” Sospirò.
“Buffy Anne Summers. Vent’anni. Non aveva senso. Non aveva senso che io ci fossi ancora…e lei fosse morta, perché io avevo fallito. È per questo che è morta, sai?
Perché io ho fallito. Perché ero troppo debole, troppo stanco, stupido…per proteggere sua sorella.”

“Spike…” provò Angel.

Il vampiro biondo scosse la testa. “Col passar delle settimane, riuscivo a rimanere più tempo di fronte a questa lapide. Non ero riuscito a proteggere briciola quella notte, ma lo facevo…ogni notte, ripulendo Sunnydale…rimanevo qui a fissare la lapide…senza parlare.”
Sollevò leggermente la testa in direzione del suo sire e mormorò: “Cosa potevo dire? Che mi mancava? Che l’amavo? Che non avevo mantenuto fede alla mia promessa? Lei era solo un pezzo di carne morta, seppellita sotto tre metri di terra, Angel…ed io un pezzo di carne morta, che fissava una lapide di marmo…”

“Non è stata colpa tua…” disse Angel.

Spike si strinse nelle spalle. “Oh, sì…è stata colpa mia. Ma il rimugino non è il mio forte Angel, quello è il tuo campo d’azione.”

“Riesce bene anche a te” commentò piano Angel.

Spike non poté fare a meno di scuotere la testa a quelle parole.
“Mentre il senso dell’umorismo continua a non essere il tuo forte, ma nessuno è perfetto…”

Spike vide Angel scuotere la testa a quelle parole. Vi era qualcosa di diverso nei suoi occhi. riusciva a riconoscere nel suo sguardo il dolore per la morte di Buffy, ma c’era qualcos’altro. Una sicurezza, che non vi era stata il giorno prima.

E un odore. Un odore di donna: di sapone, e shampoo alle erbe.

Spike seppe istintivamente di chi si trattasse: la donna bionda che era venuta con loro il giorno prima, quella che era rimasta in silenzio, a braccia incrociate in un angolo, mentre parlavano del da farsi.
Quella che lanciava occhiate furtive al suo sire de facto, per poi tornare a guardare dritto davanti a se.

Per un attimo odiò Angel. Lui, che aveva la possibilità di essere amato, nonostante fosse un vampiro. Angel che aveva una donna il cui cuore batteva solo per lui.
Un cuore vivo.

Durò poco però. Era troppo stanco per odiare. Per odiare Angel.

“La riporteremo indietro, Spike…” disse Angel. La sua voce era stata sicura, comprensiva

Spike si voltò verso di lui mormorando: “E poi? Vivremo tutti felici e contenti?” deglutì e scosse la testa, prima di sospirare. “Mi manca Angel…”

“Lo so…” rispose lui.

Spike indugiò per un istante nel guardare il suo sire. “Posso darti un consiglio, amico? Se fossi in te, smetterei di guardare la lapide di una donna che non ami più ed andrei dalla poliziotta…”

Il vampiro biondo non poté reprimere un sorriso, quando vide Angel abbassare la testa, imbarazzato.

“E poi…” aggiunse a bassa voce Spike. “E’ giunto il momento di parlare…per me…”

Sussultò leggermente Spike, quando sentì una mano di Angel poggiarglisi su una spalla, un attimo prima che il vampiro più anziano si allontanasse.
Solo allora Spike s’inginocchiò di fronte la lapide, sfiorando con le dita l’erba fresca.
“Il mondo è strano Summers…” mormorò. “Scommetto che lo pensi anche tu, ovunque ti trovi…”

***


Non aveva mai sentito il suo cuore battere tanto forte. Faith sgranò gli occhi, mentre le labbra di Wesley lasciavano scie di fuoco sulla sua gola.

Quanto tempo era passato?
Il tempo di mille baci, di mille sorrisi, di mille lacrime di gioia non versate.
O forse pochi minuti. Faith non era in grado di dirlo, e non voleva saperlo.

L’unica cosa che contava, l’unica cosa esistente in quel momento, erano le labbra di Wesley, l’azzurro dei suoi occhi.

La morbidezza delle lenzuola di quel letto, ed il profumo dell’uomo: il profumo della sua pelle, dei suoi capelli.

Ed il cuore, il suo cuore, che le batteva tanto forte che temeva le sarebbe scoppiato in petto da un momento all’altro.
E per una volta, non era semplice sesso, o eccitazione.

Era qualcosa di profondo, qualcosa che la spaventava e la inebriava allo stesso tempo. Qualcosa che rendeva fuoco liquido il suo ventre, e le faceva venir voglia di ridere e piangere contemporaneamente, come mai le era capitato nella sua vita.

Faith circondò il collo di Wesley con un braccio, e l’uomo sollevò la testa per guardarla.
Sorrise.
E di nuovo Faith si stupì di quanto forte il suo cuore battesse. Possibile che potesse batterle così forte senza farle male? Possibile che si potesse essere così felici solo guardando una persona?

“Faith…” sussurrò lui.
La ragazza si sollevò su un gomito ed avvicinò il volto a quello di lui.
“Ssshhh…” mormorò contro le labbra dell’uomo.

Wesley inclinò leggermente la testa, guardandola, e Faith dovette resistere all’impulso di abbassare la testa, così come a quello di baciarlo avidamente.
Depredare la sua bocca, il suo corpo.

Sapeva istintivamente però che non era quanto sarebbe accaduto. Che non era quello che avrebbe fatto.
Quella era la vecchia Faith, quella che aveva gioito nel far del male, quella che aveva finto e mentito, quella contro cui lottava ogni giorno, ogni ora della sua vita.

Ma non in quel momento.
Non avvertiva il passato in quel momento. Non ne sentiva il peso sulle spalle e nell’anima.
Per un istante la sua mente andò ad Angel.
Era quello che aveva provato, prima di perdere l’anima?
Era stata quella sensazione a fargli perdere l’anima?
Il sentirsi unici, speciali, tra le braccia della persona amata?

La ragazza sussultò, allontanandosi leggermente da Wesley. Si appoggiò sui gomiti, mentre sentiva il fiato fermarlesi in gola a quel pensiero, mentre i suoi occhi incontravano lo sguardo dell’uomo.

Amava Wesley.

E non c’era paura in lei. Lei che mai aveva amato fino a quel momento.

“Faith…” cominciò lui. E Faith non poté fare a meno di sorridere. Sembrava imbarazzato Wesley, sembrava avesse paura di averla ferita.
Lui…

La ragazza scosse la testa: “Scusami” disse. Era davvero la sua voce? Tremante, resa roca dal desiderio, e dal battito furioso del suo cuore.

Wesley aggrottò la fronte, prima di dire: “No, sono io che…”

Faith attirò l’uomo a se e non poté trattenere una risatina, e sentì il fiato fermarlesi in gola, quando avvertì le labbra di Wesley distendersi in un sorriso, contro il suo collo.

Un tempo…un tempo le cose sarebbero state diverse, un tempo non avrebbe sopportato di stare tanto vicina ad un uomo: un sorriso contro la sua pelle, le avrebbe ricordato altri sorrisi, altre notti, altre braccia.

Chiuse gli occhi, stringendo forte a se l’uomo per un istante, godendo del tepore del suo corpo, del profumo della sua pelle…pulito, così come il suo sguardo.

Pulito, cristallino, solo l’azzurro delle sue iridi, ora più cupo, tradiva una certa inquietudine.
E desiderio.
Desiderio di lei, di ogni parte di lei.
Non solo il suo corpo.
Ma quello che era.

Lo intuiva, dal modo in cui le sfiorava i capelli, dal controllo che nonostante l’eccitazione che chiara riusciva ad avvertire, mostrava, dalla piega gentile delle sue labbra.
Labbra che reclamarono le sue, ancora e ancora, mentre piano le sue dita si posarono sul suo torace.

Sentì una mano di Wesley sfiorarle un seno, con dita tremanti, mentre la sua pelle rispondeva al tocco dell’uomo, saettandole lungo il corpo fremiti di eccitazione tanto forti da farla sussultare leggermente.

Prese un lungo respiro profondo, mentre allungava le mani verso il torace di Wesley, e piano le sue dita lo esplorarono attraverso la stoffa del maglione.

Sorrise Wesley, e Faith sentì il respiro di lui divenire molto simile ad un ansito.
“Troppi…” mormorò e dovette schiarirsi la gola prima di riprendere: “vestiti…”

Wesley rise alle sue parole, appoggiando le labbra contro il suo collo, e Faith inarcò la testa, una mano di Wesley era ancora sul suo seno stuzzicandogli con il pollice il suo capezzolo, ormai completamente inturgidito, l’altra mano dell’uomo, invece, era tra i suoi capelli, giocava incessantemente con delle ciocche.

“Prendiamo provvedimenti, allora…” disse l’uomo sollevando la testa e baciandole il mento.

Faith lo guardò: lo guardò mentre la sua mano lasciava il suo seno e l’altra i suoi capelli, e non riuscì a trattenere un piccolo gemito.

Cosa le stava accadendo?
Non aveva mai provato niente del genere, non aveva mai nemmeno creduto si potessero provare sensazioni tanto forti.

Abbandonò la testa contro il cuscino, mordendosi le labbra, quando sentì le mani dell’uomo toccare la sua pelle nuda, sotto la t-shirt che indossava.

Deglutì ripetutamente, quando le mani di lui salirono a coprire per un istante i suoi seni nudi, sotto la maglietta, per poi salire con una carezza morbida come seta alle spalle.
Sollevò leggermente le braccia, e la maglietta finì a terra.

“Va meglio?” domandò l’uomo, ed anche la sua voce era roca, mentre l’azzurro dei suoi occhi, le ricordava il cielo di un temporale, tanto si era incupito.

Si strinse leggermente nelle spalle, prima di sollevarsi, appoggiando le spalle nude contro la spalliera del letto.
“Potrebbe andare meglio….” Si limitò a dire.

L’uomo aggrottò la fronte, apparentemente perplesso dalle sue parole, e Faith sentì il cuore saltarle un battito.

Come faceva quell’uomo, ad essere così puro, così dolce, così straordinario, nonostante quanto avesse visto e vissuto?

Sorrise, come non aveva mai fatto prima nella sua vita, come non aveva creduto le sarebbe stato possibile.

Allungò un braccio, e con un dito, sfiorò il torace dell’uomo, ed inarcò un sopracciglio mormorando: “Senza quest’affare…”

Wesley annuì alle sue parole “Ai vostri ordini mia signora”

Faith sorrise, mentre l’uomo le allontanava gentilmente la mano e si accingeva a sfilarsi il maglione, tutto sembrava rallentato, il tempo sembrava aver perso significato.

Quanto tempo era passato da quando si erano baciati la prima volta?
Quanto, da quando l’aveva adagiata sul letto di Giles?
Quanto, da quando le aveva sfilato la maglietta, facendola quasi impazzire di desiderio?
Non lo sapeva.

Sapeva solo che osservava l’uomo sfilarsi lentamente il maglione, ed i suoi occhi amavano ogni centimetro della sua pelle, prima ancora che le sue mani, quasi come animate di volontà propria si muovessero, per aiutarlo, per sentire la sua pelle calda sotto le sue dita.

Era calda la pelle di Wesley. Bruciava, esattamente come la sua, piccole stille di sudore si erano formate sul torace, e Faith approfittò della sua forza di cacciatrice, per attirare l’uomo a se, sopra di se, e baciare la pelle delle sue spalle, mentre le dita, tergevano le stille di sudore, per poi continuare a sfiorare il torace dell’uomo e solleticare i suoi capezzoli.

Era salata la pelle di Wesley, eppure ne amava il sapore: sapeva di buono, sapeva di amore e lacrime di gioia, di estasi.

Come le sue labbra, che tornò a baciare, dopo qualche istante, con più ardore, questa volta, mentre Wesley si sosteneva sui gomiti.
Avrebbe voluto dirgli di non preoccuparsi, avrebbe voluto dirgli che voleva sentire il peso del suo corpo contro il suo, che aveva bisogno di sapere che quanto stava accadendo era reale.

Che lei, loro erano reali.
Che non era ancora bloccata nella sua mente.

Ma non ci riusciva, le labbra di Wesley, che ruppero il bacio per poi posarsi sulla sua gola e scendere poi ad accarezzare il solco tra i suoi seni con le labbra prima e la lingua poi, eclissarono ogni pensiero.

Solo le sue mani, continuavano a muoversi, contro la sua volontà, rispondendo ad un istinto ancestrale, ad una forza, anche maggiore di quella derivatale dai suoi poteri.
Accadde in una frazione di secondo.

Le labbra di Wesley erano su un suo seno, mentre una sua mano, era andata alla cerniera dei suoi jeans, quando la sentì.
Una cicatrice.
Sul fianco destro.

Il mondo, tutto il suo mondo, la piccola bolla di pace, di estasi che era divenuta la camera da letto di Giles, implose.

E fu di nuovo in un’altra stanza.
Quella di un uomo che aveva ucciso, o ferito.
Quando aveva deciso di rendere il gioco con Angel più divertente.
E Wesley, non era più sopra di lei, non l’amava più con le sue mani, i suoi sguardi, le sue labbra, la sua pelle.
Wesley era legato ad una sedia.
Il volto congestionato dal dolore.
Ed il sangue, il sangue che gli imbrattava la camicia immacolata.
Ed il vetro, quella enorme scheggia di vetro, parte di una cornice, che penetrava nella sua pelle.
Ed era stato facile. La sua pelle era stata come burro. Ed il sangue era zampillato.
E lui era rimasto in silenzio.
Non un urlo.
Non una lacrima, sebbene i suoi occhi fossero stati arrossati.
Non una parola.
E la rabbia. La rabbia.

Aveva voluto sentire le sue urla. Avrebbe voluto vedere le sue lacrime. Sentire la sua sofferenza. Assaporarla. Come altri avevano assaporato la sua. Come aveva fatto a Sunnydale.

“Faith?”

La ragazza chiuse gli occhi, serrando le palpebre. Il suo intero essere, tremava, la sua anima tremava, mentre la sua mano era andata a coprire la cicatrice, quasi a volerla nascondere, quasi come se fosse stato davvero possibile farlo.

“Faith?” ripeté la voce di Wesley. Così piena di preoccupazione.
Incrinata. Forse ora, avrebbe potuto vedere lacrime nei suoi occhi.
Ora, che avrebbe dato la vita per lui.
Ora, che lo amava.

“Cosa succede? Sto facendo qualcosa di…?” cominciò lui, ma lei scosse la testa.

I suoi occhi erano ancora chiusi. Non sapeva se avrebbe mai avuto il coraggio di riaprirli.
Non sapeva se avrebbe mai voluto farlo. Non voleva incontrare lo sguardo dell’uomo.
Poteva averla perdonata, ma lei non ci riusciva. Non poteva perdonare se stessa.
Non poteva dimenticare.

“Io…” singhiozzò quasi, sentiva un nodo serrarle la gola. E la voglia, il desiderio spasmodico, di fuggire.

Sentì una mano di Wesley sfiorarle il volto, delicatamente, e non poté trattenersi dal singhiozzare. “Faith, cosa succede?” domandò lui.

Faith aprì gli occhi di scatto, incontrando le iridi chiare dell’uomo. Vi era sincera perplessità ora in esse, ed aumentò quando lei mormorò: “Come puoi?”

L’uomo scosse la testa, ma a differenza di poco prima, Faith non riuscì a sorridere, allontanò leggermente Wesley da se, e scoprì la cicatrice sul fianco, indicandogliela poi con lo sguardo.
“Come puoi?” ripeté

Wesley sospirò sfiorando la cicatrice con le dita. “Pensavo che avessimo chiarito”
Mormorò.

“Questo è stato prima!” esclamò lei, mettendosi a sedere sul letto.

“Prima?” domandò Wesley, imitando i suoi gesti. “Prima di cosa? Prima che ci ritrovassimo in questo letto?”

Faith scosse la testa: “Prima che…” deglutì, e terminò in fretta, a bassa voce. “Prima che m’innamorassi di te…e vedessi quello che t’ho fatto”

Ammiccò, guardandolo, prima di coprirsi il volto con le mani, e ripetere a bassa voce: “Come puoi? Come puoi anche stare nella stessa stanza con me? Toccarmi…”

Sentì una mano di Wesley poggiarlesi su una spalla, non lo scacciò. Cercava di trattenere le lacrime, mentre le parole faticavano ad uscirle da bocca, tanto serrato era il nodo che le stringeva la gola.
“perdonarmi…come puoi? Come?”

Non si rese conto di quanto la stretta sulla sua spalla si fosse rafforzata, né di quello che stesse dicendo, fino a quando Wesley non la interruppe ad alta voce.

“Piantala per l’amor di Dio!” esclamò infatti l’uomo.

Faith sollevò la testa di scatto, mentre le mani le ricadevano in grembo. Sbatté le palpebre, ammiccando quando sentì lacrime rigarle le guance. Solo allora Wes le lasciò andare la spalla, e mosse una mano verso il suo volto. Faith si ritrasse, d’istinto.

Non voleva che Wesley la toccasse.
Per quanto avesse voluto crederci, per quanto avesse tentato, lei era sporca.
Lei era…Faith.

Wesley chiuse gli occhi, lasciandosi andare ad un sospiro. “Faith…” disse solo.

“Faith…cosa?” replicò lei. “Ti ho fatto una domanda, una cazzo di domanda! Come puoi stare qui?! Come puoi anche guardarmi? Cristo, Wesley…io volevo ucciderti! Io ti ho torturato, e lo facevo per divertirmi! Per ammazzare il tempo mentre aspettavo Angel!”

“Credi che io non lo sappia? Ma è passato tanto tempo da quella notte…e siamo cambiati, entrambi.” Abbassò la testa, toccandosi la cicatrice con le dita. “Quanto a questa…” si strinse nelle spalle. “E’ una cicatrice…sai cosa sono le cicatrici? Segni…sono segni di cose passate.”

“Passate…?” esitò lei.

Wesley annuì, accennando un sorriso, allungò di nuovo una mano verso il suo volto, impedendole, questa volta di ritrarsi. La guardò, per qualche istante, le iridi chiare, che le scavavano dentro, tanto che Faith fu quasi tentata di abbassare la testa.

“Ed ora, Faith…domandami di nuovo come posso stare qui. Come posso guardarti. Come posso toccarti, o baciarti.”

Faith deglutì.
Paura.
Aveva paura. Si asciugò il volto dalle lacrime col dorso della mano, e strinse le labbra prima di domandare con una voce, che stentava quasi a riconoscere come la propria: “Come…”

“Perché ti amo…” disse Wesley. La sua voce era stata chiara, e le sue parole, erano riverberate in tutta la stanza, e nel cuore di Faith.

La ragazza inclinò la testa, mentre nuove lacrime le riempirono gli occhi.
Non era possibile, non poteva essere vero. Non poteva amarla.

Stava quasi per dirlo, quando Wesley, quasi come se le avesse letto nel pensiero parlò: “Ti amo, Faith…non so quando è successo…” sorrise. “forse quando hai chiamato in agenzia, o forse stanotte quando hai dormito tra le mie braccia, ma è la verità: io ti amo Faith Dazzle…con tutto me stesso…cicatrici incluse.”

L’uomo si mosse verso di lei, e Faith chiuse gli occhi, lasciando che le baciasse il volto, asciugando con le labbra le lacrime che aveva versato, mentre le parole che aveva pronunciato continuavano a scorrere nella sua mente, nel suo cuore, insieme al suo sangue.
E Wesley continuò a dichiararle il suo amore, mentre piano la baciava, lambiva i suoi seni con le labbra, e con le sue mani che le sfioravano i fianchi.

E lei fece lo stesso, mentre i vestiti di entrambi, scivolavano via, lasciando che le loro pelli s’incontrassero, che i loro cuori battessero vicini, allo stesso ritmo.
Ed amore, fu dichiarato senza parole, quando dopo il tempo di infiniti baci, di nuove lacrime, di gioia, Wesley dolcemente entrò in lei, passandole un braccio attorno alla vita, perché fossero più vicini.

Ti amo
Disse lei con gli occhi, con le labbra, col suo corpo, movendosi con lui, mentre il piacere, un piacere diverso, un piacere pulito e travolgente, le toglieva il respiro, costringendola ad aggrapparsi all’uomo.

Ti amo anch’io
Rispose Wesley silenziosamente con lo sguardo, sostenendola, quando l’ondata di piacere rischiò di travolgerla, ed i loro fianchi rimasero fermi per un istante, cercando di prolungare il momento.

E le loro labbra si incontrarono, ancora ed ancora, soffocando gemiti, e parole.
Gli graffiò le spalle, quando sentì il ventre riempirsi di lui e lei non poté trattenere un grido.
Ci sarebbero state cicatrici probabilmente.

Sarebbero stati i primi segni.
I primi segni del loro amore, pensò, mentre appoggiava la fronte contro il petto dell’uomo, sorridendo.
Il loro amore.

Faith chiuse gli occhi, cullata dal suono del battito del cuore di Wesley, dai loro respiri. E da quella consapevolezza.
Il loro amore era nato. E lei, avrebbe lottato fino alla morte, per difenderlo.